AUTORE
Steve Lehman Trio + Craig Taborn
TITOLO DEL DISCO
«The People I Love»
ETICHETTA
Pi Recordings
Lehman torna ad un assetto formale più compatto, dopo la studiata complessità dell’ottetto di «Mise en Abîme» (2014), affiancando al trio composto con i propri decennali compagni di viaggio Brewer e Reid un indiscusso punto di riferimento come Craig Taborn (che in Prelude, Interlude e Postlude – canonicamente posti in apertura, chiusura e alla svolta di mezzo dell’album – si impegna a conversare col solo sassofonista in tre brevi bozzetti di conio improvvisato, mentre il pianoforte tace in A Shifting Design). La scaletta, come già avvenuto in «Dialect Fluorescent» (2012), si compone di materiali originali e non: tra i primi, pare significativo che vengano ripresi ben tre brani di repertorio («Curse Fraction», «Echoes», «Beyond All Limits»), quasi a offrirne una nuova lettura. Posto tutto ciò, va detto che la musica, rispetto a un recente passato, guadagna ampiamente di incisività e leggibilità, pur senza perdere le caratteristiche che hanno fatto di Lehman una figura di spicco della scena creativa in questi ultimi anni, portandolo decisamente alla ribalta. Forse la chiave per spiegare la maggiore forza assertiva del leader – capace di dar vita a un programma che va diretto al bersaglio, senza alcuna traccia di artefazione, pur mantenendo caratteristiche di stratificata complessità e concitata forza espressiva – è in un più consapevole aggancio alle radici, frutto anche di un processo di maturazione inevitabile per un quarantenne. Dunque non si perde lo spunto di sovrapposizione nervosa di cellule tematiche che ha costituito la cifra tipica del sassofonista (Ih Calamus And Ynnus), né quel senso di febbrile drammaticità che spesso contagia la sua musica (Echoes/The Impaler), né la concitazione ritmica, ma tutto è più a fuoco e come inesorabile, rispetto a un discorso affatto privo di ridondanze. In ciò ha di certo un ruolo importante la rodatissima relazione con i due sodali storici, ma soprattutto la facilità e la naturalezza con la quale il magnifico Taborn riesce a inserirsi in un meccanismo dotato di tolleranze così ristrette, dispiegando un magistero altissimo (a titolo puramente esemplificativo lo si ascolti in Beyond All Limits). Fragorosa candidatura per il miglior disco dell’anno.
Cerini
Che cosa succede quando uno dei migliori trii in circolazione incontra uno dei più influenti musicisti dell’ultimo – stiamo larghi – quindicennio? BÈ, la risposta si trova nei dieci brani di questo disco, con cui, ancora una volta, Lehman ci invita a sondare la sua produzione. «The People I Love» mantiene infatti lo stesso impianto di «Dialect Fluorescent» (Pi Recordings, 2012). Il trio, come sempre asciutto e affilato, nervoso all’occorrenza, è sempre al centro del discorso; qui come allora, Lehman alterna proprie composizioni a quattro brani altrui, ma stavolta, invece di scomodare Coltrane, Duke Pearson o il nume tutelare McLean, pesca nel recente passato del jazz. Troviamo quindi The Impaler di Jeff «Tain» Watts (si trova in «Megawatts» o anche in «Citizen Tain»), che diventa la logica conseguenza di una versione di Echoes arrangiata per quartetto, Chance di Kenny Kirkland o anche A Shifting Design, un «classico» di Kurt Rosenwinkel, su cui si riversano cascate di note.
Viene invece dall’elettronica (e non stupisce affatto, visto l’interesse di Lehman per il genere), qPlay del duo britannico Autechre, tradotta in chiave acustica, banco di prova per il drum set di Reid. E Taborn, in tutto questo? Contribuisce parecchio a un disco che, racconta Lehman, ha origini lontane, «nei quartetti classici di Bird, nelle registrazioni di McLean con Cedar Walton e McCoy Tyner, che sono molto importanti per me. Nel quartetto Willisau di Anthony Braxton, con Marilyn Crispell. Ma anche nel gruppo Songbook di Kenny Garrett». Insomma, tanto il piano era rilevante in quelle formazioni, tanto lo è in questo disco. Taborn si fa carico di fiati e vibrafono in Echoes e mostra un’affinità naturale con il trio in Ih Calam And Ynnus e Curse Franction, forse i brani più belli di uno dei dischi dell’anno.
Civelli
[da Musica Jazz, ottobre 2019]
Dopo l’avventurosa esperienza di Sélébéyone con il rapper senegalese Gaston Bandimic – che abbiamo avuto modo di ascoltare anche dal vivo, trovandola emozionante – Steve Lehman riprende a occuparsi più direttamente di jazz. Certo, siamo ben lontani dal mainstream, o almeno da quel mainstream che declina l’idioma afro-americano nella sua accezione meno esplorativa, ma il sassofonista decide adesso di fare i conti con le sue radici musicali. Jackie McLean, per esempio, del quale riprende l’inclinazione verso un’espressività libera e disinibita, intervallando a proprie composizioni rivisitazioni di brani di illustri colleghi (A Shifting Design di Kurt Rosenwinkel, Chance di Kenny Kirkland, The Impaler di Jeff «Tain» Watts). Lehman, come molti della sua generazione, esprime un linguaggio di sintesi, sedimentato attraverso una conoscenza approfondita di quella che poco tempo fa veniva definita «l’area creativa» (partendo da Eric Dolphy per arrivare a Evan Parker). I suoi compagni d’avventura si muovono nella medesima direzione, forti di esperienze trasversali come quelle del San Francisco Jazz Collective e di Gonzalo Rubalcaba per Matt Brewer e del trio acustico di Robert Glasper per Damion Reid. La ciliegina sulla torta è il contributo pianistico di Craig Taborn, «uno dei migliori pianisti di jazz in attività» secondo il New York Times.
Nicola Gaeta
DISTRIBUZIONE
FORMAZIONE
Steve Lehman (alto), Craig Taborn (p., vibr.), Matt Brewer (cb.), Damion Reid (batt.).
DATA REGISTRAZIONE
New York, maggio 2019.