Dexter Gordon: il gigante sofisticato

I novant’anni dalla nascita del grande tenorista furono celebrati in Danimarca, Stati Uniti, Francia, Svezia e da una biografia scritta dalla vedova: rievocandolo si ripercorre un pezzo di storia del jazz

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Il sassofonista Dexter Gordon (1923-1990) è una figura della quale bisognerebbe tornare a parlare periodicamente, soprattutto a beneficio di chi vuole approfondire il jazz. Non è un caso che per tutto l’anno 2013, in occasione dei novant’anni dalla sua nascita, gli venne reso omaggio in varie parti del mondo, dalla Danimarca agli Stati Uniti, dalla Francia alla Svezia, e così via. Sempre nel 2013 è uscita, inoltre, la pubblicazione di una biografia curata dalla vedova, Maxine Gordon. Per la statura fisica – quasi due metri – e artistica, Gordon fu soprannominato Long Tall Dexter e Sophisticated Giant. Il sassofonista rappresenta una figura emblematica: rievocandola nei suoi aspetti – vita, carriera, musica – si ripercorre un pezzo di storia del jazz: Dexter Gordon è il racconto del jazz, e porta con sé un’infinità di spunti.

Quello fondamentale rimane il modo in cui egli incarnò il bebop, sua musica d’elezione, che lo vide attivo sia nella nativa California sia sulla East Coast. Nel jazz le rivoluzioni non sono mai state brusche rotture con il passato. Charlie Parker, padre putativo del bebop, si era formato sui dischi di Lester Young, ascoltandoli ossessivamente. In Dexter Gordon si trova un esempio evidente di quanto i giovani rivoluzionari guardassero ai padri, soprattutto a quel maestro gentile e introverso del jazz classico. «Qualunque cosa Lester facesse era meravigliosa», racconterà poi Gordon. «Provai a imparare alcuni dei suoi assoli, ma non copiandoli nota per nota. Ciò che cercavo di recepire era soprattutto la sua concezione di come va suonato il sax tenore».

Il Dizionario del jazz di Carles, Clergeat e Comolli la definisce «noncuranza», termine che peraltro rischia di essere inteso in un’accezione negativa. Si tratta, piuttosto, di un certo modo di suonare senza alterarsi quasi mai, senza scaldarsi troppo. Basti dire che, in un forum sul web, uno degli iscritti aveva aperto una discussione chiedendo se esistevano dischi nei quali il sassofonista mostrasse un’inedita aggressività…

Nei suoi assoli Gordon ha un passo sicuro, tranquillo, eppure imprevedibile. C’è un controllo tale della situazione che a volte il sassofonista si permette effetti sorpresa: un’imperfetta intonazione e perfino un leggero ritardo sul tempo, una specie di pigrizia che dà umorismo. Il suo è tutto un gioco che mira a trattenere l’attenzione dell’ascoltatore. Quella sicurezza e il timbro vigoroso, netto (che lui riprese anche da Herschel Evans, l’amico-rivale di Lester Young), furono le caratteristiche più ammirate da John Coltrane che, pur essendo più giovane di lui di un paio d’anni, considerava Gordon la sua principale influenza. Il tutto, inoltre, lasciò un’impronta pure sull’altro grande sassofonista del jazz moderno, Sonny Rollins.

Lester, Dexter, Coltrane: questa catena conferma, appunto, che il jazz non procede per fratture ma obbedisce alla legge dell’influenza transgenerazionale, e per questo commuove. Tra l’altro, lo stesso Gordon non sarà chiuso alle innovazioni apportate al jazz da Coltrane (per esempio nel recupero del sax soprano in chiave moderna) e da Rollins.

Dexter Gordon
La famosa foto pubblicitaria con Wardell e Dexter “The Chase” nell’estate 1947. Dalla copertina dell’lp “The Chase and the Steeplechase”.

Dexter – dicevamo – non si scaldava troppo. Nemmeno nelle «battaglie», pratica diffusa tra i sax tenori negli anni Trenta-Quaranta. La più famosa resta The Chase (nelle versioni 1947 e 1952), dove ebbe accanto l’amico Wardell Gray. Anche quest’ultimo aveva assimilato la lezione di Lester Young, ma aveva introdotto nel bebop anche la pallida sonorità del maestro. Il risultato non fu una sfida vera e propria ma piuttosto un esempio proprio dei modi diversi nei quali si può metabolizzare un modello: e anche per un neofita è facile individuare quando suona l’uno e quando suona l’altro (morbido Wardell, asprigno Dexter).

Fu per merito di entrambi che nel bebop fece il suo ingresso il sax tenore. Ma la musica di Dexter Gordon dovette poi confrontarsi con la vita. Sembra un paradosso: la sua carriera decollò quando il bebop era già una fase storicamente esaurita e dall’avanguardia eroica si era passati a forme meno spericolate. Per tutti gli anni Cinquanta il sassofonista rimase ingabbiato nella tossicodipendenza, finendo anche in carcere per possesso di eroina. Riuscì a liberarsene solamente agli inizi dei Sessanta, aprendo la sua più ricca fase creativa, che coincise all’incirca con il quindicennio vissuto in Danimarca.

Un’altra storia nella vita di Dexter Gordon, infatti, parla di migrazione: per essere più precisi, di quel flusso di jazzisti statunitensi, quasi tutti neri, che negli anni Sessanta scelsero di vivere in Europa. Le condizioni di vita erano particolarmente difficili negli Stati Uniti per un jazzista: il lavoro scarseggiava, l’ambiente risultava troppo competitivo. L’Europa, invece, era accogliente. Arrivarono in tanti: i cosiddetti Americans in Europe. Dopo una tournée di successo, Gordon si stabilì a Copenaghen, dove poté finalmente vivere di jazz con una certa serenità e registrare con regolarità grazie alla locale casa discografica SteepleChase. Questo non vuol dire, però, che si fosse estraniato dalla patria. Leggeva l’Herald Tribune e fu anche iscritto alla sede danese delle Pantere nere…

Dexter Gordon
Lugano, Swiss – 1963/09/20 – Teatro Kursaal – Festival del Jazz di Lugano – Dexter Gordon ts, Kenny Drew p, Gilbert “Bibi” Rovere b, Art Taylor d – Foto © Riccardo Schwamenthal / CTSimages.com – Phocus

Ma in Europa, proprio in quanto musicista jazz, era rispettato e amato. Questo amore è al centro del film di Bertrand Tavernier ’Round Midnight – A mezzanotte circa (1986), ambientato a Parigi. È la storia immaginaria di un grande jazzista, naufrago della vita, e di un giovane fan locale che si prende cura di lui e cerca di salvarlo. Appunto, con amore. Per il ruolo del jazzista il regista pensò proprio a Gordon. Dato che significava affidare la parte del protagonista a un attore esordiente, Clint Eastwood si spese a titolo privato presso la Warner Bros affinché fosse accettata la proposta. Alla fine Gordon – che mise nel personaggio un po’ di Lester Young, di Bud Powell e di se stesso – ebbe perfino la candidatura all’Oscar.

dexter gordonDexter conosceva bene sia Lester Young, sia Bud Powell. Proprio con quest’ultimo, grandissimo American in Europe domiciliatosi a Parigi, registrò nel 1963 «Our Man In Paris». Molti lo considerano il suo capolavoro, ma come dimenticare «Doin’ Allright», «Gettin’ Around», «Ca’ Purange», «Biting The Apple», «More Than You Know»…? In questi album svetta l’inarrestabile creatività del sassofonista e si trova la quintessenza del suo stile: il calore umano, la fierezza dell’improvvisazione, il sound voluminoso, il modo energico di emettere una nota per volta come se stesse piantando chiodi, le ripetute iterazioni che danno agli assoli il carattere di affermazioni inoppugnabili. Vien da dire che lì dentro c’è la vita, ripensando proprio a quello che Gordon disse una volta: «Secondo me il jazz è una musica viva. Sin dagli inizi ha espresso i sentimenti, i sogni e le speranze della gente».

Giuseppe Piacentino

 

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