Francesco Cafiso : dalla Sicilia a New York passando per il Giappone e l’Australia

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Francesco Cafiso - foto di Oliver Kendl
Francesco Cafiso - foto Oliver Kendl

Francesco Cafiso, senza dubbio partirei dal titolo del tuo album «We Play For Tips»: è sicuramente un ironico atto d’accusa. Vorresti spiegarci meglio il concetto?
Più che un atto d’accusa è un ricordo curioso del mio viaggio a New Orleans. Avevo solo 15 anni e rimasi colpito dai musicisti di strada che, per chiedere la mancia, mettevano nei loro cappelli un foglietto con su scritto «We Play For Tips». Erano dei personaggi veramente bizzarri, parte integrante di quell’atmosfera affascinante di cui tutta la città era impregnata, a partire dalle sue strade.

Un concetto che viene ripreso anche in 20 cents per note. È così dura la vita del jazzista?
Al contrario, «20 centesimi a nota» è la risposta ironica che diedi tempo fa a un mio caro amico che mi chiedeva quanto riuscissi a guadagnare. Ripensando a quell’episodio, decisi di intitolare così un brano velocissimo, pieno di note. Il mio amico è ancora lì che fa i conti…

Dalla lettura delle spiegazioni di ogni singolo album che troviamo nel booklet troviamo alcune dediche e, in particolare, in Blo-Wyn’ quella a Wynton Marsalis. Sei ancora legato a Marsalis?
Sì, certo, Wynton continua a essere un mio grande amico e riuscire a vederci è sempre un piacere enorme. Quando siamo insieme parliamo di tutto, di musica ma anche di aspetti più personali delle nostre vite. La tournée che feci con il suo settetto nel 2003 mi ha lasciato tantissimo e ho scritto il brano ripensando a quella dimensione musicale, che inevitabilmente mi ha influenzato.

Come nel precedente tuo lavoro triplo, prediligi le formazioni più ampie. Qual è il valore aggiunto che tu ritieni diano alla tua musica?
È una mia esigenza quasi istintiva; negli ultimi anni, scrivendo la mia musica, ho sempre avuto in mente i suoni di tanti strumenti, le loro sfumature, i loro colori, attraverso i quali riesco a esprimere ancor più profondamente il mio mondo interiore. In un percorso iniziato soprattutto con l’album «Contemplation», creo delle strutture armoniche e ritmiche complesse, su più livelli, sulle quali potermi poi esprimere liberamente.

Francesco Cafiso
La copertina del nuovo album di Francesco Cafiso Nonet, «We Play For Tips»

In 16 minutes Of Happiness fai riferimento a Gesualdo Bufalino. Quali sono stati i tuoi «sedici minuti di felicità»?
Il viaggio, sia interiore che fisico, ci consente di fare scoperte e di ampliare i nostri orizzonti; questo processo ci porta alla felicità attraverso piccoli momenti di illuminazione che ci fanno vedere tutto in maniera più chiara, rendendoci persone migliori. Potrei dire che, ad oggi, questi momenti si aggirano attorno ad alcuni minuti. Spero che, quando avrò la stessa età in cui Bufalino scrisse questo aforisma, potrò raccontarvi di ancora tanti momenti di felicità.

Dal punto di vista compositivo ed esecutivo, sembra che la tua musica abbia sterzato verso una maggiore durezza e un suono più contemporaneo e introspettivo. Quali sono i motivi di questo cambiamento?
Non ci sono dei motivi razionali, il mio linguaggio inevitabilmente si evolve sulla base della mia voglia di raccontarmi agli altri in un determinato momento. Puntare sull’innovazione è per me imprescindibile, ma solo se questa è legata alla mia interiorità.

Ci parleresti della genesi del tuo gruppo? Come hai scelto i tuoi compagni di viaggio?
I ragazzi sono tutti professionisti con cui condivido una visione del jazz in cui lo swing, il blues e la creatività sono i veri protagonisti. Ciascuno di loro possiede un timbro e un linguaggio corrispondenti al sound che avevo in mente, energico e ricco di sfumature.

Pragmaticamente parlando, un nonetto non è difficile da «vendere»?
Certamente sì, non è affatto facile; è un aspetto che ho messo in conto, ma non ho voluto che questo limitasse l’idea artistica e creativa del mio progetto.

Un’altra novità è costituita dalla casa discografica, che reca la tua firma. Perché hai voluto intraprendere anche questa via?
Perché con una mia squadra posso gestire in autonomia ogni aspetto dei miei lavori e al contempo sostenere e promuovere i talenti che via via faranno parte di questa famiglia.

Francesco, sappiamo che sei molto legato alla tua Sicilia, ma voci di corridoio dicono che sei in procinto di partire. È vero?
Sì, già da un paio d’anni ho intensificato la mia permanenza a New York e ci tornerò già nei prossimi mesi; gli Stati Uniti rappresentano certamente un luogo ricco di stimoli, incontri e opportunità.

Francesco, cosa manca all’Italia – e agli italiani – per credere nella musica jazz e averla più a cuore?
L’Italia vanta dei bravissimi musicisti, probabilmente mancano le opportunità per potersi esprimere al meglio, gli spazi… Mi auguro solo un maggiore sostegno da parte delle istituzioni, affinché questo patrimonio venga valorizzato e sostenuto come merita.

Cosa è scritto nell’agenda di Francesco Cafiso?
Ci sono tanti progetti in cantiere; tra gli impegni confermati posso dirti che a marzo sarò in tournée in Giappone insieme a Mauro Schiavone e che a giugno sarò in Australia in quartetto. Subito dopo partirà la XI edizione del Vittoria Jazz Festival, di cui sono direttore artistico e di cui, proprio in questi giorni, si sta definendo il cartellone.

Alceste Ayroldi

Francesco Cafiso Nonet foto di Antonio Riva
Francesco Cafiso Nonet – foto di Antonio Riva