Jorma Kaukonen: i nastri dell’orso

di Riccardo Bertoncelli

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Jorma Kaukonen (foto di Ed Perlstein)
Jorma Kaukonen (foto di Ed Perlstein)

Un nastro inedito registrato da un Grande Corruttore illumina la San Francisco acida degli anni Sessanta: Jefferson Airplane, Hot Tuna, Grateful Dead

Il 1969 fu un tempo ricco per la musica nuova, un turning point, come cantava John Mayall cambiando pelle come e più dei camaleonti; e l’estate di quell’anno fu la stagione più viva e feconda, l’estate di Woodstock e non solo, di un Newport Jazz Festival in cui Herbie Hancock e Roland Kirk si allearono a Led Zeppelin e Frank Zappa, di Miles in studio a distillare l’inaudito jazz rock di «Bitches Brew», del ritorno di Dylan all’isola di Wight, di Tim Buckley stregato dal fantasma di Federico García Lorca. Cinquant’anni dopo sappiamo tutto di quei giorni, o quasi tutto, se è vero che ogni tanto appaiono nastri che non si conoscevano, tasselli che rendono ancora più luminoso e affascinante il quadro. Uno è da poco planato dalle nostre parti e, per quanto piccolo, vale un ascolto e un racconto. Sono settanta minuti di uno show in una piccola sala di Santa Rosa, California, che alla fine di giugno vede impegnato un insolito trio composto da Jorma Kaukonen, Jack Casady e Joey Covington.

Il «californiano Sixties» è ormai avviato a essere lingua morta, come l’aramaico, ma confido che qualcuno si ricordi dei protagonisti e della nobiltà di almeno due di loro. Jorma Kaukonen e Jack Casady sono stati la lead guitar e il basso dei Jefferson Airplane, la più graffiante e polemica formazione della scena West Coast, che nel 1969 di cui parliamo schierava Joey Covington come percussionista. Covington sarebbe presto scomparso tra i flutti della storia rock mentre Kaukonen e Casady no, anzi, di lì a poco avrebbero cominciato una bellissima storia parallela ai Jefferson fondando gli Hot Tuna e tornando agli amori della loro giovinezza pre-LSD: il blues, il folk acustico, la old time music. Questo nastro rimasto sepolto negli archivi per mezzo secolo è l’anello di congiunzione fra i due progetti. Jorma e Jack hanno appena finito di registrare «Volunteers», l’album «militante» degli Airplane, «got a revolution/ got to revolution», e sentono il bisogno di mettere una distanza dagli invasati compagni. Non hanno ancora deciso di tornare all’acustico, vanno a estro, e per cominciare imbarcano Covington e la sua giudiziosa batteria. Quando a settembre esordiranno come Hot Tuna, con l’ottimo live che tutti ricordiamo, avranno già cambiato idea: no drums, solo la fuggevole macchia di colore di un’armonica.

Gli Hot Tuna backstage al club Old Waldorf di San Francisco, nel maggio del 1977. Assieme a Casady e Jorma Kaukonen, il batterista Bob Steeler e il tastierista Nick Buck.  (foto di Ed Perlstein)
Gli Hot Tuna backstage al club Old Waldorf di San Francisco, nel maggio del 1977. Assieme a Casady e Kaukonen, il batterista Bob Steeler e il tastierista Nick Buck. (foto di Ed Perlstein)

Lo show di Santa Rosa inizia con Rock Me Baby, un B.B. King che gli Airplane avevano da un po’ in repertorio, e a un certo punto tocca un altro blues canonico, Come Back Baby di Walter Davis; ma il resto sono originali di Jorma e Jack, spunti più o meno noti (Star Track, dal bellissimo quaderno di «Crown Of Creation») che servono per sfogare certe energie represse nella tipica lingua dei californiani di quei giorni, un acid rock graffiante e convulso, una «fase due» di quella esperienza psichedelica che sulle prime molti avevano limitato a visioni celestiali e good good vibrations. I brani dilagano per dieci, dodici minuti, con la chitarra scossa da una parossistica febbre che non la fa quietare mai. Kaukonen avrà anche il sospetto di esagerare, ma è come se non potesse farne a meno, dopo essersi sacrificato tra le righe degli ultimi album Jefferson; e Casady con il suo basso insistente è un pungolo, è il suo appoggio, conforto, approvazione. Bellissima amicizia, quella tra i due, nata nell’ingenua San Francisco prima dei Beatles. Sono insieme ancora oggi, e quando leggerete queste note avranno festeggiato da poco i settantacinque anni di Casady con uno show di Hot Tuna acustici, come ogni tanto capita; anche se, sia chiaro, esistono e resistono anche gli Hot Tuna elettrici, perché alla fine Jack e Jorma hanno scelto di non scegliere e di proporsi in varie lingue e fogge, a seconda degli umori.

Il live in questione, «Before We Were Them», lo pubblica la Owsley Stanley Foundation nella collana «Bear’s Sonic Journals», ed è una storia nella storia che non si può non raccontare. Owsley Stanley fu un mito della San Francisco anni Sessanta, talento bizzarro e multiforme, ed estendete pure questi aggettivi quanto più vi pare. Nato nel 1935 in una agiata famiglia del Kentucky che vantava illustri politici, aveva studiato accanitamente da pecora nera, eccellendo in campi che i familiari mai avrebbero immaginato: ballerino, tecnico audio e tv, chimico. Trasferitosi in California, scoprì l’acido lisergico quando ancora la creatura del dottor Hoffmann non era nell’elenco delle sostanze proibite, e si divertì non solo a sperimentarla ma a diffonderla. Preparò puntigliosamente centinaia di migliaia di dosi di LSD, diventando il fornitore ufficiale dei Merry Pranksters di Ken Kesey e l’eminenza chimica che stava dietro a quegli esperimenti di libera espressione passati alla storia come Acid Tests. Anche lui vi si sottoponeva, e dicono fosse uno spettacolo vederlo dimenarsi sotto l’effetto dello LSD, così invasato e goffo che presero a chiamarlo «Bear», «orso», e con quel nome passò alla mitologia hip. Continuò l’attività anche quando l’acido fu dichiarato illegale in California, ottobre 1966, alternandola all’altra sua passione, gli impianti di amplificazione sonora. Si legò soprattutto ai Grateful Dead, le star appunto degli Acid Tests, e li convinse che per i loro scopi di psichedelia non potevano limitarsi a balbettare fievoli suoni distorti ma dovevano scolpire musica di nitida bellezza, con impianti sofisticati che all’epoca nessuno possedeva. Creò per loro un impressionante muro di suono e suggerì di registrare gli show dal vivo e anche le prove, preservando per il futuro quelli che non erano mai spettacoli di routine ma «audiogiornali» in continuo mutamento, che sarebbe stato difficile fissare con quella frequenza in studio.

A Newark City, nel 2015, gli Electric Hot Tuna. Da sinistra: Jack Casady, Justin Guip e Jorma Kaukonen (Foto di Al Pereira)
A Newark City, nel 2015, gli Electric Hot Tuna. Da sinistra: Jack Casady, Justin Guip e Jorma Kaukonen (Foto di Al Pereira)

La doppia vita di Owsley tra alambicchi e mixer sarebbe stata un bengodi se la narcotici non lo avesse preso di mira, con periodici raid tra la California e il Colorado dove a un certo punto aveva spostato la sua base d’azione. Fu condannato una prima volta nel 1967 e una seconda nel 1970, scontò due anni di prigione in un carcere federale e, per forza e ancora per forza, fu costretto a smantellare il suo laboratorio. Emigrò allora in Australia, dove mise a frutto l’artigianato che aveva appreso dietro le sbarre, sculture metalliche e gioielleria. Fece quello nel resto della vita, almeno ufficialmente e senza troppi rimpianti, confermando di essere un talento proteiforme che niente e nessuno poteva fermare. È morto nel 2011, ma attenzione a liquidarlo con un amen, perchè alle spalle si è lasciato un tesoretto che ogni tanto spunta e manda bei riflessi. Negli anni suoi d’oro, quando la narcotici lo lasciava in pace e lui, fatto o non fatto, si dedicava alla passioncella hi-fi, Stanley registrò numerosi concerti specie in California, spendendovi tutta la sua cura e puntiglio. Ce n’eravamo accorti già anni fa, quando era uscito un disco dal vivo di Janis Joplin con i Big Brother che spiccava per bellezza e suoni chiari, e più di recente quando la fondazione Owsley Stanley ha pubblicato un paio di live degli Allman Brothers e un cofanetto dedicato a Doc & Merle Watson che ha fatto impazzire i countrymani. La stessa luce investe questo nastro, così diverso da tante registrazioni d’epoca che, con tutta la buona volontà, soddisfano il fan che è in noi ma mortificano l’altro nostro inquilino, l’audiofilo. Faremmo la firma per averne altri, di dischi del genere, ma possiamo immaginare che questioni legali tengano imprigionate la maggior parte delle bobine dell’Orso: ventisei soltanto degli Hot Tuna, da quel che sappiamo, e altre che riguardano Quicksilver, Jefferson Airplane, Taj Mahal, Santana, Blue Cheer, fino a Johnny Cash e a Miles Davis.

Jorma Kaukonen & Jack Casady «Before we where them - June 28 1069»
Jorma Kaukonen & Jack Casady «Before we where them – June 28 1069»

Un po’ per volta quei nastri usciranno, c’è da sperare, alimentando un culto che una recente biografia ha rilanciato (Bear, di Robert Greenfield) e che un film magari fisserebbe meglio. Nell’attesa, le pagine migliori per accompagnare questo racconto e il disco di Jorma e Jack rimangono sempre quelle di Tom Wolfe, il dissennato mosaico di Electric Kool-Aid Acid Test, che nella versione kindle oggi disponibile ha recuperato il titolo originale dopo essere stato all’epoca Acid Test al rinfresko elettriko, un Narratori Feltrinelli ricercatissimo dai bibliofili assieme alla sua sorellina, La baby aerodinamica kolor karamella.

Riccardo Bertoncelli

[da Musica Jazz, aprile 2019]