Iseo Jazz, seconda parte

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Iseo Jazz
Il quartetto Double Cut, foto di Battista Sedani

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Iseo, varie sedi, 13-14 luglio

La penultima serata al Lido di Sassabanek ha proposto due formazioni interessantissime nella loro diversa impostazione. Il quartetto Double Cut si segnala tra i più efficaci ed originali non solo sulla scena nazionale, ma anche a livello europeo. Merito anche di un assetto privo di strumenti armonici, che mette a confronto i sassofoni di Tino Tracanna e Massimiliano Milesi: i due alternano tenore e soprano, a volte optando per la soluzione del doppio tenore. La loro interazione è sostenuta dall’impianto ritmico, solido ed elastico al tempo stesso, costruito da Giulio Corini (contrabbasso) e Filippo Sala (batteria). Tracanna e Milesi sono autori di composizioni da cui emergono un gusto contrappuntistico in filigrana, uno spiccato senso del blues, uno sguardo consapevole e maturo sulla tradizione del jazz moderno nonché, qua e là, l’impronta di Ornette Coleman. Una dialettica serrata, proficua, anima L’indice di Alfredo, dedicata da Tracanna al compositore Alfredo Impullitti (scomparso nel 2002 a soli 34 anni) e articolata su un vivace up tempo. La concisione e la compiutezza del fraseggio dei due sassofonisti – dato comune a tutti i brani – si manifesta in pieno nella concatenazione di triadi maggiori di Triads, altro pezzo firmato da Tracanna. Introdotto da un plastico solo di contrabbasso, Spiritual Legacy (di Milesi) contiene palesi riferimenti alla poetica di Coleman, in virtù di un tema che alterna contrazioni e distensioni. Il blues nell’accezione più terragna trasuda dal trattamento tenoristico di The Train And The River di Jimmy Giuffre, con accelerazioni e decelerazioni magistralmente realizzate dall’azione coesa del quartetto.

Iseo Jazz
Double Cut, foto di Battista Sedani

Con La Florence Pocket Orchestra il pianista e compositore Riccardo Fassi traduce la sua scrittura decisamente orchestrale – già ampiamente sperimentata con l’ensemble Tankio Band – nell’ambito del sestetto. Un sestetto che, per composizione e in parte anche per impostazione, può ricordare analoghe formazioni guidate da George Russell (si pensi al memorabile «Ezz-thetics»). Pur al cospetto di un assetto ridotto, prevalgono la varietà di colori e impasti timbrici, i giochi di chiamata e risposta, il robusto e brillante piglio ritmico impresso da Guido Zorn e Bernardo Guerra, le costruzioni polimetriche. Quanto alla sezione fiati, Fabio Morgera condensa il fuoco creativo di Woody Shaw, l’intensità di Freddie Hubbard nel disegno melodico e l’inventiva di Roy Hargrove sui tempi veloci. Nico Gori esibisce un fraseggio rugoso e un timbro efficacemente ruvido al sax contralto, mentre al clarinetto – suo strumento principe – rinuncia al consueto linguaggio ricco e sinuoso per prodursi in frasi e timbri insolitamente ispidi. Al trombone Federico Pierantoni si fa apprezzare per capacità di sintesi, chiarezza e fluidità di eloquio.

La Florence Pocket Orchestra di Riccardo Fassi, foto di Battista Sedani

Spostata nella sala del Castello Oldofredi causa maltempo, la serata finale ha comunque offerto validi motivi di riflessione. Sulla scorta del recente «No Eyes» (Warner) il sassofonista Emanuele Cisi ha riproposto il proprio omaggio a Lester Young, volto a ribadirne l’importanza fondamentale come anticipatore del be bop e del linguaggio moderno del sax tenore (e non solo). Tra l’altro, No Eyes trae ispirazione da una poesia dedicata a Young da David Meltzer prendendo spunto proprio dal particolare linguaggio metaforico utilizzato dal sassofonista, secondo il quale No Eyes significava I don’t care, non mi importa. Cisi ha ripresentato il quartetto con cui aveva inciso il disco, sul quale era presente anche la cantante Roberta Gambarini: Dino Rubino (piano e flicorno), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Adam Pache (batteria). In mezzo a composizioni proprie e altrui Cisi ha inserito Tickle Toe che «Prez» (The President, come lo aveva ribattezzato Billie Holiday) aveva composto per l’orchestra di Count Basie. Già qui si colgono segnali anticipatori della sintassi del be bop. Tra i migliori tenoristi della scena nazionale, Cisi ha inglobato nel proprio stile il modo tornito di cesellare il suono proprio di Young, mentre timbro e fraseggio evidenziano altre nobili discendenze: Ben Webster, Dexter Gordon, in qualche misura Wayne Shorter, dal cui repertorio proviene Lester Left Town. Non poteva poi mancare Goodbye Pork Pie Hat di Charles Mingus, scandita e sussurrata come una sorta di preghiera.

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Il quartetto di Emanuele Cisi, foto di Fabio Botti

Destinatario del premio Iseo Jazz insieme a Luigi Onori (autore di Perigeo, una storia tra innovazione e sperimentazione, di prossima uscita a cura di Stampa Alternativa), Giovanni Tommaso si è presentato in trio con Claudio Filippini al piano e Alessandro Paternesi alla batteria, fornendo l’ennesima prova di un magistero strumentale e compositivo maturato in circa sessant’anni di carriera.  Dato evidente già a partire dalla lucente melodia e dal capiente impianto armonico di Waltz for Lucca, toccante omaggio alla città natale, nel quale spiccano l’uso efficace dell’arco e il pizzicato corposo e pregnante. La cavata profonda e il fraseggio fluido stimolano l’interplay con i colleghi e si esaltano negli up tempo, specialmente su La dolce vita, splendida prova di coesione del trio. L’attenzione alle sfumature timbriche e ai colori trova piena valorizzazione nella rielaborazione del tema da Il postino, dedica all’autore Luis Bacalov, con cui Tommaso aveva condiviso un’esperienza in quartetto. A sorpresa e a ulteriore dimostrazione della varietà di fonti a cui Tommaso sa attingere con rigore stilistico, è apparsa nel finale anche una scoppiettante versione di Hoedown di Aaron Copland, che negli anni Settanta gli amanti del rock progressivo avevano conosciuto grazie a Emerson Lake & Palmer. Tanti buoni motivi per scatenare la reazione entusiastica di un pubblico come sempre attento, in buona parte costituito da uno zoccolo duro di appassionati. Segno evidente del buon lavoro svolto da Iseo Jazz, la vera casa del jazz italiano.

Il trio di Giovanni Tommaso, foto di Fabio Botti

Enzo Boddi