Vein: parla Michael Arbenz

Il trio svizzero, con già dieci dischi all'attivo, ha da poco pubblicato il nuovo album «The Chamber Music Effect» e sarà a Trieste il 7 giugno.

309

Vein, alias i gemelli Michael Arbenz (pianoforte) e  Florian Arbenz (batteria), con Thomas Lähns (contrabbasso).  Il versatile trio svizzero, con all’attivo già dieci dischi, ha da poco pubblicato il nuovo album «The Chamber Music Effect». Di questo e di altro ne abbiamo parlato con Michael Arbenz. Il trio sarà a Trieste il 7 giugno (museo Revoltella; info: www.controtempo.org).

Come si è formato il trio?
Viviamo tutti nella stessa città, Basilea in Svizzera. Io e mio fratello incontrammo Thomas molto tempo fa alla scuola di musica e, dopo qualche tempo, abbiamo iniziato a lavorare insieme in alcuni progetti. Finalmente, abbiamo deciso di continuare solo noi tre.

Perché Vein?
Vein è un nome molto versatile. Può significare la vena che trasporta il sangue al cuore, ma anche la vena in un albero o nel senso umoristico. Alla fine dei conti, il sangue ha bisogno di un impulso per essere pompato nelle vene! E questa immagine rappresenta molto bene la nostra musica. Soprattutto, a noi è piaciuta l’apertura e i differenti significati di questo nome, proprio in relazione alla nostra musica.

Parliamo del vostro ultimo lavoro discografico «The Chamber Music Effect». C’è una nuova dimensione rispetto al precedente «Vote For Vein», perché è molto più vicino al mainstream, alla musica classica anche. Come mai questo cambiamento di rotta?
Tutti noi abbiamo studiato musica classica e lavorato a lungo in orchestre di musica classica; musica che ha esercitato una grande influenza su di noi. In questo nuovo album abbiamo provato a mettere insieme i concetti del jazz con quelli della classica. Anche perché, il modo di suonare musica classica è molto più vicino alla nostra idea di interplay.

A proposito: pensi che il jazz europeo sia molto differente rispetto a quello statunitense?
Naturalmente! Oggi in Europa c’è una grande varietà di stili e di modi di suonare il jazz, così come negli Stati Uniti; ma a voler semplificare il tutto, penso che alla base ci sia una differenza di tradizioni. I musicisti europei si concentrano maggiormente sul suono, sulla composizione e sul flusso musicale, che è influenzato dalla musica classica. Se guardiamo i pianisti europei che hanno influenzato quelli della mia generazione, come Enrico Pieranunzi per esempio, tutto ciò è molto evidente.

Cosa (o chi) ha ispirato questo album?
Sono tante le cose che ci ispirano. Se cammini con gli occhi e il cuore ben aperto, si può trarre ispirazione da tante cose. Può essere la musica, ma anche storie, sentimenti od oggetti dai quali puoi imparare e scambiare con le altre persone. «The Chamber Music Effect» si ispira a tanti suoni, concetti, strutture, flussi ed esperienze di tutti i tipi di musica classica da camera: da Debussy a Bach, a Stravinskij. Ed è per questo che abbiamo scelto questo titolo.

Con riferimento al vostro album «Jazz Talks» è il vostro secondo disco con Dave Liebman.
Liebman è uno dei più importanti sassofonisti della sua generazione. Ha una così approfondita conoscenza della musica e ha suonato con tantissimi giganti del jazz. Questi sono i motivi che ci hanno spinto a voler suonare con lui. Poi, tra di noi c’è un grande feeling e, con il passare degli anni, è nata anche una bella amicizia.

E prima di David Liebman avete collaborato con Glenn Ferris. In futuro, il vostro trio potrebbe diventare un quartetto?
No, lo escludo. E’ sempre stata una nostra idea ospitare un solista in alcuni tour. Abbiamo collaborato con Glenn Ferris, Greg Osby, Rick Margitza e Dave Liebman. Tutti loro ci hanno ispirato moltissimo, ma noi siamo sempre un trio e la maggior parte dei nostri concerti sono in questa formazione. Ed è così che vogliamo rimanere in futuro.

Avete registrato anche «Porgy And Bess». Secondo te, cosa rappresenta quest’opera nella storia della musica?
«Porgy And Bess» è un’opera unica. E’ denominata una jazz-opera, perché racchiude il jazz e gli stilemi dell’opera classica. E’ un’idea che precorre i tempi dei fratelli Gershwin. Inoltre, molti grandi del jazz l’hanno adattata: penso a Louis Armstrong ed Ella Fitzgerald, Miles Davis e Gil Evans. Abbiamo voluto all’evoluzione storica contribuire con una nostra versione.

Qual è il vostro punto di vista musicale e quale il vostro obiettivo?
La questione è complessa. Penso che il concetto Vein abbia molte varianti all’interno. Non abbiamo limiti dal punto di vista della concezione musicale, così come tanti altri gruppi. Noi cerchiamo di creare un suono-Vein unico all’interno di composizioni differenti tra loro. Siamo molto legati alla tradizione jazz (abbiamo suonato con moltissimi jazzisti come Marc Johnson, Kirk Lightsey, Bennie Maupin), ma siamo alla ricerca di una musica che vada bene per il XXI secolo. Il nostro obiettivo è di soddisfare l’ascoltatore a ogni livello; noi lo chiamiamo: cervello-cuore-piacere-sorpresa.

Il piano jazz trio richiama alla mente il trio di Bill Evans. Secondo te, la vostra musica è vicina o lontana dalla concezione di Bill Evans?
Bill Evans è stato il padre della moderna concezione del piano trio. Naturalmente, molte idea del piano trio contemporaneo trae origini dal trio di Bill Evans, ma vi sono anche molte nuove idee che si sono aggiunte: per esempio, il trio di Paul Bley, quello di Keith Jarrett, poi Jason Moran, Enrico Pieranunzi, Robert Glasper.

Secondo te, qual è la situazione del jazz in Europa dal punto di vista economico, organizzativo, sociale e del pubblico?
Innanzitutto, l’Europa ha un unico network di club, festival e serie di concerti che provvede a creare un grande contesto per ascoltare e suonare la musica improvvisata. La situazione in generale, oggigiorno, sta cambiando notevolmente. In primo luogo, molti dei vecchi organizzatori si sono ritirati, così c’è stato un sostanzioso ricambio con organizzatori appartenenti alla nuova generazione che sono subentrati. Allo stesso tempo, i social media, lo streaming e altre innovative tecniche hanno cambiato il sistema commerciale musicale e il modo di consumare la musica. Vedremo il futuro dove ci porterà…

Una domanda banale: due gemelli nello stesso gruppo (un trio, peraltro) sono un problema o un vantaggio?
Né l’uno, né l’altro. Noi lavoriamo molto insieme, ma siamo un trio con tre componenti con gli stessi diritti: alcune volte, pensiamo di essere  una terzina di gemelli!

Che musica stai ascoltando ultimamente?
Dipende. Se suono molto, non ascolto molta musica: adoro il silenzio. Ovviamente, ascolto molta musica per professione, ma ciò che mi appassiona è tutto il jazz e la classica. Alcuni dei miei preferiti sono Maurice Ravel, Igor Stravinskji, Bill Evans, McCoy Tyner. Della nuova generazione, apprezzo molto Stefano Bollani, Jason Moran, Ambrose Akinmusire, Gerald Clayton.

Quali sono i vostri prossimi impegni?

Nel 2017 viaggeremo in tutta Europa e faremo un tour in Giappone e in Russia. Collaboreremo nuovamente con Greg Osby e partirà una nuova collaborazione con un altro sassofonista: Andy Sheppard, con il quale registreremo un nuovo disco.  Nel 2018, abbiamo pianificato un progetto speciale per il quale collaboreremo con una big band e un’orchestra sinfonica. Avremo parecchio da fare e da comporre nei prossimi mesi! E il 6 giugno saremo in Italia, a Trieste al museo Revoltella.
Alceste Ayroldi

http://www.vein.ch/