Quelle librerie zeppe di note

Utilizzate in Italia fino ai primi anni Ottanta, le cosiddette biblioteche musicali si estinsero con l’avvento del digitale, dopo aver vissuto la loro età dell’oro negli anni Settanta

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C’era una volta – potremmo iniziare così – il pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo delle sound libraries (o library), le librerie musicali in versione italiana, oppure le biblioteche musicali: quei cataloghi sonori che per decenni hanno fatto da possibile audio per notiziari, programmi culturali, intermezzi, dibattiti politici, documentari, sceneggiati, utilizzabili come sigle, stacchi, sottofondi o quant’altro che, quando presero anche cittadinanza italiana, furono ribattezzate «musiche per sonorizzazioni», che in effetti suona… meglio.

Utilizzate fino ai primi anni Ottanta, in seguito si estinsero con l’avvento del digitale, dopo aver vissuto, in Italia, la loro età dell’oro negli anni Settanta. Un mondo che c’era una volta e baldanzosamente è ritornato, discograficamente parlando, riproposto sempre nello storico formato dell’ellepì e non sempre anche in cd. La vinilmania discende dalla retromania, questo è noto. Quindi, non poteva essere altrimenti in tempi di nostalgia di quel futuro, di cui anche la library music ha fatto parte, essendo stato un laboratorio dove sperimentare suoni, manipolarli, ibridarli, ricorrendo a quelli elettronici, oppure a rumori di fondo, lavorando su cliché, su generi e ritmi codificati per poi rielaborare nuove soluzioni timbriche e armoniche.

Ovvero: un’ipotesi di futuro in musica.

Il primo revival maturò alla metà degli anni Novanta, quando sulla scia dell’interesse verso la cosiddetta lounge culture, complice il successo dei libri di Joseph Lanza, in particolare Elevator Music, si iniziarono a compilare raccolte a tema che ospitavano musiche per sonorizzazioni. Oggi si assiste a un nuovo ritorno di fiamma, grazie a diversi operatori che sposano una sorta di rigore filologico con la passione e il feeling per questi suoni d’altri tempi.

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Attiva dal 1997 è la Schema, marchio di Edizioni Ishtar (fondata nel 1991 da Davide Rosa e Luciano Cantone), creata proprio per esplorare il mondo delle musiche per il cinema (da segnalare almeno il recupero di diverse colonne sonore firmate da Piero Umiliani, Musica Jazz 1/16) e delle sonorizzazioni. Nel tempo, il catalogo della Schema è diventato ampio e profondo, e di recente ha sfornato alcuni pezzi che consentono di approfondire la conoscenza della materia: per esempio «Mr. Diabolicus/Mr. Mysterious» (9), album del 1973 firmato da Fabor, che arriva dallo storico catalogo Fonovideo. Disco enigmatico, perché è difficile qui immaginare la destinazione di titoli come Fucina diabolica, Alambicco magico e dei due brani eponimi, con i Current 93 ben di là da venire. Dotato di descrizioni relative a ogni brano è un altro dei titoli più recenti della Schema in collaborazione con Sonor Music Editions, ovvero «Beat drammatico Underground Pop elettronico» (3), pubblicato su Fonit Usignolo 7010 nel 1973.

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Anche se il titolo è al sapore di grammelot, i due autori, Sandro Brugnolini e Giorgio Carnini, confezionarono un sorprendente manufatto antesignano di molta musica elettronica, in particolare techno, anch’essa ancora in nuce. All’epoca le uniche macchine ritmiche in marcia nella medesima direzione erano quelle dei futuri Kraftwerk, cioè Ralf&Florian, come si firmavano agli esordi.

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La Sonor Music Editions sopra citata, fondata nel 2013 da Lorenzo Fabrizi poi affiancato nel 2015 da Andrea Galtieri, è un’altra etichetta fortemente attiva nel recuperare tesori perduti in fondo all’oceano delle sonorizzazioni. Tra i titoli pubblicati nel primo quadrimestre del 2017 si segnala un rarissimo disco di sonorizzazione nei primi anni Settanta registrato presso lo studio Dirmaphon di Roma, gestito da Piero Umiliani. L’album è intestato al pianista William Antonini, di cui poco o nulla si sa: «William Antonini e la sua orchestra» (8) è il titolo lapidario. Il risultato è sorprendente: un’energica session in studio, guidata dallo stesso Antonini all’organo Hammond, intrisa di blues-rock con incursioni nella psichedelia, accenni anche qui a soluzioni tipiche del jazz inglese e tanto rhythm & blues. In gran parte i titoli sono nomi di città inglesi, Cambridge, Oxford, Bristol, Manchester, Birmingham e Liverpool, ma si si è autorizzati a pensare che Fuga nella cattedrale si riferisca a Winchester.

Nei fatti un brano in simil barocco, che ricorda un analogo trattamento del genere a opera di Lalo Schifrin (l’album dal titolo chilometrico dedicato a De Sade di qualche anno prima). Su tutte la spunta Cambridge, dove si corre a mille all’ora con un irresistibile riff.

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Spettacolare zibaldone di generi vari, ben assortiti è il doppio album intestato a Remigio Ducros (l’intero secondo disco), Daniela Casa (sua moglie) e Giampaolo Ricci intitolato «Lo sport» (7), pubblicato nel 1971 dalla microscopica Union, fondata da Ricci e Ducros. A queste olimpiadi sonore nessuno manca all’appello: si parte con una spensierata Andiamo allo stadio firmata da Ricci, nel segno del più puro easy listening (segno forte della side by Ricci) e si attraversano diverse discipline sportive e vari generi musicali come funk, jazz, samba, psichedelia. Si è catturati senza scampo dalle distorsioni lisergiche di Grosse cilindrate di Casa, la quale sciorina una sequenza impeccabile: si è storditi dal ritmo di Moto-Cross, ci si delizia con l’esercizio d’antan di Ginnastica artistica e si vola a cavallo di un sitar in Sport orientali. Quanto a Ducros, citando giusto qualche brano, si destreggia nello slalom vocale di Sci, voga a un ritmo funky esemplare in Canottaggio, precipita nell’astratto trittico composto da Apnea, Subacqueo e Mondo sommerso, mentre il jazz fa capolino in Doping e Prima della gara e rispunta in La fine di un campione, con echi davisiani, quelli noir di Ascensore per il patibolo.

All’opera c’è anche Intervallo, creata nel 2015 da Stefano Gilardino, Fabio Carboni e Stefano Ghittoni.

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Spicca, nel giovane catalogo, il progetto di ristampa della serie di librerie a tema naturalistico – qualcosa a metà strada tra la storica enciclopedia Conoscere e i manuali fantastici borgesiani – pubblicate nella prima metà degli anni Settanta dalle misconosciute Cardium, Chic, Nereide, Musical, Rhombus, Spring e Weekend. Sette dischi, di cui a oggi solo tre ripubblicati: «Biologia marina» (2), «Ittiologia» (4) e di recente «La natura e l’uomo» (6), tutti usciti nel 1973.

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Dietro c’era un giro fisso di musicisti, soprattutto Alessandro Alessandroni, Franco Tamponi, Amedeo Tommasi e, volta per volta, degli ospiti. In «La natura e l’uomo» i nomi nuovi sono quelli di Marco Di Marco, pianista e compositore jazz bolognese, che infrange le atmosfere sognanti e sospese del resto del disco con robuste iniezioni di swing e easy listening, e di Kema, pseudonimo dietro cui si cela Giulia de Muittis, moglie di Alessandroni e voce cristallina.

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La coppia si apprezza in Bassa marea, Pescatori e Venus. Se Di Marco si fa gustare soprattutto per le due versioni di Long Drink, ficcanti quanto basta, spicca per singolarità la doppia versione di Protozoi, una per piano elettrico e l’altra per celeste, di Tommasi, musica ambient davvero ante litteram.

Attiva da più tempo è la Cinedelic, creata nel 2001 da Marco D’Ubaldo, che di recente ha sottratto all’oblio del tempo due album di incontaminata bellezza: «Atmosfere 1-2» (1), usciti come singoli nel 1971 in tiratura ultra-limitata, firmati dallo statunitense David H. Kimball, trapiantato a Firenze e spesso attivo con lo pseudonimo Peymont.

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Le musiche però in parte sono di un altro compositore di spessore, Riccardo A. Luciani (che per questioni contrattuali non potè usare il suo nome) e di Serena Marega, che firma due brani, musicista impegnata nella sperimentazione elettronica sin dalla fine degli anni Sessanta. Siamo di fronte a un lavoro che sembra indifferente al tempo, un mosaico elettroacustico astratto, enigmatico e suggestivo. Brani evocativi come Sogno apollineo, Tra mare e cielo o Tramare, inquieti, per esempio Sogno dionisiaco, o tenebrosi come Struttura, stracciano la carta d’identità di queste registrazioni.

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Il citato Luciani è autore a sua volta di un altro doppio concept album del 1976 intitolato «Inchiesta sul mondo» (5), originariamente pubblicato dall’etichetta Anya. Si tratta di musiche dedicate al commento articolato di due grandi tematiche, una per disco: Stati d’animo e Diagnosi ecologica. La musica, fatta di sapienti orchestrazioni, di rimandi tanto ai compositori d’avanguardia quanto a quelli per il cinema, di atmosfere tese e di brevi attimi di luce (Mistica della natura e Paesi d’infanzia, per esempio), di incubi, come Lacerante, mostra innegabili affinità con quella di un altro compositore fortemente rivalorizzato dalla Cinedelic: Egisto Macchi, socio tra l’altro della Anya.

Sottofondi? Così è, se vi pare.

 

A cura di Gennaro Fucile

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