Con Partipilo, Signorile, Abbracciante, Bardoscia, Accardi e Oliveti, ecco il nuovo, ottimo album della brava cantante pugliese Stefania Dipierro
Di recente hai pubblicato il tuo nuovo disco «Base Terra». Qual è stato il percorso musicale che ti ha portato a inciderlo?
Il mio percorso musicale è imprescindibilmente legato a quello personale. Sono cresciuta con una sveglia indimenticabile: ogni mattina mio padre metteva su un 33 giri delle Quattro Stagioni di Vivaldi che si diffondeva per tutta la casa assieme all’odore del caffè. Inoltre mi regalava dischi dei Duran Duran e di Bach. Mia madre, invece, quando era a casa ascoltava e cantava Mina. Il loro principale insegnamento: le cose si fanno con amore e con passione. Anni di compiti, lezioni di piano, inglese, danza e tennis… Ho avuto una vita sempre molto piena e a ritmo. Ho iniziato a studiare pianoforte e a leggere la musica a soli cinque anni. A venti mi sono ritrovata, quasi per caso, a registrare per il Fez di Nicola Conte con i Tempo 5, poi con Fez Combo, Quintetto X, Paolo Achenza. Ho gravitato nel collettivo per tutti gli anni Novanta entrando in contatto con la musica di Elis Regina, Marlena Shaw, Roy Ayers. Negli anni 2000, prima a Roma e poi ad Amsterdam, sono stata vocal resident del Supperclub, nella cui sede romana, ho spesso duettato con Lucio Dalla e una sola indimenticabile volta con Pino Daniele . In quello stesso periodo, portavo avanti il mio progetto personale dal titolo Connection Italia-Brasil con Les Hommes, Antonello Vannucchi dei Mark 4, Rosalia De Souza, Fabrizio Bosso. In seguito sono rientrata a Bari, dove ho ripreso a suonare il pianoforte e, quasi per magia, ho iniziato a scrivere a comporre. Vortici di Idee è nata lì e tutta di getto, musica e parole.
Nel disco c’è una commistione di riferimenti musicali che vanno da Battiato a Caetano Veloso, da Max Gazzé a Pixinguinha. Quali sono i concetti alla base di questo lavoro?
Anche qui la «sveglia del mattino» mi ha aperto a territori sconosciuti, a nuove albe. Ad un certo punto ho sostituito l’album «Turiya Sings» di Alice Coltrane – che amo infinitamente – con i cd di Battiato e Max Gazzè, alternandoli con Bill Bruford e Annette Peacock. Anche la vibrazione di certi live mi ha sedotta, come «Abraçaço» di Caetano con Banda Cê, trio di giovani rockettari contemporanei. Per quel che riguarda Pixinguinha, lo ascolto da decenni. In sostanza, un’impalpabile frequenza mi ha sempre fatto vibrare su cose molto diverse. Ed è anche la poesia, il messaggio delle liriche a spingermi verso certi ascolti e quindi verso la mia scrittura. Mia madre si occupava di filosofia, e forse nel mio DNA scorre l’amore per la conoscenza e per i concetti.
Ho voglia di dire certe cose attraverso la musica e in questo album ho trovato la mia identità, trovandomi libera di esprimermi su temi per me fondamentali: la pace come consapevolezza e azione interiore, la condivisione tra persone simili che si riconoscono sulla base di intenti comuni. Autentiche cellule pacifiche della società possono creare un’onda di pace sempre maggiore, una libertà intesa come libertà disciplinata e quindi rispettosa del prossimo, la verità nell’esprimere i propri sentimenti e comportamenti in armonia con la comprensione dei sentimenti e atteggiamenti altrui. Spesso si è abituati a pretendere e a prendere, mentre bisognerebbe comprendere.
Il disco si articola in diversi momenti, quello italiano, quello anglofono e quello lusitano. Perché hai sentito la necessità di creare un lavoro così diversificato?
«Base Terra» ruota attorno a una dimensione musical-filosofica di apertura e inclusione, libera da confini di genere e di territorio. Ho sempre scritto e cantato in inglese e portoghese, per esempio nel mio album del 2016 con Nicola Conte, «Natural» per l’etichetta inglese FarOut. In passato avevo scritto in italiano il brano Blue, interpretato da Petra Magoni sull’album «Magic Susi», di Fabrizio Bosso e Marco Moreggia, così come Fumo negli occhi per un mio featuring con il Black Zone Ensemble. La lingua italiana mi permette di accorciare le distanze col pubblico del mio Paese, con cui ho voglia di dialogare. Anche per questo ho scelto un’etichetta italiana, la Incipit Records/Egea Music, lavorando col supporto della BMU-Intersuoni di Ettore Caretta.
«Base Terra» si colloca a metà strada tra la tradizione popolare della tua terra e le nuove frontiere elettroniche. Come sei riuscita a conciliare questi mondi?
Il mio movimento musicale sfiora il dialogo con le mie origini, tra mentalità, stili e strumenti. Sono pugliese di padre barese e madre salentina, e per noi queste due terre, pur così vicine, sono distanti nel modo di accostarsi ai valori della vita. Per me è stato normale veder convivere due estremi nel loro strano amore e conflitto costruttivo-distruttivo e amarli entrambi. Bari è una città borghese ed estetizzante, la associo fortunatamente al Fez, che ho vissuto in prima linea negli anni dell’acid jazz e dello spiritual jazz con molte aperture brasiliane, e a Time Zones, che ha sempre portato avanguardia e sperimentazione in città. Il Salento è invece ricco di profumi della natura e di suoni mediterranei con tamburi, fisarmoniche e canti popolari. Tutte queste realtà mi hanno permesso di respirare la musica del mondo. In particolare, la traccia Girandole e fiori ha un certo sapore popolare, sostenuta dalla fisarmonica di Vince Abbracciante. Qui racconto di moti continui, paure, calure, girandole e fiori e risolvo con la felicità che attende chi ha coraggio.
Nella tua carriera ti sei cimentata spesso con la musica brasiliana. Credi che esista un legame tra la MPB e la musica della tua terra?
Il filo tra MPB e musica popolare salentina sta senz’altro nel modo di stare insieme attraverso la musica, riempire le strade di gente di tutte le età col tamburello in mano, intonando canti antichi e danzando fino allo sfinimento. In Brasile si ballano il samba, la capoeira, le danças de roda; da noi la pizzica. L’altro aspetto riguarda i riti religiosi, che in Brasile si manifestano nel sincretismo del candomblé e da noi nella cultura del tarantismo. Il mio omaggio al Brasile, in questo disco, pesca dalla tradizione i brani attraverso i quali si sono espressi artisti come Chico Buarque de Hollanda e Caetano Veloso. Penso a O Que Será e a O Quereres/Per chi chiede.
Oltre a essere interprete, sei anche autrice di gran parte dei brani. Quali sono state le tue ispirazioni?
Il disco è appunto diviso in due sezioni. Per la parte contemporanea ho scritto musica e parole con un approccio fortemente autobiografico. Vortici di idee, che si muove su un beat anni Ottanta, è un’analisi della realtà che viviamo. Si apre con il suono di un carillon che evoca un dolce cullare; d’un tratto nasce il bisogno di svegliarsi e di affermare che «l’amore viene naturale, l’odio purtroppo insegnato e fa male fa male». Deixa Tudo –in portoghese «lascia tutto» – è un’ode all’istinto, alla vita libera e selvaggia. Base Terra, invece, è un Brasil-funk che ho riproposto anche in chiave dub. Take Courage, brano legato alle sonorità della club culture, è un dialogo di fiducia con sé stessi, sull’avere il coraggio di fare, scegliere e amare con la sicurezza che nessuno potrà mai toglierci quello che è veramente parte di noi. È dedicata a mio figlio Diego. Coraçao da Loucura è un mantra dalla tessitura spirituale, tipico delle cerimonie cantate in Sud America o in Salento.
Canti in inglese, italiano e portoghese. Come riesci ad essere così camaleontica?
Credo che l’arte passi attraverso l’esplorazione di colori e sensazioni, un po’ come fa Marina Abramovich con il visual sensoriale. Questo intento l’ho sperimentato anche nel videoclip di Vortici di idee. Per le scenografie dei live uso degli elementi di opere neon e concettuali di un’artista barese che ammiro molto, Daniela Corbascio.
La band che ti accompagna si chiama Paz Community. Chi sono i musicisti e cosa hanno aggiunto a questo disco?
Sono i miei compagni di viaggio da sempre: siamo musicisti affini per formazione – classica e jazz – per sensibilità, per vissuto ed apertura musicale. C’è Mirko Signorile al pianoforte alle tastiere: con lui ho anche un progetto trasversale in cui spaziamo su vari territori lasciando libera la nostra indole visionaria, Canto l’amore. A basso elettrico e contrabbasso c’è Marco Bardoscia, e anche con lui vivo la dimensione del duo con lo stesso tipo di inclinazione e con elementi di elettronica live che Marco sa usare perfettamente. Vince Abbracciante è un vero camaleonte musicale, legato alla tradizione e capace di usare la fisarmonica come un organo psichedelico. Con lui e la new entry Antonio Oliveti, alle percussioni etniche e mediterranee, ci dedichiamo ai repertori popolari. Con Fabio Accardi – alla batteria – suono di tutto dai tempi del Fez, amiamo entrambi la MPB e la house music. A dar fiato ai voli progressivi c’è infine il dolcissimo Gaetano Partipilo, anche lui collega dagli anni del Fez, che con i suoi sassofoni e l’elettronica live si trasforma in un vero alieno volante!
Ma tutto ha preso forma attorno alla parola Paz, pace in portoghese: ciascuno ha apportato le proprie caratteristiche al suono del disco, che raccoglie il contrasto poetico della natura, tra vibrazioni forti e delicate, trabordante di energia e amore.
Oltre a cantare insegni tecnica della voce. Parlaci delle tue «Geometrie vocali di Kandinskij».
Ho elaborato questo genere di didattica, basata sulla relazione tra le discipline, sull’insegnamento di Vasilij Vasil’evič Kandinskij che, quand’era docente alla Bauhaus, la celebre scuola tedesca di arti e design, faceva cantare ai suoi allievi dei canoni sulle tre coordinate punto-linea-superficie. La produzione del suono vocale si interseca col movimento del corpo, porta un accrescimento psico-fisico e stimola il contatto con sé stessi. Cantare fa bene e aiuta ad ascoltare; muoversi aiuta ad essere felici.
Cosa dobbiamo aspettarci per il tuo prossimo futuro?
Ho tagliato i capelli: sentivo il bisogno di essere leggera come una farfalla che vola col vento e non come una piuma portata dal vento. Per il futuro ci aspettiamo di continuare a volare, cantare in italiano e dire una serie di cose.
Pietro Scaramuzzo
[da Musica Jazz, febbraio 2019]