Lionel Loueke : dal Benin a New York con la chitarra

Il chitarrista del Benin traccia un primo bilancio, seppur provvisorio, della sua sfaccettata attività musicale

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lionel loueke

Lionel Loueke, qual è il tuo paese d’origine?
Benin, Africa Occidentale.

E adesso dove vivi?
Brooklyn, New York

Da quanto tempo manchi dall’Africa?
Alcuni mesi. L’ultima volta che sono tornato a casa è stato in aprile.

Mi parleresti in sintesi della tua storia?
Inizia in Benin, in Africa. Ho cominciato studiando musica classica in Costa d’Avorio, poi mi sono trasferito a Parigi per studiare jazz. Lì ho vissuto per tre anni. In seguito ho vinto una borsa di studio per andare a studiare alla Berklee di Boston, dove sono stato per un anno. Mi sono poi spostato a Los Angeles, al Thelonious Monk Institute Of Jazz, dove ho conosciuto Herbie Hancock, Wayne Shorter e Terence Blanchard. Dopo due anni mi sono trasferito a New York, dove vivo dal 2003. New York mi ha dato da vivere come artista. Da allora sono sempre in giro, in tour per lavoro e vado e vengo dall’Europa.

Che significa Gaïa?
Nella mitologia greca è la Madre della terra.

È anche è il titolo di un tuo disco, un lavoro rock oriented. Non è la prima volta che incidi un album per la Blue Note. Questa dovrebbe essere stata la quarta, ed è singolare perché riprendi a lavorare con due tuoi vecchi amici, Massimo Biolcati e Ferenc Nemeth. Il tuo feeling con loro deve essere molto forte, no? Oppure c’è qualche altro motivo?
In realtà suono con loro da sedici anni. Erano presenti nel mio primo disco per la Blue Note, «Karibu», e anche nel secondo, «Mwaliko». Non c’erano invece nel terzo lavoro, «Heritage», ma tra di noi, come hai detto prima, c’è una forte empatia e questo è il motivo principale per cui ho ripreso a lavorare con loro. In realtà la musica incisa su «Gaïa» è quella che suoniamo insieme praticamente da sempre. È una musica abbastanza complessa, che Massimo e Ferenc conoscono molto bene. Utilizzare altri musicisti mi avrebbe fatto impiegare un sacco di tempo in più, necessario affinché potessero metabolizzare un linguaggio così complicato.

lionel loueke gaïa

Ti muovi continuamente attraverso differenti dimensioni: l’Africa di Angelique Kidjo e Richard Bona, l’intimismo di Esperanza Spalding e Marcus Gilmore, il versante più elettrico, più funk, con Derrick Hodge, Robert Glasper o Mark Guiliana. In quale situazione ti trovi maggiormente a tuo agio?
Non ho preferenze. Mi trovo a mio agio in tutte i frangenti che hai citato. L’ambito elettrico, quello acustico… Dipende dal lavoro che sto affrontando o scrivendo. In genere mi adatto a qualsiasi situazione.

Herbie Hancock ti ha definito «uno che dipinge suoni». Sei d’accordo con lui?
Beh, faccio quello che posso. Nutro un grande affetto e un profondo rispetto per Herbie e sono ovviamente molto gratificato da una tale definizione. Ma non saprei dire se corrisponde alla realtà.

Quali sono i tuoi principali punti di riferimento? Dal punto di vista strumentale e compositivo…
Non sono stati sempre gli stessi. Sono cambiati nei diversi periodi della mia vita e cambiano in continuazione ancora oggi. In questo momento, ad esempio, le mie maggiori influenze vengono dalla musica classica, Debussy, Stravinskij. Nel jazz Wayne Shorter e Herbie Hancock. Nella musica africana Fela Kuti.

Quando penso al Benin mi vengono in mente i nomi di Angelique Kidjo oppure di Wally Badarou, tra gli altri. Quest’ultimo, in particolare, lo ricordo per i suoi lavori con artisti come Grace Jones, Talking Heads e Level 42. Qual è il tuo legame con questi artisti e, soprattutto, ti manca la tua terra?
Certo che sì. È per questo che vado a casa almeno una volta l’anno. Sento costantemente il bisogno di ricongiungermi con la mia famiglia, con i miei amici. L’Africa mi manca. Moltissimo. Per quel che riguarda i nomi che mi hai fatto prima dirò che so benissimo chi è Wally Badarou: dalle mie parti è molto famoso, ma io non l’ho mai conosciuto. Mentre Angelique Kidjo è come una sorella, per me: viviamo entrambi a Brooklyn, abbiamo lavorato spesso insieme e, in definitiva, c’è tra di noi un legame molto forte. Ma nel Benin non ci sono soltanto loro. Vanno ricordati artisti come Charlis Samson Adande, un chitarrista ma anche un ballerino/acrobata che ha fatto parte del Balletto Nazionale del Benin. Ha inciso un disco importante nel 1997, in cui tentava una fusione tra il rock e l’afrobeat utilizzando un tappeto di percussioni yoruba. Il disco si intitolava «Alleluiya» ed era uscito per la Celluloid. E non possiamo dimenticare Gnonnas Pedro, un cantante di Lokossa, città di circa ottantamila abitanti. E’ stato il cantante solista degli Africando, un gruppo che mischia la salsa di New York con la musica senegalese e che molti di voi ricorderanno per aver goduto di una certa notorietà in Occidente. Ma Gnonnas Pedro è stato soprattutto importante dalle mie parti per aver creato il cosiddetto modern agbadja, una rivisitazione attualizzata di uno stile musicale tradizionale del Benin, appunto l’agbadja. La sua particolarità fu – uso il passato perché non è più tra noi – quella di cantare in diverse lingue, un misto tra inglese, francese, spagnolo e dialetti africani. Gnonnas Pedro ha militato anche nell’Orchestre Poly Rhythmo De Cotonou, un’orchestra che ha permesso a molti musicisti beninesi di farsi le ossa e che suonava un misto tra funk, afrobeat e soukous. Il Benin, tra gli stati africani, è forse quello che si è distinto per un potenziale artistico enorme ma inespresso, e io ne sono un esempio. Per ritagliarmi uno spazio riconoscibile all’interno della musica ho dovuto emigrare.

Lionel Loueke, Dave Holland, Chris Potter, Eric Harland
Il quartetto Aziza: Lionel Loueke, Dave Holland, Chris Potter, Eric Harland

C’è qualche progetto importante attorno al quale stai lavorando e del quale ti farebbe piacere parlare?
Ho diverse idee da realizzare. Mi piacerebbe registrare il prossimo lavoro in Africa: è un progetto per chitarra acustica e quartetto d’archi. Non so dirti nulla di preciso in questo momento ma so che si tratterà di qualcosa di acustico. Poi sono impegnato con molti altri artisti: innanzitutto con il quartetto Aziza di Dave Holland,  con Chris Potter ed Eric Harland e poi con colleghi africani come Tony Allen. Sono situazioni che mi tengono molto impegnato.

Gaeta