Olavi Louhivuori & Verneri Pohjola: vengono dalla Finlandia due dei musicisti più interessanti del momento

di Vincenzo Fugaldi (foto di Tero Ahonen e Dave Stapleton)

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Olavi Louhivuori (foto di Tero Ahonen)
Olavi Louhivuori (foto di Tero Ahonen)

Il batterista Olavi Louhivuori e il trombettista Verneri Pohjola sono già molto noti nel resto d’Europa. È il momento di imparare a conoscerli anche qui da noi.

Il vostro paese, la Finlandia, con una popolazione di circa cinque milioni e mezzo di abitanti, presenta una scena musicale nutrita e interessante. Vorreste descriverla?
Olavi Louhivuori In effetti da noi c’è tanta musica di diversi stili, dalla classica contemporanea al jazz, al pop, al rock. Io non ho mai vissuto all’estero, quindi non ho esperienza di altre scene musicali e non posso fare paragoni. Credo tuttavia che, per essere un Paese relativamente piccolo, abbiamo davvero un sacco di musicisti.
Verneri Pohjola Penso che la nostra scena sia molto attiva e interessante, con tante diversità. La maggior parte dei jazzisti vive a Helsinki, e a un certo punto della carriera lavorano comunque insieme, cosa che presenta grandi aspetti positivi. Alcuni jazzisti molto creativi fanno la propria musica originale, mentre altri sono più legati alla tradizione, al mainstream. Ci sono musicisti classici di alto livello, e alcuni attraversano i confini tra i generi e si interessano sempre più alla musica improvvisata. Allo stesso tempo c’è una forte componente di musica elettronica, non legata al pop, piuttosto alla scena artistica, insieme alla danza, al jazz, e stanno accadendo molte cose. Tuttavia trovo anche rigeneranti le occasioni di uscire dalla Finlandia e di conoscere nuovi musicisti: si aprono nuovi spazi per improvvisare insieme, in cui impari qualcosa di nuovo anche su te stesso. Se vado a suonare all’estero, confrontandomi, posso scoprire nuovi aspetti di me che probabilmente non conoscevo.

Cosa pensate dell’attuale panorama musicale europeo?
OL Per quanto mi riguarda non penso alla musica come a qualcosa proveniente dall’America o dall’Europa: per me è tutto jazz che viene dal mondo. Si parla di jazz americano e di jazz europeo ma io penso che non sia necessario: la gente cambia, la cultura cambia, mescolarsi è bello. Ho lavorato con meravigliosi musicisti dalla mente aperta e provenienti dall’Olanda, dall’Italia, dalla Norvegia, dalla Germania, dalla Svizzera, quindi penso di avere dei buoni legami con la scena europea.
VP Credo che la scena europea sia piuttosto frammentata. A volte appare un po’ chiusa, divisa, ma allo stesso tempo la gente è aperta, e lavora sodo per incontrarsi e conoscersi. Credo che in definitiva il panorama sia molto versatile e artisticamente interessante, con molti diversi tipi di buona musica. Sarebbe difficile per me paragonare la scena europea a quella americana, perché quest’ultima non la conosco bene. Il mio punto di vista, poi, è diverso da quello di un musicista italiano: in quanto finlandese mi sento un po’ un outsider, perché vivo lontano, al nord, e non molti musicisti vengono fino in Finlandia a suonare o a studiare, come invece avviene in Danimarca e in Svezia. Ma pian piano questo sta cambiando, perché ultimamente anche da noi stanno arrivando studenti da altri Paesi.

Verneri Pohjola (foto di Dave Stapleton)
Verneri Pohjola (foto di Dave Stapleton)

Dato che non siete conosciutissimi in Italia, vorreste dirci qualcosa sulle vostre biografie e sui vostri inizi musicali?
OL Sono nato a Jyväskylä, dove ho vissuto fino ai vent’anni. Ho sempre suonato la batteria, composto, arrangiato, e ho suonato in diverse formazioni nel mio paese e sempre più all’estero, per molti anni con Tomasz Stańko, con Claudio Filippini e Palle Danielsson, con il bassista norvegese Mats Eilertsen, con la cantante svizzera Susanne Abbuehl, per citarne alcuni.
VP Ho iniziato a suonare la tromba a quindici anni. Mio padre era musicista ma non ho mai vissuto con lui perché i miei hanno divorziato quando avevo meno di due anni. In entrambi i rami della mia famiglia vi sono molti musicisti: posso dunque dire di appartenere a una famiglia musicale. Non ho mai scelto di essere un musicista, direi che è stata la musica a scegliermi. Ero sempre felice quando suonavo, e così ho finito per diventarlo. Ma ho scelto di fare la musica che amo, non qualunque musica pur di guadagnare. Ho provato a suonare cose per me interessanti, e se non fosse andata bene avrei cercato di fare altro. Sono stato sul punto di cambiare, ma poi le cose hanno cominciato a funzionare. Il momento chiave è stato quando abbiamo vinto come gruppo il premio Young Nordic Jazz Comets, un prestigioso riconoscimento nei paesi scandinavi che includeva un grande tour in Europa, e abbiamo potuto fare circa un centinaio di concerti in due anni. Questo ci ha veramente aiutato a crescere, è stato importante. Successivamente ho lavorato con tanti tedeschi, polacchi e francesi, anche con olandesi, sfortunatamente non molto con gli italiani. Ho suonato però in un festival a Foligno, Young Jazz, circa una decina di anni fa, insieme a Dan Kinzelman, un caro amico che avevo conosciuto a Friburgo al congresso della International Association of Schools of Jazz. Credo di avervi suonato due volte, una con il contrabbassista Francesco Ponticelli e Dan e una con Gianluca Petrella e Giovanni Guidi. Ho registrato alcuni dischi per l’etichetta tedesca ACT, ma ora incido per la britannica Edition Records. In Francia suono con Sylvain Rifflet, che ho incontrato a Bolzano per la prima volta cinque anni fa. Suono anche molto con polacchi come il gruppo RGG, insieme al trombonista austriaco Samuel Blaser, e con il giovane trombonista tedesco Janning Trumann che ha vinto la J.J. Johnson Competition, a New York lo scorso anno. Anche lui è un caro amico.

Quali sono le vostre principali influenze musicali?
OL Può essere qualunque cosa, qualunque cosa mai ascoltata prima. Il rapporto con il jazz ha profondamente inciso nella mia vita, ma anche quello con la musica classica, come con tutti i generi musicali. Come batterista ho avuto molte influenze, tra cui Tony Williams, Elvin Jones, Roy Haynes.
VP Sono tante! Ascolto tipi diversi di musica. Come trombettista, quando studio, il mio riferimento è Per Jørgensen, il trombettista, vocalist e percussionista norvegese che ha ispirato Arve Henriksen. Arve ha un suono più chiaro, morbido, mentre Per possiede un suono più sporco. Quando l’ho ascoltato dal vivo la prima volta mi ha colpito, e ho compreso su cosa volevo concentrarmi. Per non è un musicista ipertecnico, le sue influenze sono Tomasz Stańko, Miles Davis, Don Cherry, mescolati in un modo davvero unico. Quando suona è come se cantasse. Anche per me Miles è un punto di riferimento, come per tutti, ma specialmente quello dei tardi anni Sessanta, in particolare del disco «Filles de Kilimanjaro». E anche Stańko, e Cherry, che mi sono stati consigliati da Per. E poi Tom Harrell, Clifford Brown. Non è tanto importante il genere quanto l’anima del musicista. Se un trombettista fa sfoggio di tecnica non mi impressiona, ma se sente in sé la melodia è una cosa diversa. Cè un sacco di fantastici musicisti, ciascuno con la propria personalità, e puoi riconoscerne immediatamente il suono anche se non hai mai ascoltato prima il brano particolare che stai sentendo. Questo avviene anche con Jørgensen e avveniva con Stańko, e siamo tutti collegati alla medesima tradizione. La cosa più importante per me è non solo trovare il mio suono distintivo ma anche immaginare di essere in qualche modo socialmente connesso con quella tradizione. Questo è ciò che penso del jazz, che sia insieme creatività individuale e rispetto per la tradizione e la comunità jazzistica, non solo dei musicisti ma anche di coloro che vi gravitano attorno.

Olavi Louhivuori (foto di Tero Ahonen)
Olavi Louhivuori (foto di Tero Ahonen)

Suonate in molti gruppi differenti. Vorreste fare un cenno su questi?
OL Inizierei con Elifantree, un bel trio che si muove tra jazz, pop e avanguardia, nel quale suono da due o tre anni e col quale abbiamo registrato un album l’anno scorso. Dirigo poi il mio quintetto, Oddarang, che suona musica strumentale e che non è esattamente una jazz band ma col quale suono molto. Poi ho i mei progetti in solo, ho realizzato due album e ora sto lavorando a un progetto denominato Immediate Music, nel quale registro musica improvvisata con altri musicisti e che sarà contenuto in cinque album. Il primo è con Pekko Käppi, che suona uno strumento tradizionale finlandese, e Teemu Korpipää all’elettronica. Poi ho un trio con Mats Eilertsen e Thomas T Dahl chiamato Skydive, mentre con Mats suono anche in un gruppo più grande, Rubicon. In Finlandia suono con Verneri nell’Ilmiliekki Quartet, e con mio fratello nella band Sun Trio, con la quale abbiamo registrato quattro album. Inoltre ho suonato nel quintetto di Tomasz Stańko.
VP Sto lavorando principalmente in duo con il batterista Mika Kallio. Un duo è molto differente da un’intera band, dà molta libertà ma anche molta responsabilità. È un modo diverso di suonare rispetto a un quintetto, per esempio. In duo devi suonare quasi tutto il tempo, naturalmente con delle pause, invece in quintetto suono il mio assolo, le melodie, e rimango in silenzio per il resto del tempo. Ho anche un quintetto, il Verneri Pohjola Group, formatosi attorno alla musica di mio padre Pekka. Ho suonato la batteria in una rock band, perché una parte di me è jazz ma l’altra è rock. Nella mia tromba si sente anche l’influenza del rock alternativo, per questo sono sempre stato interessato all’elettronica, e ho anche studiato un po’ per diventare tecnico del suono. In sostanza potrei registrare da me i miei dischi, ma preferisco non farlo per potermi concentrare sulla musica. Nel mio gruppo ho adesso reintrodotto pubblicamente l’elettronica, che per lungo tempo non avevo utilizzato dal vivo. Poi ho un quartetto, che non si esibisce da un anno ed è quello del disco «Bullhorn». E ancora una sorta di rock band, che ancora non ha inciso e che suona un rock e un free jazz molto aggressivo: sono infatti molto interessato a mescolare il suono del rock e del free jazz. E ancora l’Ilmiliekki Quartet con Olavi, che ha appena registrato un nuovo album dopo una pausa decennale interrotta da un disco fatto insieme a una cantante. Poi suono con Pauli Lyytinen nel gruppo Magnetia Orkesteri, e ho una collaborazione con il pianista islandese Sunna Gunnlaugs e una con la cantante danese Janne Mark per l’etichetta ACT. Queste sono almeno le principali.

Verneri Pohjola (foto di Dave Stapleton)
Verneri Pohjola (foto di Dave Stapleton)

Vorreste dare una chiave per orientarci nelle vostre discografie? Quali sono i vostri dischi preferiti?
OL «Numurkah» dello Joona Toivanen Trio, il primo disco su cui ho suonato, la mia prima esperienza in studio. Un disco speciale in molti sensi, ma soprattutto perché suona molto fresco, eravamo davvero giovani. Poi il primo album del mio gruppo Oddarang, «Music Illustrated», il primo di cui sono stato completamente responsabile, un vero grande passo per me. E il mio primo album da solista, «Inhale Exhale», di cui sono molto orgoglioso perché dietro c’era un grande lavoro.
VP Il mio ultimo album «Pekka» dedicato alle composizioni di mio padre, poi «Bullhorn», che è un buon modo per aaccostarsi al jazz per chi non è aduso a questa musica. È puro jazz, non mescolato ad altro ma estremamente fruibile.

Avete altri interessi oltre la musica?
OL Sì, gioco in una squadra di calcio, la AC Jupiter, ovviamente per divertimento. Inoltre navigo in barca a vela, pratico meditazione zen da circa sette anni e, durante l’inverno, nuoto nei laghi ghiacciati, una pratica che amo e che credo faccia molto bene alla salute.
VP Certo! La prima cosa è essere un buon padre. Ho un figlio di sette anni, e mi interessa esserlo per lui perché mio padre non lo è stato per me. Poi gioco a calcio, nella stessa squadra di Olavi, e sono un appassionato di automobili e di cinema, dai buoni film hollywoodiani alle cose più strane.

Vincenzo Fugaldi

[da Musica Jazz, settembre 2018]