Lars Danielsson: amo l’Italia e il mio contrabbasso italiano del 1610

Il contrabbassista svedese è stato uno dei protagonisti dell'estate jazzistica, anche in Italia. Lo abbiamo intervistato

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Lars Danielsson e CaecilieNorby - copyright ACT/Gregor Hohenberg

Nei mesi scorsi Lars Danielsson ha portato il suo quartetto in giro per l’Italia, e il pubblico nostrano ne ha potuto apprezzare l’alto livello dei componenti: il giovane pianista martinicano Gregory Privat (cui è spettato il non facile compito di sostituire Tigran Hamasyan), John Parricelli alla chitarra e Magnus Öström alla batteria. Archiviato il secondo atto di «Liberetto», il contrabbassista e violoncellista svedese arriva finalmente a mettere su disco il lunghissimo sodalizio musicale con la cantante e compositrice danese Cæcilie Norby, sua compagna anche nella vita.

A cose fatte, come giudichi gli ultimi mesi?
Sono molto soddisfatto di com’è andato questo tour estivo; in particolare mi piace sottolineare come sia stata travolgente la risposta di chi è venuto ad ascoltarci. Per me è stato emozionante incontrare così tante persone e ottenere un riscontro così positivo: sono molto grato a tutto il pubblico.

I tuoi concerti italiani sono stati un autentico successo: te lo aspettavi?
In Italia è stato fantastico. Conoscevo già il pubblico del vostro Paese e sapevo che la nostra musica era di suo gradimento. C’è da dire che questo atteggiamento positivo nei nostri confronti è cresciuto ed è andato oltre ogni aspettativa.
Infatti, rispetto al passato, stai suonando molto più spesso in Italia. Segno che il pubblico ti vuole bene.
Penso sia una questione di crescita della band: di conseguenza, sempre più gente scopre la nostra musica. Sono molto contento di suonare più spesso per il pubblico italiano perché è genuino, diretto e dimostra chiaramente i propri sentimenti su ciò che ha ascoltato: reagisce diversamente, con maggiore spontaneità, rispetto al pubblico di altri Paesi.
Amo l’Italia: il cibo, la lingua, la natura e, inoltre, il mio contrabbasso italiano che risale al 1610!

«Liberetto» e «Liberetto II». Perché hai scelto questo nome per il gruppo e i suoi cd?
Liberetto è una parola autocostruita, che gioca sulla combinazione dei titoli di due miei precedenti album: «Libera Me» e «Tarantella». Diciamo, quindi, che è il prosieguo di questi due lavori discografici. E, quasi di conseguenza, è diventata anche il nome del mio attuale gruppo.

A proposito della musica del tuo nuovo quartetto, sembra che qualcosa sia cambiato rispetto al passato: c’è maggiore energia.
È facile e comune che la musica cambi sia durante un tour sia quando suoni spesso. Penso che ci siamo evoluti parecchio, nei tanti concerti che abbiamo dato. Io sto già guardando avanti e, in particolare, punto a tornare in studio per registrare un nuovo cd.

Forse qualcosa, rispetto al disco, è cambiato con l’innesto di Gregory Privat. Dove lo hai scovato?
Può darsi che sia cambiato qualcosa con Gregory. Comunque il merito non spetta a me, perché è stato il mio manager René Hess a sentirlo e restarne colpito. Io non lo avevo mai ascoltato prima e ho dovuto cercarne traccia su internet. E’ un grande talento e ha aggiunto nuovo spirito alla nostra musica.

Il quartetto: come lo hai formato?
Sono i miei musicisti preferiti e adoro il loro modo di suonare e la loro grande creatività, ma sono anche delle persone meravigliose. Ho suonato sia con John Parricelli sia con Magnus Öström anche in contesti diversi e con altri musicisti.

Per te la musica classica è importante quanto l’improvvisazione?
I brani che scrivo oggi sono ispirati dalla musica classica, dal folk e dal pop, così come dal jazz. Sono una miscela di tutta la musica che ho ascoltato in questi anni.
Ho iniziato in chiesa da bambino. Il mio insegnante di musica era un organista e suonava durante le funzioni. Quindi, le mie composizioni risentono di tutto il mio vissuto musicale.
Rispetto al passato, la tua musica è diversa. Cosa ha determinato questo cambiamento?
Per me la musica è un processo continuo: una cosa porta a un’altra. Vent’anni fa non avevo idea di quale musica avrei creato oggi, così come non so che musica farò domani.

La vita quotidiana influenza le tue composizioni?
Ciò che influenza le mie composizioni è soprattutto il tipo di musica che ascolto e che ho ascoltato in passato, più della mia vita quotidiana. Adesso tutte le cose terribili del nostro mondo, con tutti i migranti, i rifugiati e la loro immensa sofferenza, richiamano la mia attenzione, così come dovrebbe interessare a tutti.

Lars Danielsson – foto Roberto Cifarelli

Cosa fai per mantenere viva la tua creatività?
Cerco di concentrarmi nel fare non troppe cose nello stesso tempo, per essere in grado di scavare nel profondo di poche cose. Mi piace comporre soprattutto al mattino, quando la mente è libera dagli altri suoni e da altra musica.

Tra i tanti musicisti con il quali hai collaborato, ce ne è uno che ha lasciato il segno più di altri?
Ha significato moltissimo per me poter suonare con Cæcilie Norby. Fin dal primo istante, la nostra comunicazione musicale è stata quasi telepatica. Amo tantissimo suonare anche con Leszek Możdżer: un pianista che reputo fantastico.

Pensi che il jazz europeo sia cresciuto di più rispetto a quello statunitense?
Penso che lo sviluppo del jazz, della musica improvvisata non dipenda dal Paese in cui uno si trova. Oggi ci sono tantissimi giovani musicisti in tutto il mondo che meritano attenzione.

Parliamo quindi del nuovo album con Cæcilie, «Just The Two Of Us».
L’idea è nata dal fatto che abbiamo suonato in duo per molti anni senza mai registrare nulla. La gente, al termine dei concerti, ci chiedeva un disco e noi non ne avevamo, così abbiamo deciso di andare in studio e incidere. Suonare in duo crea una situazione speciale.

Tra i brani in scaletta ce ne sono a firma tua e di Cæcilie, ma anche alcuni di Leonard Cohen, Joni Mitchell, Abbey Lincoln. Perché proprio questi?
Both Sides Now e Hallelujah le avevamo suonate dal vivo per tanti anni e, personalmente, non ero convinto di registrarle in studio perché le avevamo proposte fin troppe volte in concerto. Sapevamo di avere una sola occasione, perché dopo quella volta non le avremmo più ripetute. Il brano di Abbey Lincoln, Wholly Earth, è semplicemente meraviglioso. Adoro suonare tutti questi brani. Per quanto riguarda le mie composizioni, ci sono i testi di Cæcilie ad arricchirle.

Un album in duo che suona come un’orchestra. Era il risultato che cercavate?
No di certo, ma ci fa piacere che l’effetto sia questo, che si capisca che siamo qualcosa di più di un contrabbasso e di una voce. Comunque voglio registrare ancora con Caecilie, magari lasciando più spazio all’improvvisazione.

E ora siete già in tour. Verrete anche in Italia?
Sì, sono previsti dei concerti italiani in primavera. Come ho detto prima, amo il vostro Paese!

Quali sono i tuoi programmi futuri?
Crescere come musicista, come compositore e come persona: un progetto esistenziale, insomma! Sto già lavorando al nuovo disco, che dovrebbe uscire nella primavera del 2017.

Alceste Ayroldi