Le chat dans le sac è il titolo del primo lungometraggio del regista franco-canadese Gilles Groulx, uscito sugli schermi nel 1964: un film in bianco e nero interpretato da attori non professionisti. La sua particolarità è la tecnica narrativa, sviluppata attraverso riprese effettuate in continuità in ambienti privi di scenografia precostituita e con l’utilizzo di dialoghi completamente improvvisati. Parla di una coppia di ventenni la cui vicenda fornisce al regista, un cineasta idealista e politicizzato, il pretesto per sollevare la questione politica, all’epoca, del popolo del Québec. Groulx è un regista misconosciuto paragonabile al primo Bertolucci e a Godard e che, pur avendo vissuto la sua professione di autore con meticolosità e impegno, non ha lasciato un segno importante nella storia del cinema. Oggi il suo nome inizia di nuovo a girare perché per il suo esordio si mise in testa di affidare la colonna sonora di quel film addirittura che al quartetto di John Coltrane, quello storico con McCoy Tyner, Jimmy Garrison ed Elvin Jones. Groulx era un fan di Trane, oltre che amico personale di Jimmy Garrison, e lavorando a un cinema basato sull’improvvisazione pensò che sarebbe stato opportuno affidare a Coltrane il compito di occuparsi della colonna sonora. Il celebre sassofonista dal canto suo si fece attrarre dal messaggio di indipendenza e libertà che il film sottolineava in maniera piuttosto esplicita e, senza visionare neanche una scena, incise trentasette minuti di musica, come al solito straordinaria ma che però venne utilizzata soltanto negli ultimi dieci minuti della pellicola e in forma ridotta.
Universal ha avuto la condivisibile idea di pubblicare oggi l’intero album, che entrerà in commercio il 27 settembre. I brani che compongono il lavoro, in realtà, sono versioni rinnovate, «aggiornate» per così dire, di materiale già apparso su altri dischi. Vi sono tre take di Village Blues, la cui versione originale si può ascoltare su «Coltrane Jazz» (1961, Atlantic); due della superba Naima, una delle più belle melodie del secolo scorso e che arriva dritta da «Giant Steps», una di Like Sonny che faceva parte di una curiosa seduta apparsa a suo tempo per la Roulette, una del Traneing In contenuto in «John Coltrane With The Red Garland Trio» (1958, Prestige); mentre il brano che dà il titolo all’album, Blue World, è un ¾ dalla bella ondulazione che si basa sulla struttura armonica di uno standard cssai amato da Coltrane , vale a dire quell’Out Of This World compreso in «Coltrane» (1962, Impulse!). «Il loro valore aggiunto», scrive il sempiterno Ashley Kahn nelle liner notes, «è la speciale occasione di poter confrontare queste versioni con quelle precedenti, lasciandoci percepire in maniera tangibile i progressi che il sassofonista aveva concretizzato col passare degli anni, oltre a essere giunto con il suo quartetto a un affiatamento e una coerenza di scambio reciproco così forte da raggiungere il suo acme proprio in quel periodo storico».
Nel 1964 Trane visitò quattro volte lo studio di Rudy Van Gelder, due a fine primavera e due a fine dicembre, portando a termine due album di portata leggendaria. Erano due lavori entrambi difformi dalla frenesia del precedente percorso evolutivo ma musicalmente completi, che riproponevano il suo antico amore per le composizioni estese in forma di suite. Uno era «Crescent», concepito come un omaggio a Tyner, Garrison e Jones e ai quali Coltrane concesse ampia libertà di mettere in mostra il proprio talento. Basta ascoltare o riascoltare Wise One,per rendersi conto di tutto questo: un brano che, già nel titolo e nell’atmosfera mistica, anticipava i futuri lavori di ispirazione spirituale del sassofonista. E infatti l’altro lavoro che ,alla fine del 1964, venne partorito in quegli studi fu «A Love Supreme», una suite in quattro parti che, secondo le annotazioni di copertina di Coltrane, era «un’offerta a Dio». Quell’album, com’è noto, divenne un manifesto generazionale, un invito alla preghiera rivolta al culto della spiritualità. «A Love Supreme» inizialmente concepito per un gruppo di nove elementi con percussioni di stampo latino-americano per poi passare a una versione in sestetto (con Archie Shepp e Art Davis) e alla definitiva sintesi del quartetto, fu il risultato di cinque giorni di autoreclusione.
Ma questa è un’altra storia. Ciò che ci premeva era contestualizzare il periodo storico in cui «Blue World» venne inciso – nel momento di transizione tra «Crescent» e «A Love Supreme» e sempre negli studi di Van Gelder – per porre l’accento non solo sul suo valore storico ma anche, e soprattutto, sulla bellezza e sulla intensità emotiva della musica che contiente. Senza dimenticare che in quella musica si può sentire, ben evidente, la spinta verso una direzione tonale che avrebbe preso corpo in «A Love Supreme»: alcuni momenti dell’assolo di Blue World, la title track, chiariscono bene questo punto di vista. Un vero peccato, quindi, lasciare nei cassetti una musica così intensa ed ispirata; bene ha fatto la Universal a pubblicarlo, in barba a tutti i commenti che di frequente capita di leggere sui social da parte di «intenditori e appassionati di musica» che, forse riferendosi alla pubblicazione di «Both Directions At Once: The Lost Album» avvenuta appena l’anno scorso, pensano di scorgere in tali operazioni «degli scopi puramente commerciali». Come se le case discografiche, oggi tra l’altro non solo in crisi ma gravemente collassate, dovessero preoccuparsi non di fare quadrare i propri già risicati bilanci ma di operare della beneficenza a uso e consumo di un pubblico ormai definitivamente abituato ad «ascoltare» (diciamo piuttosto «assaggiare») la musica su piattaforme digitali che ne stanno appiattendo la poesia. Mentre chi scrive vorrebbe ascoltarne ogni mese, di operazioni di questo tipo.
John Coltrane ha dominato, e continua a dominare, il jazz da più di mezzo secolo solo con la forza della sua musica. Tutto il suo percorso l’ha conquistato a fatica attraverso una lunga e faticosa evoluzione durata più di un decennio: a partire dai suoi esordi nelle band di r&b, attraversando i primi cauti tentativi modali quando suonava con Miles Davis, fino ad arrivare alle vette dell’espressionismo e dell’astrazione dal 1965 in poi. Seguire questo processo evolutivo ascoltando i suoi dischi non è non solo un’ affascinante ed eccitante avventura, ma si mostra assai utile a comprendere ciò che è successo nella musica di ieri, sta succedendo in quella di oggi e, probabilmente, succederà in quella di domani. Il minimo aspetto, il minimo dettaglio che possa contribuire ad arricchire questo bagaglio non è soltanto consigliato ma indispensabile. Il resto è aria fritta che lasciamo volentieri agli appassionati della critica preventiva, quelli che da qualche tempo hanno confuso le recensioni con le playlist di Spotify.
Nicola Gaeta
John Coltrane
«Blue World»
Impulse!, distr. Universal
John Coltrane (sop., ten.), McCoy Tyner (p.), Jimmy Garrison (cb.), Elvin Jones (batt.).
Englewood Cliffs, 24 giugno 1964.