Umbria Jazz, Perugia dal 12 al 21 luglio: seconda parte

Grande successo di pubblico per l’edizione 2024 del festival umbro. Questa è la seconda e ultima parte del nostro resoconto.

797

Umbria Jazz Summer 2024
Perugia, dal 12 al 21 luglio

Premessa: chi scrive ha seguito il festival dal 12 al 18 luglio e di tanto cercherò di rendere notizia.

Seconda Parte

L’apertura dei concerti all’Arena Santa Giuliana spettano al combo di Nico Gori, che scuote gli animi degli astanti in transito con assolo fulminanti, degni della migliore scuola e tradizione.

foto di Elena Carminati
foto di Elena Carminati

Il primo set della sera del 15 è di un quartetto di all star: Chris Potter – Brad Mehldau – John Patitucci – Jonathan Blake. Blake si accomoda al suo caratteristico drum-set, con una batteria bassa, disposta a raggiera, che colpisce subito l’immaginario. Dalle ballad più melodiche come Aria for Anna a Eagle’s Point (quest’ultima firmata da Potter), il tiro è sempre ad altissimo regime. Con il trio ritmico (senza Potter) che disegna armonie, drappeggia bellezza e sprigiona telepatia che affascina. Potter spezza questa catena con i suoi assolo da bopper d’antan, cerca di velocizzare tutto, ma resta un po’ avulso dal contesto e dalle architetture che Mehldau, Patitucci e Blake sono capaci di disegnare. Patitucci stilla gocce di sudore (realmente, visto anche il caldo asfissiante) e i suoi interventi solistici sono sempre giusti e gustosi, così come le delicate prelibatezze ritmiche preparate da Blake, che accarezza tamburi e piatti con incredibile serenità e dolcezza. Mehldau è in stato di grazia con i suoi attacchi precisi, un brio pianistico entusiasmante, precisione di articolazione e grazia nelle variazioni armoniche, con particolare attenzione alle sfumature.
Il prosieguo della serata è dell’ensemble costruito da Pete Levin: Gil Evans Remembered, che riporta alla memoria uno dei capitoli più belli della storia di Umbria Jazz, quando nel 1987 l’orchestra diretta da Gil Evans fu protagonista di un memorabile ciclo di concerti nell’ex chiesa di San Francesco al Prato, dopo che aveva suonato con Sting allo stadio Renato Curi.

Vincent Herring
foto di Elena Carminati
Wayne Escoffery
foto di Elena Carminati

L’indomani il teatro Morlacchi accoglie un progetto bello e originale, che prende spunto dall’insegnamento di Cannonball Adderley, ricostruendo le vie del soul jazz: Something Else! capitanato da Vincent Herring (sassofoni), Jeremy Pelt (tromba), Wayne Escoffery (sax tenore), David Kikoski (pianoforte), Paul Bollenback (chitarra), Essiet Okon Essiet (basso e contrabbasso), Joris Dudli (batteria: in realtà avrebbe dovuto qui sedere Lewis Nash, indisponibile per un problema di salute). Herring, che è stato al fianco anche di Freddie Hubbard, batte subito cassa con Destiny Children, firmata dal trombettista di Indianapolis, che mette subito in chiaro quale siano le caratteristiche di Pelt: focoso, acuto e preciso. Poi, ‘Around Midnight si guadagna spezie di groove, frammenti di funk e golose pillole di soul, Il combo si trova a meraviglia, gestisce i tempi in modo impeccabile e incanta il pubblico con il suo suono avvolgente. Il metronomo va a duecento all’ora con Caribbean Dance di Joe Henderson e anche Naima di Trane trova una nuova allocazione armonico-ritmica, trasudando funk da ogni pagina delle riletta partitura, acquistando danzabilità.

Lizz Wright
foto di Elena Carminati
Lizz Wright
foto di Elena Carminati

Altro doppio set per l’arena Giuliana a sera. Un doppio set al femminile: la prima ad apparire è Lizz Wright, che da subito ci fa sentire quanto sia bello, potente e forte il timbro vocale della cantautrice della Georgia e quanto sia ampia la tavolozza dei colori  armonici che utilizza in ogni brano. In proscenio, ovviamente, l’ultimo e recentissimo lavoro discografico della Wright «Shadow», come Who Knows Where The Time Goes, Sparrow, ma anche brani che hanno decretato il suo successo, come Sleepin’ e Freedom. La serenità con cui Lizz Wright si muove sul palco, con cui interloquisce con il pubblico e con i suoi accoliti, ammaliano e restituiscono quell’immagine di regina della musica afroamericana che si sta ritagliando con grande merito. Da sottolineare la sua toccante interpretazione di Old Man di Neil Young, preziosa a suggellare il suo rispetto per le armonie immarcescibili.

Hiromi
foto di Elena Carminati

La seconda parte è appannaggio di Hiromi con il suo stupefacente progetto Sonicwonder, che ha veramente travolto il pubblico come un vortice con le sue sonorità potenti e aspre. Con lei un trio di eccellenti musicisti, a partire dall’avanguardista Adam O’Farril alla tromba, Hadrien Feraud al basso e Gene Coye alla batteria, che hanno dato completezza a un progetto molto particolare, che ha visto la pianista di Hamamtsu indossare anche gli abiti della tastierista techno.
Il 17 luglio è il Toto day, ma anche quello del quintetto di Mirco Rubegni, di Ramberto Ciammarughi, di Fabrizio Bosso nonché del trio di Alessandro Lanzoni con Francesco Cafiso.
Una parentesi merita il duo Lovesick (Paolo Roberto Pianezza, chitarra e voce e Francesca Alinovi al contrabbasso), che ha dato la prima scossa al concerto dei Toto con una bella performance nell’area antistante la platea dell’arena; un duo che mescola country, bluegrass, soul, jazz con semplicità e naturalezza, ma con professionalità e creatività.

Christian Sands Trio
foto di Elena Carminati

E si arriva al 18 luglio con l’appuntamento pomeridiano al Morlacchi, questa volta con il trio di Christian Sands (con il puntuale Yasushi Nakamura al contrabbasso e il non sempre attento Ryan Sands alla batteria). Il trentaquattrenne pianista statunitense mette in tavola un bel mainstream, dolce e leggero, senza sussulti declinando alcuni suoi brani e belle cose di Errol Garner e Dave Brubeck. L’eleganza del suo pianismo è interessante e sicuramente potrà acquisire, nel tempo, maggiore carattere e personalità.

Somi
foto di Elena Carminati

Si chiude la parentesi perugina per chi scrive con la doppia prestazione all’arena Giuliana del 18 luglio. Apre il sipario (immaginario) Somi, che ha sostituito in last minute Laufey (sicuramente ha perso un appuntamento fondamentale per la sua visibilità in Italia, ma le motivazioni saranno sicuramente importanti). La cantante dell’Illinois (che a Umbria Jazz è di casa), dalle origini ruandesi e ugandesi dalle quali non si è mai separata, propone il suo personale viaggio nella vita artistica di Miriam Makeba. E lo fa con una bravura disarmante: trascina il pubblico con la sua vocalità ferma, dalle radici ancestrali, attingendo dall’album «Zenzele: The Reimagination of Miriam Makeba» (del 2022), ma non solo. Infatti arriva presto anche la suadente Holy Room dall’album «Petite Afrique» del 2017. Ma la rilettura di Pata Pata, brano che ha consentito alla Makeba una visibilità planetaria e transgenerazionale, è sopraffina. La scelta di non dare lo stesso impulso ritmico e danzereccio è vincente. Lo schiocco di lingua sul palato, mentre articola il canto, di Somi è assolutamente incantevole.

Fatoumata Diawara
foto di Elena Carminati

L’Africa la fa da padrone in questa serata, infatti la scena del secondo set è per Fatoumata Diawara, che suona (la chitarra), canta e fa ballare il pubblico con il suo idioma tra jazz, rock, fusion, highlife. Peccato che, per entrambe le artiste, il pubblico non fosse quello delle grandi occasioni.
Umbria Jazz ha offerto un pannello di musiche d’ampio respiro. Ha fatto bene, benissimo e l’augurio che tale esempio non sia solo motivo di polemiche, ma possa agitare e motivare gli animi degli organizzatori mentalmente intasati.
Da sottolineare che i concerti del Morlacchi e della Galleria Nazionale sono sempre stati introdotti con perizia, cura e professionalità dal giornalista e critico musicale Enzo Capua. Mentre i concerti dell’Arena Santa Giuliana hanno visto in campo l’eccellente task force di Radio Montecarlo capitanata da Nick The Nightfly, presente anche in pianta stabile in corso Vannucci, che ha narrato per filo e per segno il festival, anche con tante interviste, e fatto ascoltare i concerti in diretta radiofonica.
Alceste Ayroldi

Tutte le foto sono di Elena Carminati

*La prima parte è stata pubblicata venerdì 2 agosto