Stewart Copeland: vulcano di idee

di Pier Paolo Pitacco

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Stewart Copeland (foto di Rossano Ronci)
Stewart Copeland (foto di Rossano Ronci)

Stewart Copeland, lo storico batterista dei Police nonché autore di celebri colonne sonore, ci parla della sua attività recente e dei moltissimi progetti che ha in cantiere

Ai primi di maggio, a Como, Mississippi, hai servito una Messa nella locale chiesa Battista locale per documentare l’episodio sulla musica e l’esperienza spirituale inserito nel documentario che sta realizzando la BBC sul potere culturale della musica. Qual è il tuo sentire spirituale nei confronti della musica?
La musica è qualcosa che tutti noi amiamo, ci piace ballare, cantare, è qualcosa che fa parte di noi. Siamo controllati dalla musica è l’unica forma d’arte che ci spinge a muoverci. Un romanzo di Shakespeare o un quadro di Rembrandt ci possono ispirare, ma solo la musica ti fa muovere fisicamente. Che tipo di movimento è questo, e come si mostra? In pubblico. Il linguaggio del corpo non mente, e la musica produce proprio questo. Inoltre, guarda la musica popolare: il 90% della gente ama la musica e il miracolo è quello di aggregare le persone e metterle insieme. Un flauto trovato nelle caverne in Germania risale a quarantamila anni fa: in prospettiva è antecedente a quando l’uomo ha iniziato a coltivare la terra, e con l’agricoltura la popolazione mondiale è esplosa. Ventimila anni prima di questo, l’uomo ha inventato la musica, prima di tutto questo. E, guarda caso, quando appare la musica l’uomo di Neandertal scompare, così come anche l’homo floresiensis. In quel periodo c’erano diverse tipologie di ominidi e tutti scomparvero, sai perché́? Anche se avevano un cervello sviluppato, grandi denti, e se la sapevano cavare, una delle teorie degli archeologi è che la musica ha una grande capacità di aggregare gli uomini e di sviluppare larghe comunità. Là dove cantano assieme, gli uomini sono più̀ uniti, e quando trenta homo sapiens dicono diamo un calcio in culo a questi cinque uomini di Neanderthal perché́ noi siamo un gruppo, la musica è il fattore scatenante di aggregazione per gli uomini. Tornando alla domanda, ho passato del tempo in chiesa, a Como, ma sono stato anche a New York in una chiesa cristiana durante il servizio di Pasqua. Hanno messo in rete la funzione (hanno dieci milioni di followers), e in chiesa erano vestiti con jeans stracciati, strani orecchini, scarpe a punta, un po’ hippy insomma… e cantavano «Gesù̀ Cristo è il nostro signore». Si tratta di una musica che riempie di forza, che dà una grande energia alle persone che si sentono migliorate, guarite, sicure e imparano a perdonare. Io sono molto scettico di natura, anche se quando andavo ancora a scuola mi portavano in chiesa, ma non puoi negare che tutte queste persone, come gli Gnawa in Marocco o i Sufi con cui ho avuto rapporti, insomma non puoi negare che hanno un certo potere. E quando la musica si ferma per la funzione sacra e il celebrante inizia a parlare di Gesù̀ morto sulla croce, che si è immolato per noi dicendo che perdonerà̀ tutti, tu ti chiedi: Ma è davvero così?
Con la musica tutto ha un senso, la musica ha questo potere. Questa serie di documentari non parla della storia della musica, ma di come la musica influisce su di noi. Il mio lavoro di compositore mi ha spinto di voler capire come il pubblico reagisce a quello che sente. La gente può sorridere davanti a una canzone o incupirsi. Posso credere alle parole che ascolto? si chiede. Infatti, quando un uomo dice a una donna «ti amo» ispirandosi a una scena vista in un film con Tom Cruise o Sandra Bullock, là dove c’è un’inquadratura girata al chiaro di luna e tutto sembra bellissimo, il problema è che la trama è falsa e viene adattata alle immagini. Queste cose vanno sapute, in situazioni del genere ci sono toni bassi e i cosiddetti toni principali, riservati alle cose in cui tu devi credere, alzando lo sguardo. Ecco un punto che tutti possono capire, quello dei toni principali, tutti si rendono conto se un suono è triste o felice, tutti comprendono la musica più̀ di quanto si pensi. Siamo tutti musicisti, ci siamo specializzati, ogni essere umano può̀ ricordare una canzone, cantarla, ballare al suono della musica, comprendere le tonalità maggiori e minori. Ci sono toni felici e tristi, tristi ma con un tocco di umorismo o umoristici con un tocco di tristezza, toni completamente differenti. Il linguaggio della musica vienè compreso molto più̀ di quello che si possa immaginare. La gente sostiene di non dare importanza alla musica, mentre invece reagisce sempre alle sue implicazioni. Il linguaggio della musica passa attraverso la tua mente ma non la tocca, non tocca la tua educazione, la tua posizione sociale. Arriva direttamente al cuore, alle tue emozioni e determina il tuo comportamento e i tuoi sentimenti, e i sentimenti ti agiscono sui tuoi pensieri. La musica sa parlare ai sentimenti. Ho discusso con Francis Ford Coppola su come usare la musica, con Steve Reich. Anche con Sting e ci siamo divertiti, abbiamo avuto una conversazione senza litigare! Abbiamo litigato per Roxanne, ma non per il significato della musica. Ci siamo chiesti: perché́ lo facciamo? Perché́ migliaia di persone ci seguono e sono così felici? Di che si tratta? Non c’è una risposta esatta.

Stewart Copeland (foto di Rossano Ronci)
Stewart Copeland (foto di Rossano Ronci)

Di recente hai sviluppato due progetti orchestrali, Stewart Copeland’s Orchestral Ben-Hur, basato sul kolossal del 1925 e ora Stewart Copeland Lights Up the Orchestra. In questi contesti le percussioni sembrerebbero avere meno spazio creativo rispetto a progetti legati al jazz o ai Police. Come ti accosti a questa esperienza, e come ti è venuta la passione per questo contesto più classico?
In realtà̀ ce ne sono tre. C’è anche Tyrant’ Crash. Lights Up The Orchestra è pop, Ben Hur era legata al film, mentre Tyrant’ Crash è un concerto per orchestra e batteria, dura trenta minuti e viene eseguito prima di brani scritti da Ravel, Debussy, Mahler, Brahms. Si tratta di musica classica, pura e semplice, è una situazione molto diversa. Il primo ricordo che ho della musica risale a quando avevo cinque o sei anni. Mia madre faceva l’archeologa e ascoltava i Carmina Burana, di Orff, Stravinskij (Sagra della primavera e Petrushka), Debussy e Ravel, e questi brani significavano già qualcosa per me, me ne stavo seduto nel buio e mi immaginavo le scene, l’essenza di queste note misteriose. Fu mio padre a scoprirè che avevo delle doti musicali, perché́ questo è un dono, non importa quanto tu desideri diventare un musicista, le doti sono naturali. Lui mi ha indirizzato verso il jazz, e questo spiega perché́io non ascolto jazz. Voglio bene a mio padre, lui per me è stato di grande ispirazione in tutto, escluso il jazz. Sai perché? Perché́ in quel momento è apparso Jimi Hendrix! Ti faccio un esempio. Come i cani si legano follemente alla prima persona che conoscono, si chiama imprinting, per un adolescente la prima musica che lo colpisce diventa come un padre, e per me il mio papà è stato Jimi Hendrix. Quando Jimi Hendrix saltò fuori io abbandonai il Jazz, ma Stravinskij rimase lì. Jimi Hendrix prese possesso di una metà del mio cervello e nell’altra rimase Stravinskij, solo che io avevo i Police, una rock’n’roll band. Dopo di che andai a lavorare con Francis Ford Coppola per scrivere colonne sonore, scoprendo un mondo musicale completamente nuovo che coinvolgeva la musica in corde differenti, una differente forma musicale, differenti strumenti. Un giorno lui mi disse che ero davvero bravo perché̀ suonavo basso, chitarra, xilofono eccetera… «Grandioso, grandioso, interessante, però qui abbiamo bisogno di archi….» «Va bene», risposi io. Il produttore convocò una sezione di archi, e fu li che capii quanto potesse essere grandiosa. Così ho trascorso i vent’anni seguenti a scrivere partiture per orchestra. La cosa più̀incredibile è che, per uno spettacolo di 90 o meglio 80 minuti, si lavora per sei settimane. Quando ero con i Police ci toccava lavorare per quattro mesi di fila, costretti a stare sempre assieme, era da spararsi! Il nostro cantante era un genio, il mio cuore era pieno di ammirazione per lui e il suo talento, ma è davvero troppo il dover stare sempre assieme per quattro mesi. Qui lavoriamo due ore e mezzo e abbiamo libero il resto del giorno, poi un’ora e mezzo di soundcheck e infine lo show. In Inghilterra vedo l’orchestra alle 14 e teniamo il concerto la sera stessa. Non puoi fare una cosa simile con un gruppo rock. La musica scritta sullo spartito non è fatta solo di note, ma è modulata in un certo modo, in un tipo di articolazione che io chiamo stile italiano [simula un suono]. Ed ecco il suono delle trombe [simula una tromba]. La senti la differenza? Ogni strumento ha le sue caratteristiche sonore e ̀musicali, per esempio il violino. Questo linguaggio non è complicato, ma dopo vent’anni, quando ho smesso di comporre colonne sonore, ho messo la mia energia in questi nuovi progetti.

Ravenna Festival, 29 giugno 2019: Stewart Copeland Lights Up the Orchestra
Ravenna Festival, 29 giugno 2019: Stewart Copeland Lights Up the Orchestra

Tu hai moltissime idee, sei pieno di energia. Qual è il nuovo progetto che hai in mente?
Ti dirò di nuovo del documentario che sto facendo e che adoro, quello della BBC, perché́ ne ho parlato con Francis Coppola, Patti Smith, Bobby McFerrin. Non sarà̀come una festa e non avrà un tono scherzoso, ma mi terrà due ore di fronte alla macchina da presa e al microfono, completamente concentrato. Mi piace molto questo progetto, è davvero un lavoro interessante, immagino come il tuo lavoro, ma la mia è una missione vera e propria. Per esempio, non parlo io della musica di Steve Reich ma voglio che Reich. racconti la sua idealizzazione della musica. Penso che sarà un lavoro bellissimo, quando lo avrò̀ finito! Avrò qualche ripresa con la BBC in luglio e poi inizierò̀ la mia sesta opera per il teatro di Weimar in Germania. Così mi prenderò il resto dell’anno, porte chiuse, finestre blindate, telefono staccato, e me ne starò da solo per sei mesi a scrivere musica.

A casa, in campagna…?
No, in studio.

Quindi ti ci chiuderai dentro per un bel pezzo.
Sai, è molto bello rinchiudersi in studio! Faccio musica da tantissimi anni ma ancora non vedo l’ora di finire la colazione e di iniziare a lavorare…

Pier Paolo Pitacco

[da Musica Jazz di agosto 2019]