Arild Andersen: «Per me improvvisare è interagire»

di Alceste Ayroldi

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arild andersen

Il contrabbassista norvegese Arild Andersen, nato nel 1945, è una colonna portante del jazz suonato in Europa.

Partiamo dal tuo ultimo lavoro, «In-House Science» (ECM). E, in particolare, dal titolo. Qual è il significato?
Il titolo si riferisce a due dei brani e il luogo in cui abbiamo registrato, il museo Villa Rothstein di Bad Ischl, già residenza dei celebri fisici Viktor e Walter Schauberger, padre e figlio, ha ovviamente un forte legame con la scienza. Già avevo l’idea di pubblicare un album dal vivo; poi la radio austriaca ha registrato il concerto. Mi è piaciuta la qualità della registrazione e, soprattutto, ciò che abbiamo suonato.

Quali sono le dinamiche che ti legano così tanto a Tommy Smith e a Paolo Vinaccia?
Ci ascoltiamo a vicenda. Tommy e Paolo ritengono, come me, che l’energia debba fluttuare liberamente. Non si tratta di un solista più sezione ritmica.

Parliamo di Mira. Potresti dirci qualcosa su questa composizione, come è nata e a chi o cosa è ispirata?
L’ho scritta e chiamata così in onore della stella rossa Mira, che mi ha ispirato.

Con quali criteri (sempre che ce ne siano) hai scelto i brani della scaletta del concerto che ascoltiamo nel disco?
Volevo realizzare un disco live che avesse molta energia. Io e Manfred Eicher abbiamo scelto i brani; dopo di che, è stato lui a disporli nell’ordine che trovate sul cd.

Da tanto tempo incidi per ECM. Cosa ti lega a questa casa discografica? Cosa ha in più delle altre?
Negli ultimi dieci anni ho registrato con ECM quattro dischi. Penso che sia un buon risultato. Collaboro con ECM dal 1970: hanno una distribuzione mondiale e tengono ancora intatto il loro catalogo.

arild andersen - tommy smith

Hai iniziato suonando con musicisti della tua area geografica. Ma per un certo tempo hai collaborato anche con musicisti americani di passaggio o di stanza in Europa come Phil Woods, Chick Corea, Sonny Rollins, Dexter Gordon, Johnny Griffin; infine ti sei trasferito negli USA e hai suonato anche con Stan Getz, Sam Rivers, Sheila Jordan. Quali Quali differenze hai trovato tra il suonare con jazzisti americani e il farlo con i tuoi colleghi scandinavi?
A quel tempo fu veramente un grande piacere far parte della sezione ritmica locale per i musicisti statunitensi che arrivavano in Europa. Ho imparato tantissimo suonando con quei maestri. Parallelamente era fantastico suonare anche con Jan Garbarek, Jon Christensen e Terje Rypdal, con i quali ho innestato le mie esperienze sulla tradizione americana, riuscendo a comprendere meglio che interplay, significava lasciare un po’ da parte il ruolo del solista.

Da sempre riesci a far coesistere il folclore scandinavo e l’improvvisazione. Pensi che questa formula sia applicabile alla musica folclorica di tutto il mondo, oppure quella scandinava si presta meglio a questa soluzione?
È una gran bella domanda. Potrebbe andare bene per parecchia della musica folk. Per me è importante mantenere la semplicità nella musica di origine folk, evitare di armonizzarla ma improvvisare sugli accordi come se si trattasse di standard.

E qual è la tua prassi compositiva?
In certi periodi, quando avverto la necessità di scrivere della musica, inizio da un’idea e ci lavoro su per l’intera giornata. Il giorno successivo parto con un’altra idea, evitando di lavorare su ciò che avevo fatto il giorno precedente. E così via. Quando ho ottenuto un numero sufficiente di abbozzi, allora mi fermo, torno indietro e ascolto quel che ho combinato. È più semplice mettere le mani su un brano quando lo ascolti con orecchie diverse. Spesso unisco i frammenti delle diverse cose che ho scritto e li faccio confluire in un solo brano. Lavoro sempre al computer.

arild andersen - tommy smith - paolo vinaccia

Pensi che il tuo stile o la tua tecnica siano mutati rispetto al passato?
Sinceramente non direi. Non più di tanto, perlomeno. Il mio obiettivo era ed è quello di avere una sonorità nitida e ben presente. Ho cercato di tenere il passo con la tecnica, anche se non mi interessa usarla per suonare più veloce ma per scolpire meglio il fraseggio.

A quali altri progetti stai lavorando?
Oltre al trio con Smith e Vinaccia, che include adesso anche Makoto Ozone, suono spesso con il pianista Helge Lien e il batterista Gard Nilssen. Nel nostro ultimo concerto c’era anche Marius Neset ai sassofoni. Ho un duo con Daniele Di Bonaventura, con il quale vorrei suonare di più. Terrò a breve un paio di concerti con Joshua Redman, Bugge Wesseltoft e Per Oddvar Johansen. Ho anche un altro progetto che dovrebbe concretizzarsi a maggio: suonerò da solo su un basso a dodici corde. Infine c’è il nuovo disco con Yelena Eckemoff, Jon Christensen e Thomas Strønen, che uscirà prossimamente.

Alceste Ayroldi

(Estratto dall’intervista pubblicata sul numero di maggio 2018 di Musica Jazz)

Leggi la recensione del disco «In-House Science»