Intervista a Luciano Linzi

Il Direttore Artistico della Casa del Jazz in occasione della riapertura della stagione concertistica offre il suo punto di vista sull’attuale situazione.

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Direttore Artistico del Festival di Milano JazzMI e della Casa del Jazz di Roma, membro del direttivo dell’associazione I-Jazz, creatore negli anni Ottanta della Gala Records (Enrico Rava, Roberto Gatto, Enrico Pieranunzi, Danilo Rea, Lingomania, Dee Dee Bridgewater tra gli altri artisti che furono nel suo catalogo), collaboratore nell’organizzazione dei concerti di Keith Jarrett, già dirigente della Warner Music Italy, Luciano Linzi è indubbiamente uno delle figure di maggior rilievo nel mondo del jazz italiano. In qualità di Direttore Artistico della Casa del Jazz di Roma fu l’ideatore della collaborazione con il gruppo La Repubblica/L’Espresso, per la fortunata collana «Il jazz italiano», che ha contato ben sei edizioni, raggiungendo numeri di vendita inusitati per il panorama nazionale. In occasione della riapertura della stagione concertistica romana, ci ha offerto il suo prezioso punto di vista sull’attuale situazione.

Luciano, com’è la situazione? La situazione è questa: noi siamo rimasti chiusi praticamente quattro mesi, come tutto il mondo. L’ultimo nostro concerto in sala è stato il 4 marzo – un concerto di piano solo di Craig Taborn, straordinario, tra l’altro – e da allora abbiamo dovuto chiudere tutte le nostre attività. In questi mesi abbiamo cercato di mantenere un filo che ci legasse al nostro pubblico, agli appassionati, con delle iniziative online, una serie di contributi che abbiamo richiesto o ricevuto da una lunga serie di musicisti che, da casa, si sono sentiti di dover testimoniare la loro presenza nei confronti della nostra Istituzione e del pubblico che li segue, con delle piccole esibizioni, diciamo così, dei piccoli omaggi che servivano soprattutto a mantenere aperto un dialogo, e appena c’è stata l’opportunità di poter ricominciare con qualche attività dal vivo abbiamo rapidissimamente immaginato, insieme alla Fondazione Musica per Roma, di poter ri-allestire, secondo però le normative indicate dopo lo scoppio della pandemia – quindi: distanziamenti, spazi tra il pubblico, accessi gestiti secondo tutte le norme di sicurezza –. Abbiamo pensato che fosse importante far ripartire la struttura, la Casa del Jazz, e la scintilla della musica dal vivo. Riproporre insomma al pubblico quella che ormai è una consuetudine per la Casa del Jazz: la nostra stagione nel parco. Il parco come tu sai è uno dei pregi più grandi che quella struttura ha, due ettari e mezzo tra le Mura Aureliane, dietro Caracalla, uno scenario con magnifici pini marittimi che decorano e creano un’atmosfera che d’estate, per chi ascolta il jazz, è davvero una condizione unica, magica. E l’idea, anche della Fondazione Musica per Roma, era quella di riaprire sia la Casa del Jazz che lo spazio della Cavea, presso l’Auditorium; quindi dare un segnale forte, in questo momento di totale smarrimento, per riportare anche lavoro, evidentemente, a tutti gli operatori e a quelle persone che, insieme ai musicisti, concorrono a produrre il concerto dal vivo e l’esibizione. Quindi agenzie, tecnici del suono, facchini, impiegati di tutte le strutture, eccetera. Quindi era un impegno molto forte e, come puoi immaginare, anche molto gravoso, soprattutto da un punto di vista economico, perché ci trovavamo in una situazione in cui occorreva uscire da un tunnel, dal buio e dalla paura e ovviamente cercare in qualche maniera di superare una situazione di convalescenza, evidentemente. Riappropriarsi di una dimensione di socialità che in questi quattro mesi è totalmente e forzatamente sparita dal nostro vivere quotidiano.

Non mi sembra che vogliate minimamente cedere… No, non volevamo e non vogliamo assolutamente cedere di fronte alle difficoltà e devo dire che il jazz a livello nazionale ha dimostrato di essere molto presente e attivo attraverso una serie di manifestazioni e di iniziative importanti, di concerti online, di esperienze che veramente hanno tenuto alta l’attenzione verso questo settore, anche con le iniziative della Federazione Nazionale Il Jazz Italiano, l’iniziativa di Paolo Fresu, proprio anche a stimolare l’attenzione e la necessità di sostegno nei confronti di quelle categorie maggiormente penalizzate e messe a rischio fortemente per la situazione, per la totale mancanza di lavoro di questi mesi, per la crisi generata dal Covid, anche nel nostro settore. E devo dire appunto che l’idea di mettere insieme un cartellone estivo – tra l’altro credo tra le prime Istituzioni culturali in Italia a farlo e sicuramente la prima qui a Roma, a riprendere l’attività concertistica il 1° di luglio – sia stato davvero un segno molto forte, che è stato molto apprezzato sia da tutta la comunità dei musicisti, sia da quella degli operatori e da tutto il settore nostro.

La programmazione «made in Italy» è una necessità, fuor di metafora. Può rivelarsi un’opportunità? E per chi? La programmazione che ho messo insieme per la Casa del Jazz, questo cartellone che abbiamo ribattezzato «Casa del Jazz Reloaded», è totalmente italiana, o quasi del tutto, diciamo al 99%. C’è un unico concerto, al momento, di artisti internazionali, previsto per il primo di agosto, con Michael League e Bill Laurence degli Snarky Puppy che si trovavano qui in Europa al momento dello scoppio della pandemia e quindi sono rimasti e hanno pensato, nel momento in cui ci sono state le condizioni per poter immaginare una ripresa dell’attività dal vivo, di creare questo duo inedito, che presenteremo anche noi. Per il resto, appunto, un cartellone che ho dovuto totalmente rivedere rispetto a quello che avevamo immaginato di lanciare agli inizi di marzo e che necessariamente è stato composto di una selezione – una sorta di compendio – del meglio del jazz italiano o comunque di una buona fetta di questo. Credo che le condizioni date dovrebbero continuare a offrire delle opportunità importanti per i musicisti italiani. È importante che questo accada. Come sai con la Casa del Jazz abbiamo sempre dato uno spazio prevalente a questa scena, a tutti i suoi componenti e musicisti, da quelli affermatissimi a quelli storici, a quelli emergenti a quelli più giovani; abbiamo sempre avuto un’attenzione particolare in questo senso. Credo che sia un’opportunità importante per tutti, da cogliere, sia per i direttori artistici delle varie manifestazioni sia per i musicisti stessi. Una maggiore opportunità di farsi sentire, di poter essere selezionati. Mi auguro anche che per una buona parte dei miei colleghi ci sia l’opportunità di aprire a delle proposte che esulino dai nomi che sono già in maniera abituale nei cartelloni delle nostre programmazioni. Il nostro cartellone andrà avanti anche tutto il mese di agosto, esclusa la settimana di Ferragosto e anche tutto settembre, l’idea è quella che, avendo allestito la struttura, questo palco e questa platea, che può accogliere fino a seicentoquaranta posti a sedere, valesse la pena di poterli tenere per tutto il periodo estivo e anche oltre, anche perché le incertezze che ci sono poi sulla ripresa delle attività in autunno sono ancora davvero importanti. C’è questo limite che ancora prevede una capienza al massimo di duecento posti a sedere in qualsiasi tipo di sala e questo renderà davvero difficile una ripresa delle attività per chiunque nella stagione prossima. Quindi in attesa di capire se queste norme verranno confermate o meno, abbiamo deciso di avere una continuità per tutta l’estate, anche perché crediamo che a Roma quest’anno ci sarà molta più gente che rimarrà a casa forzatamente o comunque vivrà le vacanze estive nella propria città, se non per limitati soggiorni fuori. E quindi che ci sia una platea potenzialmente importante che possa venire a seguire i nostri concerti. Questo in virtù anche del fatto che c’è una limitatissima offerta sulle manifestazioni musicali, anche pop e rock: mancano tantissime manifestazioni e grandi concerti che sono stati cancellati. Ci auguriamo quindi di poter attrarre anche un pubblico extra-settore in questa stagione all’aperto.

Abbiamo scoperto di non esserci risvegliati migliori dopo l’emergenza… il mondo del jazz italiano appare frammentato e litigioso. Perché, secondo te? Credo che il mondo del jazz rifletta un po’ il mondo e quindi sia uno specchio di quel che accade un po’ universalmente. Purtroppo questa crisi ha accentuato tantissime difficoltà e questo evidentemente provoca delle reazioni anche comprensibili, esasperate dal momento, dalla difficoltà, dalla capacità di intravedere semplicemente anche un oggi, un domani se non un futuro e questo credo che aumenti le difficoltà. Poi purtroppo, come dici tu, i social diventano anche cassa di risonanza potente di questi malesseri e di questi atteggiamenti, di queste litigiosità. Credo che in realtà sarebbe auspicabile che proprio in un momento di difficoltà estrema come quello attuale e di incertezza assoluta tutte le varie componenti di un comparto si unissero a fronte di un bene superiore o di un obiettivo comune e positivo, per la ricostruzione e la ripartenza. Questo purtroppo nei fatti non accade o accade parzialmente rispetto a quello che sarebbe auspicabile. Detto questo, non credo che sia possibile fare diversamente che non appunto cercare di ricondurre tutto a delle battaglie comuni, a un’unione, a rafforzare anche le entità che esistono e rappresentano appunto tutte le varie componenti del nostro settore. Bisognerebbe cercare di fare fronte comune per trovare delle soluzioni che siano allargabili a tutto il nostro sistema, nei rapporto con le Istituzioni, nel rapporto anche con i media e la comunicazione anche all’esterno; è importante continuare un’opera di segnalazione di quello che è il valore di questo comparto e della necessità di misure anche straordinarie in questa fase che vadano a tutelare il prezioso volume di grandissima cultura che il mondo del jazz esprime attraverso gli spettacoli, la divulgazione, l’insegnamento eccetera. Purtroppo, come si è visto, da una parte anche il mondo politico sottovaluta il nostro ambito, il nostro settore; non dico soltanto la musica jazz, ma la musica in generale, lo spettacolo dal vivo, le arti in assoluto. Bisognerebbe tornare tutti a combattere per sottolineare quanto questo sia ossigeno per le nostre vite, quanto la cultura, l’arte, la musica possano aiutare il nostro vivere quotidiano in queste fasi così difficili della nostra epoca, mettendo da parte cattiverie inutili o atteggiamenti che siano controproducenti per una battaglia di senso positivo, come deve essere.

Nella tua posizione, hai una ricetta per uscirne? Credo che molto semplicemente si debba sempre ripartire dalla scuola, dall’insegnamento. L’iniziativa che è stata intrapresa da un paio di anni, anche con la creazione dell’Associazione «Il jazz va a scuola», va in questa direzione e deve essere perseguita in maniera sempre più solida e importante e proficua. Da lì bisogna ripartire: dall’insegnamento della musica. Il jazz ha dimostrato in tantissimi episodi che può essere un veicolo importante, che avvicina anche con la dimensione del gioco i bambini più piccoli, delle scuole primarie. Noi della Casa del Jazz quest’anno abbiamo dato vita ad un’orchestra di bambini con un corso tenuto da Massimo Nunzi e avremmo avuto l’opportunità di far esibire questi piccoli proprio nella stagione in cui si è dovuto chiudere tutto, però quella esperienza andrà sicuramente ripresa al più presto. La Jazz Campus Kids Orchestra è un’orchestra di sedici elementi, tutti ragazzi dagli otto ai quattordici anni che hanno fatto, anche a detta dei genitori e non solo di loro stessi, un’esperienza straordinaria, trovandosi in una dimensione fantastica e scoprendo un vero e proprio mondo e lo comunicano a tutti i loro coetanei. Non vedono l’ora di riprendere e abbiamo tantissime nuove richieste d’iscrizione. Ecco, su questo fronte credo che si possa davvero fare tanto, forse non lo si è fatto a sufficienza nel passato, ma ora davvero ci sono esperienze in tutti i territori d’Italia che lavorano in questo senso e da lì si può ricominciare ad educare un possibile, se non esercito di giovani musicisti, di ascoltatori da educare alla sensibilità per la musica e per gli strumenti, della musica dal vivo, del suono degli strumenti veri, della bellezza del jazz, che in particolare porta anche un carico di valori sociali e culturali assolutamente fondanti e da lì, si può, io credo, ripartire.

Cosa ti aspetti per l’autunno, per il movimento e per i Festival, soprattutto i «tuoi»? Per l’autunno, anche per il Festival JazzMI, c’è molta incertezza, come dicevo: non abbiamo ancora, al momento, contezza di quali saranno i teatri disponibili, le sale e con quale capienza. Quindi immaginiamo sicuramente di poterlo svolgere, perché non vogliamo assolutamente saltare un anno, ma ovviamente sarà un’edizione modulata secondo quanto sarà possibile. Vogliamo mantenerne le caratteristiche, che hanno fatto affermare JazzMI come uno dei Festival più importanti, in Italia e non solo, però con una dimensione che sarà inevitabilmente più ridotta e con un cartellone che sarà probabilmente dedicato, anche lì, soprattutto ai musicisti italiani. Poi vorremmo creare delle altre opportunità, con delle modalità che sfruttino anche il mondo online, che stiamo studiando e immaginando in questo momento. Sarà sicuramente complicato, sarà certamente una stagione difficile da affrontare, però purtroppo la situazione è in cambiamento e in evoluzione giorno per giorno, per cui occorrrerà fare i conti, giorno per giorno, con quanto sarà possibile fare. Però, comunque, dal 22 ottobre al 1° novembre JazzMI sicuramente si svolgerà.
Sandro Cerini
(la fotografia di Luciano Linzi è di Ray Tarantino)