Buongiorno Camilla, benvenuta a Musica Jazz. Parliamo subito del tuo ultimo lavoro editoriale La Maledizione del Dakota, edito da Arcana. Un argomento molto particolare, tanto quanto interessante. Qual è la genesi di questo lavoro?
Un collegamento tra l’eccidio di Cielo Drive (l’assassinio dell’attrice Sharon Tate e di alcuni suoi ospiti nella sua villa di Beverly Hills in cui viveva con il marito, il regista Roman Polanski) e l’omicidio di John Lennon mi ronza in testa da anni. Già nel 2009 il protagonista di un mio romanzo parlava del fatto che il palazzo di New York in cui è ambientato Rosemary’s Baby di Polanski e poi assassinato Lennon secondo lui “nasconde qualcosa”. Per anni ho lasciato quel “qualcosa” fuori dalla porta della mia mente, perché sapevo che sarebbe stato impegnativo. Poi nel gennaio 2022 ho deciso di metterci la testa: cadeva un anniversario particolare, quello dei 51 anni in cui un disco venne ascoltato come prova in un processo per omicidio. E non un disco qualunque (e non un omicidio qualunque): si trattava del «White Album» dei Beatles, portato come prova al processo Manson. Per Sky TG24 ho lavorato a un approfondimento, e da lì poi tutto è sgorgato, come se finalmente avessi tolto un tappo.
La circostanza che tu sia una filologa medievale ha in qualche modo influenzato il tuo modo di processare gli argomenti di questo libro?
Sì, senz’altro. Ho una forma mentis da topo da biblioteca, nel senso che mi documento fino all’esasperazione. Questo metodo certosino lo devo senz’altro alla mia formazione filologica ma anche alla professione di giornalista: per combattere le fake news, oramai mi viene automatico riportare più fonti (puntando non tanto sul numero quanto sulla qualità, sull’autorevolezza).
A proposito: cosa ci fa una filologa medievale nel mondo della musica?
Bella domanda… Dopo filologia medievale e moderna, ho deciso di svecchiarmi un po’ specializzandomi in Arte, spettacolo e produzioni multimediali. In realtà il mio grande amore era (e rimane) il teatro, a cui ho dedicato anni di ricerca. Ho iniziato a lavorare al Teatro i di Milano, una delle ultime roccaforti del teatro di ricerca in Italia (e in Europa), che purtroppo ha da poco chiuso i battenti. Parallelamente al teatro, lavoravo per la televisione e, dopo vari programmi dove la musica era già massima protagonista, ho iniziato a lavorare a Mtv. Mi occupavo del telegiornale, il TG Flash di Mtv (TG specializzato in musica) e del programma Crispy News, sempre di informazione e intrattenimento con focus su musica (e gossip), assieme a Kris & Kris. E comunque sapevo che prima o poi la musica mi avrebbe attirato a sé: da ragazzina suonavo la batteria e cantavo in gruppi blues. Ho sempre avuto una voce molto calda e peculiare, parecchio insolita per una teenager, quindi andavo forte. Ecco, me la canto e me la suono, per rimanere in tema.
Nel tuo libro si attraversa la musica degli anni d’oro: dai Beatles ai Led Zeppelin, passando per Beach Boys e Rolling Stones, tra gli altri. Ciò che fai notare è che il culto di Satana ha da sempre affascinato buona parte dell’universo rock. Come ti spieghi questa circostanza?
Il rock ’n roll e il rock sono nati come musica di contestazione, come espressione culturale di una generazione che andava contro i propri genitori, anche musicalmente. Era una musica contro il sistema e – dato che il sistema è indissolubilmente legato alle religioni monoteiste (Cattolicesimo, Ebraismo, Islam), perlomeno in Occidente – doveva essere una musica pure contro quelle religioni tradizionali. Non che Satana sia una novità, anzi: i satanisti credono che venga addirittura prima di qualsiasi dio delle religioni abramitiche. Ma Satana è il simbolo del “fa’ ciò che vuoi” (che è il motto di Aleister Crowley, il celebre occultista britannico a cui si deve gran parte dell’influenza esoterica di Led Zeppelin, Beach Boys, Stones eccetera). Se le religioni monoteiste cercano di educare le masse, di disciplinarle, di tenerle a bada e indottrinarle, il satanismo viceversa è il culto dell’ego, e come tale permette all’uomo di fare qualunque cosa esiga l’ego. E all’ego non c’è limite. In questo senso il satanismo e i nuovi culti, con ritorno al paganesimo in cui non esistono tabù, sono molto rock ‘n roll.
La cosa che mi ha affascinato dal punto di vista letterario, è che parti dal Dakota building e arrivi ovunque. Ho paragonato questa tua formula narrativa alla navigazione su Internet: si sa da dove si parte, ma non si sa dove si approda. Eri già consapevole di questa tua formula letteraria oppure è nata casualmente?
Spesso la mia scrittura è molto joyciana, sperando che James Joyce non si rivolti nella tomba… Soffro di overthinking, quell’infinito susseguirsi di pensieri che però – a differenza della maggior parte delle persone che accusano questo disturbo – a me sembrano avere un senso. Il mio stream of consciousness alla fine mi porta sempre a una conclusione non da TSO, ecco.
Camilla, visto che dal punto di vista anagrafico sei ben lontana dagli anni Sessanta e Settanta, questa è la musica che ascolti?
Ascolto parecchio rock, ma la mia anima pulsa per il blues (e anche per tanto jazz). Ho un cugino che è uno dei più grandi maestri del sax tenore in Italia: Stefano Sernagiotto. Tra i grandi del jazz, adoro Thelonious Monk. Mio padre mi ha cresciuta a Dave Brubeck e Keith Jarrett, ma so che per i puristi è come dire “ascolto punk, ossia i Blink-182”… Ho ascoltato anche tanto punk, tra l’altro. Ma la grande passione rimane il blues. L’ho coltivato parecchio, a livello sia di ascolto che di ugola, cantando assieme a musicisti eccezionali, per esempio i Mandolin’ Brothers.
Accendi i riflettori sul fenomeno del backward masking, in quegli anni parecchio usato. Vista la tua notevole esperienza come deejay, oggi viene utilizzato?
È più una cosa che andava a braccetto con l’LSD, credo.
Ovviamente, si parla tanto di Rosemary’s Baby, che ha visto come set il Dakota building. Il film vede una colonna sonora importante per i jazzofili, perché l’autore è Krzysztof Komeda. Possiamo dire che Komeda è stato risparmiato dalla maledizione del Dakota?
L’uscita di Rosemary’s Baby è stata funestata dalla sua morte. Nel dicembre 1969 il compositore Krzysztof Komeda (le cui musiche sono presenti in quasi tutti i film di Polanski, compreso Rosemary’s Baby) viene spinto in una scarpata dallo scrittore Marek Hłasko durante una festa, riportando un ematoma cerebrale. Roman Polanski nelle sue memorie ha ricordato come Hłasko abbia spintonato in maniera scherzosa Komeda, che è quindi caduto accidentalmente. Trasportato a casa in Polonia in coma, è rimasto per mesi in stadio vegetativo a causa delle gravi ferite riportate alla testa. È morto tre mesi più tardi, nell’aprile del 1969, esattamente quattro giorni prima di compiere 38 anni. E Marek Hłasko è morto all’età di 35 anni, dopo l’assunzione di alcol e barbiturici. È probabile che Hłasko si sia suicidato: era il 14 giugno 1969, un mese prima dell’omicidio di Sharon Tate. Tornando a Komeda, fa rabbrividire un dettaglio: è caduto in coma e poi è morto dopo tre mesi, esattamente come accade in Rosemary’s Baby ad Hutch, l’amico di Rosemary. Hutch cade misteriosamente in coma e muore proprio dopo tre mesi. Ed entrambi, compositore e personaggio, sono deceduti a causa di un coagulo cerebrale. Hutch è stato vittima dei satanisti del Dakota, Komeda di un infausto destino (benché alcuni credano che c’entri la maledizione del Dakota).
Quali sono state le tue fonti di ricerca?
Gli atti del processo Manson, gli atti del processo Chapman, i verbali della polizia dell’epoca, quotidiani, giornali, riviste e telegiornali del tempo. Il resoconto del processo Manson da parte del pubblico ministero Vincent Bugliosi (il suo libro intitolato Helter Skelter. Storia del caso Charles Manson), interviste a tutte le persone coinvolte. E i testi delle canzoni anche, dato che parliamo di un processo in cui una delle prove era il White Album dei Beatles. Poi mi sono fatta prendere la mano e ho passato al setaccio tutta la storia dei messaggi subliminali nel rock…
John Lennon, Yoko Ono. A tuo avviso, quest’ultima quanto ha inciso nella decisione di Mark David Chapman di eliminare Lennon?
Dato che Yoko Ono ha voluto fortemente trasferirsi al Dakota Building (lei e Lennon prima abitavano al Greenwich Village), direi che la vedova di John Lennon ha inciso parecchio. Perché, da quanto analizzo e “ricostruisco” nel mio libro, Mark David Chapman non ha ucciso Lennon perché era ossessionato da lui né perché aveva tradito i Beatles né perché uccidendo l’uomo più famoso del mondo sarebbe diventato anch’egli famoso né perché gliel’avrebbero detto le pagine de Il giovane Holden. A fare scattare il delirio omicida di Chapman è stata un’addizione: Lennon + Dakota. Ecco le parole di Chapman: «Trovo un libro su John Lennon. C’era lui in copertina, con dietro la Statua della Libertà. Poi dentro foto di lui sui tetti spioventi del Dakota, il famoso palazzo di New York. Quelle immagini sul tetto del Dakota mi si sono insinuate in testa. A un tratto ho incominciato ad avvertire un senso di rabbia nei confronti di quell’uomo. Qualcosa dentro di me si era rotto. Il grande John Lennon che diceva di immaginare un mondo senza proprietà privata possedeva invece milioni di dollari, yacht di lusso, case in campagna e in città, ridendo di tutti quelli che come me avevano creduto alle sue bugie, comprato i suoi dischi. Trasudava ipocrisia, conformismo. Appena ho visto quella foto ho capito che lo avrei ucciso. È come se per la prima volta avessi trovato qualcosa, una soluzione. Per la prima volta tutti i miei pensieri erano sincronizzati».
A tal proposito, tempo orsono lessi un bel libro che raccoglie tutti gli aspetti giudiziari dell’affaire Lennon/Chapman: Shoot Me di Joe Santangelo. Anche tu sottolinei che Chapman è ancora in carcere nonostante tutte le richieste di libertà avanzate, anche in ragione del suo precario stato di salute mentale. Qual è la tua posizione in merito? È giusto che sia ancora in carcere?
Ad agosto 2022 è stata la dodicesima volta che Chapman ha chiesto la libertà vigilata, vedendosela ancora una volta negare. Oggi ha 67 anni e si trova al Green Haven Correctional Facility di New York, dove sta scontando la pena. Pare non ci siano gli estremi perché possa uscire di prigione, così dicono i funzionari statali. Nel 2020 l’avvocato di Chapman, Jonas Herbsman, affermò che a influire in maniera decisiva sulla scelta della commissione è Yoko Ono. Non so se l’opposizione della vedova di Lennon sia davvero determinante o meno, anche se di certo l’aver manifestato più volte la sua ferma opposizione alla libertà per Chapman non aiuta Chapman, ecco. Fa riflettere come, per l’altro processo di cui parla La maledizione del Dakota (quello per l’eccidio di Cielo Drive e l’assassinio dei coniugi LaBianca) alcuni dei seguaci di Charles Manson abbiano invece ottenuto la libertà vigilata. E come Manson non sia stato condannato alla pena di morte nonostante la scia di sangue che ha lasciato dietro di sé. «Se questo caso non è appropriato per la condanna alla pena di morte, allora non lo sarà mai nessuno. […] Questi non sono stati omicidi normali, signore e signori. Sono parte di una guerra unilaterale nella quale sono state commesse spaventose atrocità. Se questi imputati non si meritano la pena di morte, chi viene condannato per un normale omicidio di primo grado non si merita più di dieci giorni nel carcere della contea», disse il pubblico ministero Vincent Bugliosi durante l’arringa finale. Alla fine condannarono Manson e i suoi accoliti alla pena capitale, ma poi le cose andarono diversamente… Per quanto riguarda la mia posizione circa la libertà vigilata non concessa a Chapman, non mi esprimo perché da un lato non vorrei inimicarmi Yoko Ono e i fan di Lennon e dall’altro non vorrei risultare di parte (dalla parte di Ono e dei fan di Lennon). Io comunque se fossi in Chapman avrei paura a uscire dal carcere.
Vista la tua esperienza di ricercatrice e giornalista sull’argomento, il jazz è immune da questi aspetti spettrali?
Se si parla di vendere l’anima al diavolo a mo’ di Robert Johnson, non mi viene in mente nessun jazzista che dall’oggi al domani abbia imparato a suonare da Dio (grazie al diavolo) come dicono sia successo al chitarrista blues che ha venduto l’anima a un uomo incontrato a un crocicchio. Però il voodoo si è infiltrato dappertutto, dal blues al jazz, quindi sono certa che andando a scavare si possa trovare di tutto pure nel jazz. Invece per quanto riguarda il Dakota Building (che ha sempre ospitato – e ospita tutt’ora – soprattutto star del cinema, della musica, dell’arte e dello spettacolo) ci sono stati e ci sono tutt’ora inquilini jazzisti, dal compianto Walter Becker a Roberta Flack.
Un personaggio che aleggia per tutto il libro è Aleister Crowley. In sintesi, come lo definiresti?
Io definirei Crowley una rockstar. Una controversa rockstar, chiaramente. Parliamo del più famoso esoterista e occultista di tutti i tempi, che alcuni considerano il padre putativo di buona parte del satanismo moderno. Crowley era un britannico che è riuscito a rivoluzionare il mondo dell’occulto così come quello del rock. Non che lui suonasse, però è stato una musa di tanti nomi della musica anni Sessanta, soprattutto di band e musicisti inglesi, suoi connazionali insomma. Led Zeppelin, Beatles, Rolling Stones, Queen… Non c’è grande nome delle sette note britanniche di quell’epoca che non sia stato influenzato da Crowley. Nella prima stampa di «Led Zeppelin III», nei solchi del vinile, sono state incise due scritte, una per lato: nel lato A compare So Mete Be It, sul lato B c’è scritto Do What Thou Wilt. Unendo le due frasi viene fuori uno dei motti di Thelema, il culto fondato da Crowley: “Do What Thou Wilt/So Mete Be It”. Fai quello che vuoi, così potrai essere. Se avete un vinile di «Led Zeppelin III» con quelle incisioni, mettetelo in cassetta di sicurezza. E, per non saper né leggere né scrivere, fatevi anche un paio di segni della croce, che non si sa mai…
Che fa coppia, ovviamente, con Charles Manson. Che rapporto aveva Manson con palazzo Dakota?
“In occasione delle riprese di Rosemary’s Baby si sono scatenate voci e leggende metropolitane di ogni genere, mentre le sette sataniche hanno manifestato davanti al Dakota per impedire la registrazione. Tra di loro c’era la Famiglia Manson, la comune insediata nel deserto della California e diretta da Charles Manson, un uomo illuminato che credeva fermamente nell’avvento dell’apocalittica battaglia razziale tra bianchi e neri che doveva concludersi con la vittoria dei primi, ossia l’Helter Skelter tratto da una canzone dei Beatles. Manson sarebbe poi diventato l’autore della tragedia di Cielo Drive”. Questa notizia l’ho scovata sul quotidiano spagnolo El Correo de Andalucia. A parte questo dettaglio che colloca Manson sulla scena di un altro crimine di cui parla il mio libro (l’omicidio di John Lennon), ci sono tanti inquietanti parallelismi tra il film Rosemary’s Baby ambientato al Dakota e il massacro della moglie del regista Polanski, Sharon Tate (che inoltre avrebbe dovuto interpretare Rosemary, ma poi la Paramount impose Mia Farrow come protagonista).
Ma alla fine lo hai visitato di persona il palazzo Dakota?
Soltanto da fuori, dato che accedervi è davvero difficile. Spero che La maledizione del Dakota mi regali semmai una benedizione del Dakota: quella di farmi entrare. Mi auguro che gli inquilini decidano di guidarmi in un tour speciale all’interno del Dakota, per sfatare ciò che ho scritto oppure… chissà! Sperando che non si facciano sentire per una querela però.
Camilla, tu collabori con tante testate giornalistiche, radiofoniche e televisive. Lo so che è una domanda da un milione di dollari. Qual è il tuo giudizio sulla musica dell’ultimo decennio e, soprattutto, quali sono gli elementi di novità che gli artisti coevi hanno apportato all’evoluzione musicale?
Mi approccio alla musica di oggi quasi esclusivamente per lavoro, mentre per quanto riguarda ciò che ascolto e che amo pecco di passatismo (e a volte di snobismo, devo ammetterlo). Purtroppo non riesco a trovare elementi di novità nelle nuove generazioni di musicisti, non perché loro non ci provino o non abbiano talento, beninteso. Ma se arrivi dopo i Beatles, i Pink Floyd, i Led Zeppelin, gli Who, i Ramones, i Clash eccetera, cosa ti rimane da poter inventare?
Qual è il tuo rapporto con la musica jazz?
Mi sono specializzata in canto jazz, ho cantato molto jazz nei mie “anni d’oro”. La mia insegnante è stata Francesca Ajmar, una delle maggiori interpreti di jazz e di musica brasiliana in Italia e in Europa (e io dico pure: nel mondo!). Insegna Canto Jazz al Conservatorio di Pavia.
Un libro che vorresti consigliare ai nostri lettori…
Un libro minuscolo ma al contempo enorme che ho letto di recente è Memorie di un baro di Sacha Guitry. Provate a leggere la prima pagina: un incipit del genere lascia a bocca aperta. Neanche Il profumo di Suskind… Ultimamente sono dipendente dagli audiolibri, specialmente da quelli della serie Ad alta voce di Rai Radio 3. Sono fatti molto bene e, a differenza di altri, hanno un sound design notevole, con colonne sonore godibilissime (anche jazz). Sto ascoltando Ho servito il re d’Inghilterra di Bohumil Hrabal, che vi consiglio. Anche Amatissima di Toni Morrison, Bartleby lo scrivano di Herman Melville. Se li avete già letti, ascoltate Limonov di Emmanuel Carrère e Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace perché meritano in questa veste audio.
Un disco da ascoltare con attenzione…
Bollino giallo di Jukebooks Label, una pazzia che ho fatto anni fa e che chiunque nasconderebbe, mentre io ne vado fiera. Ho scritto e cantato in un pomeriggio 17 canzoni per un progetto molto bizzarro: la Jukebooks Label, un’etichetta librografica che produce musical book cantati e suonati. I jukebooks sono formati non da capitoli ma da trackitoli che non sono da leggere ma da ascoltare. Addio all’io narrante: diamo il benvenuto all’io cantante! Per fortuna mi sono fermata al primo esperimento. Se googolate trovate tutti i trackitoli di Bollino giallo. Se invece volete consigli di ascolto seri, non mi sento all’altezza. Ma vi butto lì «Cruel Country», l’album dei Wilco uscito l’estate scorsa.
Cosa è scritto nell’agenda di Camilla Sernagiotto?
Sta per uscire un mio nuovo libro, anche questo un saggio e anche questo inerente sia alla musica sia al cinema, come La maledizione del Dakota. È un progetto per me importantissimo, non vedo l’ora di parlarvene presto!
Alceste Ayroldi