Buongiorno Laura, vorrei partire da questa tua dichiarazione: «Mood Swing» è un album pervaso da un profondo dualismo: esprime il forte disagio di vivere nell’attuale momento storico, ma celebra anche la gioia di vivere, la leggerezza, il diritto alla felicità. È anche un album di protesta, perché punta il dito contro ogni forma di violenza e prevaricazione. Lo dedico al nostro stupendo e sofferente pianeta, e a tutti gli animali, creature innocenti e meravigliose». Potresti spiegarci meglio il contenuto di questo tuo ultimo lavoro?
Buongiorno a te Alceste. I brani, a parte People are Strange, sono tutti miei, musica e testo. L’album è quindi l’espressione di ciò che sono io oggi, e intendo sia come artista che come donna. Anche perché i due aspetti sono indissolubilmente legati. In «Mood Swing» c’è l’introversione, il lato oscuro, l’amore per la notte, che da sempre mi accompagna; c’è rabbia, smarrimento, sofferenza (alcuni brani sono stati scritti durante o dopo il Covid…) E poi, per fortuna, c’è l’antidoto, ovvero, la parte vitale ed estroversa, la leggerezza, l’ironia -che non cura i mali del mondo, ma li lenisce- La percezione di quanta bellezza esista intorno a noi, sebbene costantemente svilita da chi non insegue la bellezza, ma il denaro e il potere che poi, sono la stessa cosa.
Quando e come è nata l’idea di questo disco?
Il disco ha avuto una gestazione piuttosto lunga, proprio anche grazie al lock-down. Mi è stato proposto di fare un album di brani composti da me, proposta che ho accolto con entusiasmo; e, per la prima volta (dopo tredici album) ho voluto che fosse imperniato sul piano e voce. Così, ho iniziato a produrre materiale, a scrivere, e a sviluppare idee in precedenza solo abbozzate: quelle tracce che registri al volo sul telefono quando ti nasce nella testa un riff, una frase melodica, un concetto, magari mentre stai guidando o facendo qualsiasi altra cosa, molto spesso nelle ore notturne. La fase di scrittura per me è sempre entusiasmante. Adoro comporre: ogni canzone è un’avventura, una sfida, un traguardo.
Il concetto di libertà si fa sentire molto forte in questo tuo disco. Quale significato assume la libertà per te in quanto artista?
Libertà è seguire le proprie inclinazioni e scelte artistiche, senza subire imposizioni di qualsivoglia genere; questa è stata la mia scelta; e penso che chi, come me, sceglie questa strada -jazz, blues, o comunque uno stile non di massa- a mio parere lo fa anche per essere libero, e per non doversi confrontare con il mercato musicale e le sue follie…
Trovi che oggi ci sia sufficiente libertà in Italia?
A proposito di disagio relativo al momento storico attuale… La sensazione è di una costante, quotidiana pressione; devo dire che, purtroppo, non mi piace la direzione che hanno preso le nostre vite. Tutta questa corsa all’essere sempre reperibili h24 (ma chi lo vuole?), le imposizioni dettate dal consumismo; ci obbligano a cambiare televisore, o chissà quale altro aggeggio, ci dicono che il CD non va più bene, e che bisogna tornare ai vinili; così, via il lettore CD dai computer e dalle automobili (insieme al portacenere, che ormai è un oggetto vintage, visto che hanno deciso che in auto non si fuma più…) Queste sono le prime cose che mi vengono in mente, ma la lista sarebbe lunga; non sono una cospirazionista, però ci sono chiari segnali di chiusura e oscurantismo. Infine, libertà è anche potersi concedere tempo, tempo per noi stessi, e oggi pare questo sia diventato un lusso. Lavorare, guadagnare, spendere, comprare cose; mostrarsi, esibirsi sui social, spiare le vite degli altri; e, ciliegina sulla torta, seguire l’influencer del momento. Chi vive secondo questi schemi ha scelto di non pensare con la propria testa, e questo equivale a non essere liberi.
Chi sono i tuoi compagni di viaggio?
Io collaboro con diversi musicisti, alcuni dei quali sono appunto presenti nell’album: Marco Brioschi alla tromba, Stefano Dall’Ora al contrabbasso, Marco Simoncelli all’armonica a bocca, Heggy Vezzano alla chitarra. Musicisti eccellenti, e provenienti da aree stilistiche diverse, a confermare la natura variegata dell’album. Poi, io stessa mi sono divertita ad aggiungere colori all’album: spazzole e rullante, glockenspiel e armonica alla Neal Young…
In questo disco si ascolta anche una vena cantautoriale, meno jazzistica. Cosa non sempre usuale per te. C’è qualcosa che sta cambiando nella tua visione della musica?
Ogni artista segue un processo evolutivo; io ho sempre amato confrontarmi con generi musicali differenti, anche nel rileggere brani di altri autori. Una bella canzone è un valore, indipendentemente dallo stile. Sicuramente mi sono «essenzializzata», e anche – passami il termine- un po’ «ingrezzita»; nel senso che, oggi ancor più di ieri, ho bisogno di percepire il «ruvido», l’anima vibrante e primitiva della musica, a discapito del glamour, dei fronzoli e del sound patinato e modaiolo.
Vorrei parlare con te del brano Mother Earth. Qual è il tuo pensiero sulla situazione ambientale nel mondo?
Ecco un tema che mi sta particolarmente a cuore. Assisto impotente all’opera di distruzione del pianeta, con rabbia e con dolore. E, aggiungo, stupore. Come si può restare indifferenti ai disastri ambientali, ormai sotto gli occhi di tutti? L’ essere umano alla conquista di Marte: bravo! Ma non sarebbe prioritario, invece, occuparsi del pianeta Terra? Preservandolo, e creando condizioni di vita a misura d’ uomo, e del regno animale? Viviamo inscatolati e costretti all’uso dell’aria condizionata, mentre i ghiacciai si sciolgono…E c’è ancora gente che nega che il cambiamento climatico non sia causato dal disastro ecologico.
Laura, ho scoperto che sei ambasciatrice dell’associazione Vegani Italiani Onlus. Quali sono le ragioni di questa tua scelta di vita?
Non sono io! Ho scoperto (non lo sapevo) che è un caso di omonimia. Però vorrei raccontarti come sono diventata vegetariana… Amante degli animali fin da bambina, ma anche dei piaceri della tavola, provavo grande ammirazione per chi aveva fatto tale scelta ma, evidentemente, la mia motivazione non era abbastanza forte. Poi, sul finire del 2012, ho adottato un cane, il mio Barney (naturalmente, preso al canile). Col passare del tempo, sono stata travolta da un sentimento mai provato per nessun umano, da un amore totale e incondizionato; gradualmente, questo sentimento è andato estendendosi a tutti gli altri animali, e il passaggio al vegetarianismo è stato spontaneo e inevitabile. Gli animali sono creature innocenti e indifese, nelle mani di un’umanità efferata e crudele; i crimini ai loro danni sono ormai sotto gli occhi di tutti, grazie all’ esposizione mediatica. Mi ripeto…Come si può restare indifferenti? Se non riesci ad amarli, non puoi almeno rispettarli? Sono cosciente che rispondere alla violenza con la violenza non è sano, tuttavia mi piacerebbe che, a chi dà fuoco a un gatto o impicca un cane, fosse riservato lo stesso trattamento. Forse allora i crimini comincerebbero a diminuire.
Quanto incide questo tuo orientamento di vita nel tuo universo musicale?
Senza dubbio l’espressione più esplicita di questo mio sentire è lo spettacolo musicale-teatrale Sola con una cane: canzoni e dissertazioni tragicomiche sulla solitudine. In scena: io e Barney. Ideato e scritto da me nel 2018, vede canzoni che si alternano a monologhi; spettacolo da cui è nato il libro omonimo, pubblicato nel 2022 ( edizioni La Vita Felice): un libro che presenta diverse analogie con “Mood Swings”, perché sviluppa e approfondisce le tematiche di cui sopra. Ed è, sicuramente, tutto dalla parte degli animali.

Foto di Alice Asinari
Quali sono le collaborazioni che hanno maggiormente influenzato la tua visione artistica?
Agganciandomi alla precedente risposta, senza dubbio posso dire che il mio cane è stato l’ignaro artefice di un grosso cambiamento interiore, e questo cambiamento naturalmente ha influenzato anche parte della mia visione artistica. Lui è il mio Muso Ispiratore… A parte Barney, più che di influenze, parlerei di scambi. Sono sempre stata leader dei miei progetti, dunque la linea di base nasce sempre da una mia personale esigenza di espressione; ma l’interplay, il confronto, sono fondamentali, e ogni musicista con cui ho avuto l’opportunità di suonare ha sicuramente arricchito il tutto con il suo apporto creativo. E, spero, viceversa. Tra le collaborazioni più significative e durature, sicuramente devo citare – partendo dagli inizi – Paolo Tomelleri e Giampiero Prina, con cui sono cresciuta jazzisticamente. Ogni domenica sera giù nello scantinato del Due, storico club milanese. Poi, i musicisti con cui ho creato progetti o inciso i miei album: Roberto Martinelli al sax, Giò Rossi e Marco Castiglioni alla batteria, Alberto Marsico all’ hammond, Stefano Dall’Ora al contrabbasso.
Cosa ne pensi dell’industria musicale così come è articolata oggi?
Trovo tutto molto complicato. Il passaggio dal supporto fisico all’online
ha cambiato completamente la fruizione della musica; faccio una certa fatica a capire certe meccaniche, e non solo in ambito musicale. Confesso di essere veramente poco portata per la tecnologia, e confesso anche che -quando posso- delego volentieri la gestione del virtuale, ben felice di potermi occupare solo di fare musica.
Cosa è scritto nell’agenda di Laura Fedele?
Quest’anno ho partecipato a Pianocity Milano 2024 con un nuovo progetto, intitolato Give peace a chance, in piano solo; l’accoglienza del pubblico è stata tale da farmi decidere di ampliare la performance al trio, con Stefano Dall’Ora al contrabbasso e Max Furian alla batteria. Il concerto prevede la rilettura di brani di autori vari (da Auschwitz di Francesco Guccini a Peace di Horace Silver), tutti incentrati su tematiche di protesta, ribellione, denuncia; canzoni contro le guerre e le discriminazioni di qualsiasi natura esse siano, canzoni che chiedono rispetto per ogni creatura vivente sulla Terra, e per la Terra stessa. Oltre naturalmente a brani tratti da «Mood Swing». Give peace a chance debutterà a settembre.
Alceste Ayroldi