AUTORE
The Celestial Engine
TITOLO DEL DISCO
«The Celestial Engine»
ETICHETTA
Discus
Mondi che si incontrano. È la logica sottesa al progetto Celestial Engine, che mette assieme musi cisti con differenti retroterra musicali per dar vita a una proposta musicale d’incerta natura e catalogazione, miscela sofisticata a base di improvvisazione, ambient, jazz-rock e sperimentalismi assortiti. D’altra parte i tre curricula face[1]vano presagire qualcosa d’insolito e il risultato è andato anche oltre le aspettative. L’inglese Powell, attualmente in Norvegia, ha trascorsi in formazioni operanti ai confini del jazz come gli InterStatic, i Naked Truth e i Mumpbeak nonché collaborazioni con Bill Laswell e Anthony Braxton, mentre a sua volta il suo connazionale Sturt ha militato in una pletora di gruppi progressive rock dai Gong, alla Steve Hillage Band, dai Jade Warrior all’Anthropology Band e a Bill Nelson. Quanto allo statunitense Parsons, le sue radici nel rock senza compromessi sono nette, come testimonia la sua presenza in band come Swans, Prong, Godflesh e Killing Joke. È un gran calderone ma dal quale non scaturisce un guazzabuglio dove tutto è assemblato alla rinfusa, bensì emana l’essenza che aleggia in strutture fluttuanti, percepibile ed evanescente, tra echi di musica spaziale e funky, astratta e fortemente ritmica, celestiale e oscura, inafferrabile sempre. Lo si capisce sin dall’iniziale The Astral Doctrine, leggiadra evoluzione di un’atmosfera ambient in una cavalcata prog-rock con una tastiera dal sound in stile Farfisa. Mancano punti cardinali e relative bussole, non v’è un benché minimo orientamento certo. Ancora più esemplare è Rewire My Subtext, forse il vertice dell’album. Da un’introduzione che pare discendere direttamente dai Weather Report, sorretta dal potente basso fretless di Sturt a riempire lo spazio alla Pastorius, nel cuore del brano si annidano echi pinkfloydiani, estratti da chissà da quale angolo della memoria di Powell, a cui dà voce il timbro lisergico di un organo. Un suono che infine implode e lascia la scena al pianoforte, «obbligato» a intraprendere un percorso a ostacoli segnato dalla robusta linea ritmica segnata da Parsons. È la ci[1]fra dell’intera operazione, possibile anche in virtù del gran mestiere dei tre musicisti, va sottolineato perché le registrazioni sono dal vivo in studio. Il notevole brano conclusivo, Mindmelding, a sua volta, lascia intravvedere possibili linee di sviluppo, più atmosferiche e groovy, astratte e inquietanti, rendendo più impalpabili le suggestioni, strati di suono, grumi di memorie fuse assieme, coerentemente con il titolo. Va anche sottolineata l’apprezzabile politica di ampia vedute condotta dalla Discus di Martin Archer, che affianca al filone principale, quello dell’improvvisazione di derivazione jazzistica, altri lavori decisamente più ibridi come nel caso di questo brillante esordio.
Fucile
recensione pubblicata sul numero di marzo 2024 della rivista Musica Jazz
DISTRIBUTORE
discusmusic.bandcamp.com
FORMAZIONE
Roy Powell (tast., elettr.), Dave Sturt (b., cianfrusaglie), Ted Parsons (batt., perc.).
DATA REGISTRAZIONE
Oslo, luglio 2022.