Weather Report, viaggio nell’atelier elettronico

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Come altre storie del jazz, anche questa parrebbe trovare il proprio incipit in una formula consueta e pigra: «In principio era Miles»; ma la questione è più complessa, legando Davis e Zawinul in un clinch tra vecchi pugili (i due erano fanatici appassionati e praticanti della nobile arte) ove si fa difficile distinguere le reciproche influenze. L’ammirazione di Miles per l’austriaco era genuina – non solo frutto dell’infatuazione per il suono del piano elettrico Wurlitzer – e fondata sulla capacità del pianista di stare all’essenziale, come esecutore, mantenendo raffinate capacità compositive.

Davis le sfruttò largamente: nel 1968 incise tre composizioni di Zawinul (Ascent, Directions No. 1 e Directions No. 2); altre seguirono nel 1969 (In A Silent Way, Pharaoh’s Dance, Gemini, Double Image, Orange Lady, Recollections e Take It Or Leave It). Il pianista tuttavia non gradì il trattamento subìto dai propri materiali, in termini di disarticolazione armonica ma non solo. Pur partecipando alle sedute che tagliarono in due il campo semantico del jazz – distinguendo inevitabilmente il prima dal dopo – rifiutò di entrare stabilmente nei gruppi davisiani e di partecipare ai tour. «In A Silent Way» e «Bitches Brew» costituirono l’occasione per Zawinul di incrociare nuovamente la propria via con quella di Shorter.

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Se Davis ammetterà nella propria autobiografia l’influenza zawinuliana, non pare dubbio, rovesciando la doppia immagine, che proprio la scarnificazione di Miles – fedele al crisma del play what’s not there! – e la dissoluzione dell’ordito armonico-melodico in un flusso di ritmo e timbro indicassero la «chiave di volta» (1) dei primi capolavori dei Weather Report. L’uso del funk e di una scansione ritmica di tipo binario, anch’essi mutuati da quell’esperienza, ne segnarono in modo indelebile gli sviluppi successivi.

 

Né va dimenticato un altro magnifico precursore: «Zawinul» (Atlantic, 1971), in cui la vena impressionistica dell’austriaco si dispiega, tra l’altro, nei bozzetti coloristici di In A Silent Way (restituita alla sua integrità), His Last Journey e Arrival In New York. Davis scrisse le note di copertina, magnificando lo sviluppo delle idee avute «insieme» a Zawinul; questi sottolineò come a un Miles che avrebbe voluto a tutti i costi partecipare al disco avesse chiesto «in regalo», per preservare la propria musica, le sole note di copertina.

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Wayne Shorter con Joe Zawinul

L’altra ragione che impediva a Zawinul di legarsi stabilmente a Davis era il presagito percorso umano che lo avrebbe unito a Wayne Shorter, già conosciuto in un remoto 1959. Zawinul approdava alla Berklee School of Music direttamene dall’Austria, grazie a una borsa di studio: entrambi si trovarono poi brevemente nella big band di Maynard Ferguson.

Il sassofonista di Newark seguì dapprima orbite diverse, ampiamente storicizzate, nei Jazz Messengers e nel quintetto davisiano delle meraviglie. Nel dopo Davis anticipò in proprio alcune delle idee che avrebbero composto il futuro caleidoscopio del Bollettino Meteorologico, proiettando le proprie intellettualistiche visioni in alcuni basilari album per la Blue Note: «Super Nova» (1969), «Odyssey Of Iska» (1971) e «Moto grosso feio» (1970, pubblicato nel 1974). Trasformazioni profonde prendono corpo non in suoni elettrici ma nel raffinato uso di un metalinguaggio terzomondista che riduce a uno musiche altre.

Shorter era già stato della partita in «Zawinul» (nel brano Double Image); qui si era rivelato anche il contrabbassista ceco Miroslav Vitous, anche lui arrivato alla Berklee direttamente da un concorso internazionale viennese: negli Stati Uniti inciderà «Infinite Search» (Embryo, 1969) e «Purple» (Cbs, 1970, uscito solo in Giappone).

Il crocevia artistico e umano era molto trafficato (2): negli album di Shorter sono presenti Airto Moreira (in «Super Nova»), Alphonse Mouzon (in «Odyssey Of Iska») e lo stesso Vitous (in «Super Nova» e in «Moto grosso feio»). Insomma: c’era una via comune da percorrere. E proprio Vitous, nell’estate del 1970, assunse l’iniziativa che condusse alla creazione del gruppo, chiamando Shorter, il quale coinvolse Zawinul nel progetto. Per un paradosso della vita, il ceco fu mallevadore di un matrimonio alchemico che lo ammise come sodale soltanto per un breve periodo.

weather reportL’esordio è sfolgorante: «Weather Report» (Columbia, 1971) ottiene le cinque stelle di DownBeat, che lo considera un album di «musica oltre le categorie»; è votato come disco dell’anno nel referendum dei lettori e largamente considerato, da allora in poi, come una delle migliori opere prime nella storia del jazz. Nella musica prevalgono l’uso del colore e una estrema varietà ritmica e timbrica (diverranno elementi distintivi della band anche per il futuro). I brani sono spesso narrazione per immagini musicali, come è evidente già dai titoli in Umbrellas, Waterfall, Morning Lake. La pièce de résistance è Orange Lady, già incisa da Zawinul con Davis (e con accreditamento parziale) come Great Expectations.

La struttura del gruppo, almeno per quanto riguarda i tre leader, è del tutto paritaria. Ciascuno porta due composizioni; Umbrellas è un lavoro collettivo e la sola Milky Way, splendido bozzetto impressionistico, è, per sua intima natura di creazione estemporanea a due, accreditata a Shorter e Zawinul. Ma il clima del disco è complessivamente corale e gli stessi autori ne parlano come di una «conversazione a più voci». Comune è anche lo sfruttamento dei diritti, con la società denominata Shoviza Production Inc (dalle iniziali dei tre fondatori). Alphonse Mouzon è alla batteria e ai cori, mentre Airto Moreira è alle percussioni. Non accreditati, partecipano all’incisione anche due altri percussionisti: Barbara Burton e Don Alias.

Weather Report - I Sing The Body Electric La medesima temperie artistico-espressiva si ripropone in «I Sing The Body Electric» (1972). Il completo avvicendamento della sezione ritmica è segnato dall’ingresso di Eric Grávátt (batteria) e del percussionista brasiliano Dom Um Romão, già insegnante di Moreira (3). Il brano cardine è Unknown Soldier, in cui Zawinul, mediante un ampio affresco di sapore classico e quasi straussiano (era nota la sua riverenza per il compositore tedesco), rievoca un remoto episodio d’infanzia, ovvero la sepoltura dei cadaveri di due soldati tedeschi, uno dei quali privo di piastrina di riconoscimento. In esso, per la prima volta, Zawinul fa uso di un sintetizzatore, l’Arp 2600. L’album riceve ancora un’accoglienza ottima da parte della stampa (quattro stelle di DownBeat, che lo descrive come «una raccolta di stati d’animo o di brani a programma»). Il lato B raccoglie una parte dello strepitoso concerto del 13 gennaio 1972 alla Shibuya Kokaido Hall di Tokio, poi pubblicato integralmente (ma per lungo tempo soltanto in Giappone) sul doppio «Live In Tokyo». Il disco mostra che i Weather Report non sono soltanto una band da studio ma, anche dal vivo, una delle migliori espressioni del jazz degli anni Settanta.

Seppure con il vento in poppa, il gruppo affronta nel 1973 una decisa rivoluzione. Il casus belli, divenuto storico, è rappresentato dalla mancata attitudine di Vitous per il funk e dalla volontà di Zawinul di sterzare decisamente verso le scansioni binarie del r&b delle radici per evitare il rischio di una stasi, non tanto (e non solo) creativa ma nel funzionamento della band in concerto. Ciò lo porta a rifuggire dalle atmosfere indefinite, sostanzialmente modali, verso le quali inevitabilmente inclina Vitous, europeo sino al midollo (anzi «Slavic», come orgogliosamente rivendicherà lui stesso in un’intervista del 2003). Del resto Zawinul è coerente con un proprio punto di vista (oltre che con le esperienze maturate con Davis): «The bass is the mother of all music, and the drums are the father».

weather reportCosì, nei tre brani cruciali di «Sweetnighter», Vitous viene affiancato dal basso di Andrew White che, di fatto, ne rende quasi puramente formale la partecipazione al disco. Alla batteria Herschel Dwellingham si pone accanto a Grávátt, mentre Muruga Booker è alle percussioni. Boogie Woogie Waltz, 125th Street Congress e Non-Stop Home sono i brani iconici della nuova scelta. Nei poliritmi è il fulcro del nuovo corso, che guarda forse più in direzione di Sly Stone che non di Davis: la musica è inevitabilmente qualcosa d’altro. DownBeat accoglie ancora entusiasticamente (cinque stelle) la nuova uscita («This is a band that lives between categories»). Vitous accetta l’idea di non essere in grado di usare la funkiness nel senso desiderato da Zawinul; ma Will, unico brano da lui composto e trait d’union con i primi dischi, è comunque bellissimo, ponte ideale tra due dimensioni possibili e dimostrazione della grandezza del gruppo, che decide di perseguire anche un maggior successo commerciale.

 

«Mysterious Traveller» (1974) e «Tale Spinnin’» (1975) consolidano la svolta e insieme confermano una lucida solidità d’intenti artistici. Brani come Nubian Sundance, Cucumber Slumber, Mysterious Traveller, Jungle Book, Scarlet Woman scolpiscono gli esiti di una scelta artistica irrevocabile. Il bassista Alphonso Johnson, che entra nel gruppo direttamente da quello di Chuck Mangione, offre il definitivo collante funk, fatto di solido ancoraggio e di propulsione impetuosa. Il rito ancestrale così ben descritto in Nubian Sundance è ancora, a distanza di anni, nella memoria degli appassionati; Mysterious Traveller dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, che anche Shorter aderisce in maniera convinta al nuovo corso; la tela di Jungle Book sarà il canovaccio per mille future divagazioni world e fusion.

«Tale Spinnin’» è, in termini di pura coesione stilistica, persino migliore e annuncia gli esiti che saranno distillati di lì a breve. Memorabili sono Man In The Green Shirt, Between The Thighs, Badia, Freezing Fire; l’album guadagna ancora le cinque stelle di DownBeat, che loda l’approdo «a un punto magico, nel quale i musicisti sembrano “sentirsi” l’uno con l’altro senza sforzo […] una miscela di folk songs e di jazz sofisticato in una sintesi incantevole, non pretenziosa» (4).

La proverbiale auto-presentazione di Jaco Pastorius a Zawinul, nel 1975 («My name is John Francis Pastorius III, and I am the greatest electric bass player in the world»), è la manifestazione di un genio che segnerà la fase più alta del percorso artistico del gruppo. Già «Black Market» (1976) – che vede Pastorius dapprima affiancare Johnson, mentre alla batteria subentrano Chester Thompson e Narada Michael Walden e alle percussioni Alex Acuña e Don Alias – si manifesta come provvisorio apice della carriera del gruppo. Il brano eponimo si propone come un vero e proprio marchio di fabbrica; Elegant People dimostra ancora la bontà assoluta della scrittura shorteriana (e l’astrazione della sua riflessione: «It’s so elegant to be a human being – elegant meaning good fortune»); Gibraltar è ancora immagini in musica, come nei consueti e meglio riusciti poemi zawinuliani, a celebrare luoghi, atmosfere, sensazioni.

Weather Report - Heavy WeatherMa l’apogeo della creatività e della fama – in una progressiva salita verso l’empireo, apparentemente inarrestabile – è «Heavy Weather», l’album perfetto sotto ogni profilo e senza possibilità di dubbio. Pastorius garantisce un mirabile punto di equilibrio tra Zawinul (cui lo legano le scelte melodiche) e Shorter (cui si raccorda per la sonorità tondeggiante) e tiene fede alla sua epifania, dimostrandosi non soltanto strumentista spettacolare ma anche eccellente compositore e scopritore di alchimie all’interno del gruppo (sua l’idea di spostare Acuña alla batteria, determinando l’ingresso di Manolo Badrena alle percussioni). Birdland, A Remark You Made, Palladium, Havona, Harlequin sono brani indimenticabili. «Heavy Weather» raggiunge la soglia delle 500.000 copie vendute e miete i consensi pressoché unanimi della stampa specializzata.

Weather Report
Il quartetto di «8:30» in terra newyorkese: da sinistra Joe Zawinul, Wayne Shorter, Peter Erskine e Jaco Pastorius.

Una netta battuta di arresto – forse inevitabile, dopo tanta grazia – è «Mr Gone» (1978). L’album, dominato dalle tastiere, fallisce nella ricerca di un equilibrio, rivelandosi fusion nel senso corrivo: algido tecnicismo. Pesano la relativa distrazione della triade Zawinul-Shorter-Pastorius, assorbita da progetti personali, e l’indecisione nella conduzione del ritmo, assegnata a ben tre diversi batteristi (Peter Erskine, Tony Williams e Steve Gadd). «8:30» (1979) riporta incisioni dalla trionfale tournée del 1978 (ma è parzialmente manipolato in studio, per ripristinare parti dell’incisione perdute a causa dell’errore di un tecnico) e diviene una sorta di epitome, che fotografa in azione una macchina perfetta: quattro uomini che suonano come se fossero otto! Malgrado la presenza di una facciata piuttosto debole, e controversi giudizi della stampa, raggiunge un ottimo livello di vendite.

weather reportCon «Night Passage» (1980; composto di brani inediti registrati dal vivo) la band recupera alcuni stilemi più vicini a un jazz di tipo cittadino e post-boppistico; i momenti migliori vengono da Night Passage, Dream Clock e Three Views Of A Secret (5). «Weather Report» vede la medesima band cimentarsi con un opus quasi totalmente zawinuliano (Shorter firma soltanto When It Was Now, mentre Dara Factor Two è accreditata a tutta la band). Il disco non è ammiccante, né tanto meno facile. Anzi: le composizioni sono al solito complesse e molto ben suonate. Tuttavia aleggia un eccesso di cerebralismo che va a discapito di un genuino coinvolgimento emotivo. Da segnalare la suite in tre parti N.Y.C..

 

 

 

Il 1982 vede l’abbandono di Pastorius, assorbito da vicende personali e purtroppo non solo di indole musicale. Perso anche Erskine, il gruppo viene nuovamente ristrutturato, con l’ingresso di Omar Hakim (batteria), Victor Bailey (basso) e José Rossy (percussioni e concertina). «Procession» (1983) tenta un ritorno alle origini, nella chiave del multilinguismo musicale che fu, ma pur se a tratti interessante è ormai privo del senso della scoperta. Da ricordare sono solo il brano che l’intitola e Plaza Real, che entrerà poi nel repertorio shorteriano. I Manhattan Transfer cantano Where The Moon Goes.

 

Weather Report 1983
Zawinul e Shorter svelano al mondo la band del 1982: nel baule, José Rossy, Omar Hakim, Victor Bailey.

A dispetto delle non lusinghiere recensioni – che ravvedono in esso la reiterazione di una formula, seppur nel solco della solida gestione di Zawinul – «Domino Theory» (1984) offre spunti di interesse nelle soluzioni formali; Carl Anderson canta Can It Be Done.

«Sportin’ Life» è pensato come ultimo album della band: sia Zawinul sia Shorter hanno ormai progetti diversi (anche se va ascoltato il loro sentito duetto in The Face On The Bar-Room Floor) e nel disco si perde del tutto l’idea della coralità. Il percussionista Mino Cinelu si aggiunge al gruppo insieme a diversi cantanti (Anderson, Bobby McFerrin, Dee Dee Bellson, Alfie Silas).

L’ultimo album della band è però un altro: «This Is This» (1986), che serve a onorare il contratto, a luci già spente, ed è – come ci si poteva aspettare – inutile come nessuno degli album precedenti. Bella è solo la fotografia del retro-copertina, in cui Zawinul e Shorter si stringono la mano.

La musica dei Weather Report si presenta tutt’oggi attuale – molto più di espressioni artistiche successive – anche se la band ha vissuto, istante per istante, un forte radicamento nei propri tempi, cogliendo «con straordinario anticipo e inquietante preveggenza, i segni di un inevitabile mutamento, di un cambiamento necessario» (6), che l’avrebbe portata a incarnare forse «il progresso più impressionante avvenuto nella sfera del jazz moderno degli anni Settanta e Ottanta» (7). Il perché non è un mistero: Zawinul, Shorter, Pastorius, Vitous e gli altri hanno saputo abbracciare e sviluppare appieno l’idea sottostante alla rivoluzione strutturale del secondo quintetto davisiano. Non più tema – assoli – tema, ma «we never solo, we always solo!», che non è una semplice boutade da intervista.

Soltanto assumendo questo punto di vista si può comprendere il successo di critica e di pubblico del gruppo. Per questo è difficile condividere le voci critiche discordanti, pur di assoluto rispetto. Esse hanno sottolineato il sacrificio cui si sarebbe esposto Shorter, consistito nell’oscuramento della propria voce solistica e compositiva. L’opinione appare ingenerosa e smentita dagli ascolti. Né si può condividere l’assunto di una superficialità delle composizioni, che anzi si sono sempre caratterizzate per un livello di articolata complessità, anche quando volte al recupero della forma canzone.

La Spezia: Weather Report. © Paolo Ferraresi
La Spezia: Weather Report in Italia nel 1985 – foto © Paolo Ferraresi

Del resto, sarebbe quanto meno schematico pensare davvero che una simile parabola artistica, segnata da molteplici picchi di livello assoluto, possa esser stata casuale (riprova ne siano anche gli anni successivi, dell’autunno artistico e umano, sempre ben più che dignitosi, specie se paragonati al pigro jazz rock coevo) o ritenere che davvero Shorter possa aver subito scelte non condivise. Basterebbe ripensare a come si sia concluso il formidabile rapporto umano e artistico tra Zawinul e Shorter, come avviene soltanto nelle migliori storie di vita: «Wayne è il più grande musicista con cui abbia suonato. Ognuno dei due percepisce la musica dell’altro in modo unico. Non si può descrivere come o perché: è semplicemente così. Ecco perché i Weather Report erano magici. Ed ecco perché questa magia non esisterà più» (8).

Né vale, in contrario, sottolineare i risultati conseguiti dal quartetto di Shorter nel nuovo millennio per desumerne prove a suffragio della critica più acrimoniosa: la nuova libertà improvvisativa che quel gruppo ha saputo attingere non è mai sfoggio del singolo ma sempre improvvisazione collettiva, secondo le acquisizioni di mutuo ascolto e dialogo e di flessibilità che proprio i Weather Report hanno sempre tenuto d’occhio.

I Weather Report hanno creato musica polisemica, innervata da molteplici caratteristiche assorbite dall’esistente, dal passato e dal futuro; legata a ricordi ancestrali, come pure al nuovo dell’elettronica; insieme urbana e folk, globale e locale; perciò evocatrice di sensazioni, atmosfere, luoghi ideali o immaginari, in tal senso perfetta fusione di tradizioni e linguaggi, non mera fusion di stilemi, tributaria di trucchi virtuosistici. Perciò tuttora viva.

Sandro Cerini

Note

(1) L’espressione è di Gianfranco Salvatore, Lo sciamano elettrico (1969-1980), Stampa Alternativa, 1995, p. 30. Una discografia completa del gruppo si trova in Weather Report: The Annotated Discography a cura di Curt Bianchi (weatherreportdiscography.org/); da segnalare è anche Marco Leopizzi, Il viaggio misterioso dei Weather Report (tinyurl.com/leopizzi-pdf).

(2) La febbrile concitazione e la sovrapposizione dei destini umani e degli eventi artistici sono espresse anche dalle date: le registrazioni di «Super Nova» hanno luogo il 29-8 e il 2-9-69, quelle di «Moto grosso feio» il 3-4-70, quelle di «Zawinul» il 10-8 e il 28-10-70 e quelle di «Odyssey Of Iska» il 26-8-70.

(3) Inoltre, il brano The Moors è introdotto dalla chitarra di Ralph Towner, mentre coro, flauto, tromba e corno inglese completano la tavolozza timbrica di Unknown Soldier.

(4) In «Mysterious Traveller» al basso è anche Vitous (in American Tango), alla batteria Ishmael Wilburn e Skip Hadden, alle percussioni Dom Um Romão, Muruga, Ray Barretto, Steve Little, Isacoff. Auger James Adderley canta American Tango e in Nubian Sundance sono presenti cinque coriste. In «Tale Spinnin’», Ndugu Chancler è alla batteria e Alyrio Lima alle percussioni.

(5) Oltre a Zawinul, Shorter, Pastorius ed Erskine, il gruppo comprende Robert Thomas Jr. alle percussioni.

(6) Vincenzo Martorella, Storia della fusion; dal jazz rock alla new age: guida ragionata a una musica «inqualificabile», Castelvecchi, 1998, p. 49.

(7) Cristophe Delbrouck, Weather Report: la storia elettrica, Stampa Alternativa, 2010, p. 347.

(8) op. cit., p. 346.

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