Alessi-Morgan-Ravitz a Sesto Jazz

291
Ralph Alessi, Thomas Morgan e Ziv Ravitz, foto di Roberto Bruscoli

Villa Gerini, Sesto Fiorentino

22 febbraio 2020

Evento di punta della rassegna Sesto Jazz (inserita nel circuito del Music Pool), il concerto del trio di Ralph Alessi – con Thomas Morgan al contrabbasso e Ziv Ravitz alla batteria – ha confermato la posizione di assoluto rilievo che il trombettista californiano occupa nell’ambito del jazz contemporaneo.

Non si può certo definire Alessi un virtuoso nel senso convenzionale del termine. In altre parole, da lui non ci si può aspettare gli attacchi fulminanti, gli squillanti assolo con fraseggi da equilibrista che certi suoi colleghi sono in grado di esibire: Jeremy Pelt, Ambrose Akinmusire, Nicholas Payton, tanto per fare qualche nome. Il suo approccio prende vita da un suono nitido ma introverso, a tratti venato da inflessioni più scure, specie quando ricorre alla sordina mute. Si esprime attraverso frasi asciutte, articolate con logica stringente e con perfetto senso della forma. Si fonda su un pensiero che cerca sempre di carpire il nucleo essenziale della melodia.

Ralph Alessi, foto di Roberto Bruscoli

Le sue composizioni riflettono fedelmente questi principi, unitamente al gusto per la costruzione di certi incastri ritmici che in qualche misura gli derivano dalle passate collaborazioni con Steve Coleman. Non è poi un caso che Alessi abbia inserito in repertorio anche riferimenti a Egberto Gismonti (sfrondandone i tratti più palesemente latini) e una versione di Vashkar di Carla Bley: pregnante nella sua veste spartana, densa di riferimenti alla poetica di Ornette Coleman e – quanto a linguaggio strumentale – Don Cherry. Proprio Cherry appare come uno dei suoi numi tutelari. Non tanto per timbrica o fraseggio, quanto per il modo di «pensare» la melodia. Una concezione che – per certi aspetti e limitatamente ad alcuni passaggi – può essere indirettamente ricondotta anche al Leo Smith giovane e perfino al Kenny Wheeler alter ego di Anthony Braxton nei suoi quartetti degli anni Settanta.

Per Alessi Morgan e Ravitz sono degli interlocutori ideali in virtù della loro capacità dialettica. Il contrabbassista riprende e sviluppa gli spunti melodici in uno scambio continuo di segnali e codici. Non solo, agisce come se fosse provvisto di una sorta di «tempo interiore». Infatti, funge da vero e proprio equilibratore del trio: sia che ne leghi e compatti l’azione con frasi scarne ma sempre dense di valenze melodiche, o che sostenga il processo con plastiche note in staccato scandite con suono corposo e avvolgente. Punti di riferimento solidi e irrinunciabili per i colleghi.

Thomas Morgan, foto di Roberto Bruscoli

In un impianto ritmico-armonico che oscilla spesso fra modale e passaggi su tempo libero Ravitz trova ampi margini per figurazioni fantasiose, contrasti efficaci e fitte punteggiature sempre operate con leggerezza e gusto coloristico anche mediante un uso espressivo delle spazzole. In tal senso, il batterista israeliano dimostra di aver saputo felicemente assorbire nel proprio stile elementi desunti da Ed Blackwell e Paul Motian. Esemplare risulta il modo empatico con cui asseconda Alessi nelle linee spezzate, nei crescendo, nelle accelerazioni e decelerazioni di Brilliant Corners di Thelonious Monk.

Ziv Ravitz, foto di Roberto Bruscoli

In conclusione, una lezione-dimostrazione di come si dovrebbe interpretare oggi lo spirito del jazz. Jazz? Parola frusta, disconosciuta o rinnegata anche da molti musicisti. Tuttavia, se declinata in questo modo, ha ancora un significato.

Enzo Boddi