Mike Nock «Changing Seasons»

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AUTORE

Mike Nock

TITOLO DEL DISCO

«Changing Seasons»

ETICHETTA

DIW, 2002


Uno dei lavori più belli mai realizzati da Nock, in trio con bassista e batterista delle sue parti, presumibilmente suoi allievi (Brett Hirst e Toby Hall) ma entrambi capaci di un lavoro ispiratissimo. Il repertorio sembra essere concepito come una sorta di report del sentire musicale provato da Nock in quel momento, dal remoto pezzo di affezione Black Is The Color agli ultimi frutti della ricerca nel campo della libera improvvisazione, passando per un paio di grandi temi jazzistici (E.S.P. di Wayne Shorter e il molto meno frequentato Time di Richie Powell). E l’intensità di ciascuna esecuzione, nessuna esclusa, dà miracolosamente unità al tutto. Si ha infatti idea che Nock, sessantaduenne, abbia rimesso in gioco tutto l’assetto della sua poetica, che sia andato avanti e con la grandezza di chi per questo non cambia rotta. Perché all’inconfondibile «clima» della sua musica, qui ribadito nei modi consueti da tre sole composizioni (Acceptance, Epigenesis e Drowning Joyfully), partecipano con nuovi termini episodi diversi. Da una parte, un rigoglioso 6/8 africanista alla maniera di Randy Weston, posto proprio a inizio disco (Three Dee); dall’altra, due pezzi totalmente improvvisati (Communion e Gravity Adjustment) e due nuove composizioni sviluppate in assenza o quasi di traino melodico (i due Changing Seasons) in cui, più o meno a pari livello, la perdita di logica musicale appare perfettamente compensata da una chiarissima coerenza nei climi emotivi. Siamo all’atto puro di ciò che Nock aveva messo in laboratorio quindici anni prima («Open Door») e ripreso solo in circostanze particolari («Touch» e «Not We But One»): una situazione di equilibrio ottimale e di massima interferenza tra improvvisazione di gruppo e spontaneous composition individuale. Ma per uno come lui, che in fondo non si ferma mai, questa è ancora una tappa interlocutoria.

Paolo Vitolo

[da Musica Jazz, febbraio 2019]