Johnny Griffin & Eddie «Lockjaw» Davis / Dizzy Gillespie / Esther Phillips / Freddie Hubbard / Chet Baker / Elvin Jones «At Onkel Pö’s Carnegie Hall»

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AUTORE

Johnny Griffin & Eddie «Lockjaw» Davis / Dizzy Gillespie / Esther Phillips / Freddie Hubbard / Chet Baker / Elvin Jones

TITOLO DEL DISCO

«At Onkel Pö’s Carnegie Hall»

ETICHETTA

Jazzline

 


 

Tappa obbligata per i gruppi statunitensi in giro per l’Europa, l’Onkel Pö’s Carnegie Hall vantava un nome improbabile e una capienza assai ridotta; ma il titolare Holger Jass – subentrato al fondatore Peter Marxen – era evidentemente in buoni rapporti con le autorità e riusciva ad accatastare fino a 400 persone in un locale abilitato a ospitarne 180. Il club visse dal 1970 al 1986 programmando qualche migliaio di concerti, in prevalenza di jazz ma senza trascurare il rock, soprattutto certa new wave (da Tom Robinson ai Talking Heads), e grazie a un accordo con la NDR – la Norddeutscher Rundfunk – poté registrare la quasi totalità delle esibizioni, un archivio dal quale l’etichetta Jazzline ha oggi iniziato ad attingere per una serie di cd. E i sei dischi di cui parliamo qui – tutti doppi, eccetto quello di Hubbard – racchiudono pregi e difetti delle serate dal vivo e come tali vanno affrontati. Nessuno entrerà nella leggenda ma tutti contribuiscono a tracciare un ritratto quanto mai veritiero di ciò che girava negli anni Settanta, epoca ben più vitale di quanto vorrebbero
far credere molte storie del jazz.

Procedendo in ordine cronologico incontriamo così il quintetto Johnny Griffin-Eddie Davis con una ritmica di lusso (Tete Montoliu, Niels Pedersen e Art Taylor), per oltre novanta minuti di musica – e solo sei brani – ad altissima temperatura, nei quali la competizione tra i due vecchi amici e compagni raggiunge spesso il parossismo, com’era prassi dei «Two Tough Tenors». Nel 1975 Griffin e Davis venivano considerati quasi dei reperti di un’epoca passata (!), ma il primo aveva appena 47 anni e il secondo 53 e suonavano ancora come dei forsennati. Si tratta di un documento prezioso perché i due non registravano assieme dal 1970 e non l’avrebbero più fatto fino al 1984; il repertorio è poco più di un pretesto nella sua ostentata banalità (C-Jam Blues, On Green Dolphin Street, Stompin’ At The Savoy, I Can’t Get Started eccetera) per improvvisare a ruota libera cavando il sangue dalle rape. E chissà com’erano ridotti, a fine serata, i polpastrelli di Niels Pedersen…

L’approccio no prisoners di Griff e Lock offre un bel contrasto con quello apparentemente spensierato di Dizzy Gillespie, che lascia ampio spazio ai suoi (in particolare al giovanissimo chitarrista Rodney Jones, ma c’è anche un ottimo Mickey Roker alla batteria), chiama sul palco il vecchio compare Leo Wright – che viveva in Germania – e si diverte come un matto quando suonano gli altri, salvo poi farsi serissimo e implacabile quando tocca a lui. Tra bop suonato su una ritmica funk, citazioni di Hendrix e Kool & The Gang, scherzi e battute col pubblico («Il prossimo brano ci è stato richiesto da qualcuno che nel frattempo è andato via…»), le due ore abbondanti di musica passano in un battibaleno.

Il doppio cd di Esther Phillips (11 novembre 1978) è di notevole importanza perché presenta l’allora quarantatreenne cantante di Galveston in un contesto assai diverso da quello dei suoi controversi album Mercury dell’epoca (in particolare «All About Esther Phillips», da dove provengono diversi dei brani eseguiti qui). Ad Amburgo la accompagna un eccellente quartetto nel quale spiccano il redivivo pianista-organista Henry Cain, titolare dieci anni addietro di un venerabile lp Capitol, e il batterista James Levi, ai tempi regolare collaboratore di Herbie Hancock. Un produttore illuminato le avrebbe fatto incidere un album dal vivo come questo, invece di seppellirla in ambigue orchestrone con tanto di archi e ritmiche soul-disco (nella vana speranza di replicare il successo planetario di What A Difference A Day Made). Ma Esther non era un personaggio facile e l’abuso di droghe la stava distruggendo rapidamente: morirà nel 1984, a soli 48 anni, e oggi è quasi dimenticata. Eppure è stata una grande cantante e questo cd lo dimostra in pieno.

Lo stesso giorno – era un sabato – sul palco dell’Onkel Pö comparve anche il quintetto di Freddie Hubbard con ospite il cantante Leon Thomas (che qui non si ascolta ma che tra le prossime uscite avrà un cd tutto suo). La working band del trombettista di Indianapolis comprendeva lo stagionato sassofonista e flautista Hadley Caliman, un giovane Billy Childs al piano acustico ed elettrico, Larry Klein al basso e Carl Burnett alla batteria. Il gruppo, che non avrebbe inciso niente fino al dicembre dell’anno successivo («Skagly» per la Columbia), non è forse il più noto di Hubbard ma era eccellente – chi poté ascoltarlo a Umbria Jazz quell’estate lo ricorderà – grazie soprattutto a Childs, che già mostrava i segni di un indiscutibile talento. Dal vivo, Hubbard era nel pieno delle forze (i dischi dell’epoca, per lo più altalenanti escluso «Super Blue», non gli rendono particolare giustizia), e qui va sul sicuro con alcuni dei suoi cavalli di battaglia: Little Sunflower, Take It To The Ozone,
Here’s That Rainy Day, Blues For Duane e una chilometrica One Of A Kind). Curiosa la versione per quintetto di The Love Connection, tema ancora sconosciuto ma che dopo qualche mese avrebbe dato il titolo a un album Columbia (con una big band di studio e la ritmica, paradossalmente più fiacca, Chick Corea-Stanley Clarke-Chester Thompson). I bei dischi di Hubbard non mancano, ma anche questo concerto tedesco fa la sua ottima figura.

Così com’è di gran pregio il disco del quartetto di Chet Baker (2 aprile 1979), registrato con Phil Markowitz al piano e Charlie Rice alla batteria, più il fedele Jean-Louis Rassinfosse al contrabbasso. Si tratta di un gruppo che ha lavorato pochissimo – Rice era venuto espressamente dagli Stati Uniti e vi ritornerà a breve – e inciso ancor meno: anzi, salvo errori (e nastri che spuntano fuori dal nulla, cosa sempre possibile con Baker) questa dovrebbe essere l’unica testimonianza superstite. Chet aveva da poco registrato a Parigi – con Larry Coryell, Ron Carter e Billy Cobham – la colonna sonora di Flic ou voyou, scritta da Philippe Sarde per il film di Georges Lautner con Jean-Paul Belmondo, e poco dopo l’ingaggio di Amburgo si sarebbe spostato in Danimarca incidendo copiosamente per la SteepleChase. Era in un ottimo periodo, e si sente: i suoi partner lo stimolano a meraviglia anche se i brani vanno davvero per le lunghe (Beautiful Black Eyes di Shorter dura ben 28 minuti, Broken Wing 24 e così via), c’è una bella atmosfera e la voglia di suonare è palpabile. Un album da acquistare: è tra i migliori del tardo Baker.

L’edizione 1981 della Jazz Machine di Elvin Jones è un altro gruppo mai apparso finora su disco. Dal 1978 (anno del memorabile «Remembrance» per la MPS) il batterista aveva inciso soltanto per etichette giapponesi, e la band era cambiata in larghissima parte: rimasto il veterano Andy McCloud al contrabbasso, troviamo qui i due sassofonisti Carter Jefferson e Dwayne Armstrong, il pianista Fumio Karashima – scomparso pochi mesi fa – e il chitarrista Marvin Horne. Il povero Jefferson è un perenne misconosciuto, Armstrong ancora di più (pur avendo inciso con Abdullah Ibrahim e con Max Roach), gli altri sono eccellenti ed Elvin è la solita forza della natura: randellate memorabili ma anche un’abilissima condotta di gruppo, capace di evitare il rischio della jam session anche in presenza di brani assai dilatati (Doll Of The Bride tocca i 31 minuti).

In conclusione, una serie da tenere accuratamente d’occhio aspettando i prossimi volumi (alcuni già annunciati).

Conti

[da Musica Jazz, luglio 2018]

 


 

DISTRIBUTORE

IRD

FORMAZIONI

Niels-Henning Ørsted Pedersen (cb.), Art Taylor (batt.), Tete Montoliu (p.), Eddie “Lockjaw” Davis (sass.), Johnny Griffin (sass.) / Dizzy Gillespie (tr., voc.), Leo Wright (alto), Benjamin Brown (cb.), Mickey Roker (batt.), Rodney Jones (chit.) / Bill Upchurch (cb.), James Levi (batt.), Wes Blackman (chit.), Henry Cain (p.) Esther Phillips (voc.) / Freddie Hubbard (tr., flic.), Larry Klein (cb.), Carl Burnett (batt.), Billy Childs (p.), Hadley Caliman (sass., fl.) / Chet Baker (tr.), Jean-Louis Rassinfosse (cb.), Phil Markowitz (p.), Charlie Rice (batt.) / Andy McCloud (cb.), Elvin Jones (batt.), Marvin Horne (chit.), Fumio Karashima (p.), Carter Jefferson (sass.), Dwayne Armstrong (sass.)

DATA REGISTRAZIONE

Amburgo, agosto 1975-settembre 1981.
Recensione
Voto globale
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