Peter Erskine Quartet a Valdarno Jazz

Un quartetto che fa del proficuo rapporto con la tradizione la propria forza

200

San Giovanni Valdarno, Piazza Masaccio

29 luglio

Ospite dell’ultimo appuntamento di Valdarno Jazz, che quest’anno ha festeggiato la quarantesima edizione, il quartetto di Peter Erskine ha dimostrato come si possa stabilire uno stretto legame con la tradizione del jazz senza scadere in luoghi comuni scontati. Infatti, il quartetto è composto – oltre al batterista e leader – da musicisti di comprovata perizia: il pianista Alan Pasqua, il contrabbassista Darek Oles (all’anagrafe Oleszkiewicz) e il sassofonista George Garzone.

La formazione può contare inoltre su un solido affiatamento, essendo nata dalla più che ventennale esperienza del trio di Erskine, cui in anni più recenti si è aggiunto Garzone. Altro valore aggiunto, il ruolo paritario dei membri, ognuno dei quali ha contribuito al repertorio con delle composizioni proprie.

Chi si aspettava l’Erskine del raffinato trio con John Taylor e Palle Danielsson che aveva inciso «As It Is» e «You Never Know» per la ECM, sarà rimasto spiazzato. Oppure, chi era rimasto ancorato al batterista effervescente che aveva fornito un sostanzioso contributo a Weather Report e Steps Ahead, avrà forse nutrito delle perplessità. Con questo quartetto Erskine esprime e afferma la sua adesione totale a certi elementi fondamentali quali il blues, un genuino swing a tratti scandito anche attraverso il canonico 4/4, il groove, il gusto per la citazione. Ovviamente, Erskine coniuga questi principi basilari con la consueta maestria nel dosare e calibrare le dinamiche, senza mai porsi al centro della scena. Anzi, in certi frangenti sembra quasi operare per sottrazione e limitarsi all’essenziale.

Altrettanto essenziale, a momenti spartano, nella sua efficacia risulta l’apporto di Oles. Il contrabbassista polacco si rivela autore di composizioni interessanti e ben congegnate, ricche di blues feeling, come nel caso di Into The Dark. Come strumentista predilige uno stile asciutto ma predisposto all’interplay, dotato di un suono scarno e di felici intuizioni melodiche negli interventi solistici.

Sodale di vecchia data di Erskine, Pasqua è un musicista probabilmente sottovalutato. Come pianista, possiede un approccio forbito e conciso al tempo stesso, che incorpora l’eleganza melodica e armonica di Red Garland e Wynton Kelly, il senso del blues di Herbie Nichols e Sonny Clark, la capacità di esplorare gli impianti modali di un Herbie Hancock prima maniera. Pasqua traspone poi queste doti anche sul versante compositivo, ad esempio nelle argute costruzioni di Old School Blues e Agrodolce.

Molti ricorderanno Garzone come membro di The Fringe, trio dal potente impatto, completato dal contrabbassista John Lockwood e dal batterista Bob Gullotti, purtroppo scomparso tre anni fa. Il suono e il fraseggio riccamente articolato e stilisticamente variegato del suo sax tenore racchiudono buona parte della storia di questo strumento. Qui emergono la versatilità e quella componente della sua identità più aderente alla tradizione, sia in brani da lui stesso firmati (Strollin’ Down On Bourbon Street, Tutti Italiani) che nelle citazioni collocate nell’ambito degli assolo: per esempio, Stranger In Paradise e Let’s Fall In Love.

Pur citando Coltrane con un frammento di My Favorite Things nello sviluppo di un impianto modale, Garzone evita quelli che si potrebbero definire «coltranismi» di maniera. Fatte le debite proporzioni, a Coltrane lo accomuna quell’impeto febbrile (qui però evidenziato solo in parte) teso a scavare nel tessuto armonico e ricavarne le possibilità nascoste attraverso un’approfondita ricognizione modale. In quei frangenti il fraseggio, ricco di armonici, si fa serrato e si contorce allontanandosi opportunamente dalla sequenza armonica.

Del resto, nel corso della sua lunga esperienza didattica Garzone ha messo a punto il metodo Triadic Chromatic Approach che – mediante l’utilizzo delle quattro triadi (maggiore, minore, diminuita e aumentata) combinate con il sistema cromatico – consente all’esecutore di improvvisare liberamente su qualsiasi progressione armonica.

In conclusione, si dovrebbe parlare di un Erskine mainstream? Considerando che dopo tutto non si tratta di una parolaccia, forse sì. Comunque sia, questo è jazz di grande sostanza, eseguito con gusto e tecnica indiscutibili da musicisti di notevole statura.

Enzo Boddi

Foto di Simone Cherici