Anima. Intervista a Baptiste Trotignon

Il pianista francese, dopo una ormai lunga carriera nell’ambito strettamente jazzistico, si cimenta nella composizione per grosso organico orchestrale pubblicando uno splendido disco. A lui la parola

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Foto di Emilie Auje

Buongiorno Baptiste, come nasce l’idea di «Anima»?
Volevo scrivere un grande pezzo sinfonico per la prima volta, ma «Anima» era inizialmente una co-commissione dell’Opera de Tours, dell’Orchestre Victor Hugo e dell’Orchestre de Pau Pays de Béarn: tre grandi orchestre in Francia. Prima di essere un album, si trattava di uno spettacolo dal vivo.

Hai scelto tu l’Orchestre Victor Hugo?
Riguardo alla registrazione, in realtà  sono stati loro a venire da me, mentre stavo scrivendo, suggerendomi di registrarla. Il che è stato ovviamente molto eccitante e ho accettato immediatamente. È un passo importante nella mia evoluzione creativa.

Questo è il tuo primi album sinfonico. Come giudichi questa esperienza di mettere al servizio della musica classica-sinfonica la tua conoscenza dell’improvvisazione?
Sono due cose diverse, che tengo separate. L’improvvisazione è una specie di composizione in tempo reale, senza la possibilità di cancellare alcunché, di modificare. Quindi, quando scrivo cerco di trovare la stessa fluidità che cerco durante il processo di improvvisazione.

Tre suites. La prima domanda è perché hai preferito tre differenti suites, anziché una solo composizione?
Bene, sapevo che «Anima»  stava diventando impegnativa, dalla durata di circa trenta minuti: questa era l’idea della commissione, quindi quando è arrivata la proposta di registrazione del Cd, ovviamente era troppo breve e bisognava implementare il lavoro. Quindi è stata un’occasione perfetta per registrare questi altre due recenti brani:  L’air de rien (dove suono il pianoforte, con spunti di improvvisazione) e Hiatus et turbulences (che è un brano sinfonico di apertura più breve).

Foto di Richard Dumas

La seconda, invece. Perché hai scelto la suite Anima come titolo dell’ intero disco?
Possiamo tranquillamente dire che è il «pezzo grosso» dell’album; inoltre la maggior parte dei miei album ha come titolo una sola parola: mi piace moltissimo! In più, questo gioco di parole con animale significava qualcosa per me. Quindi, avevo tre buoni motivi!

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato a livello compositivo e pratico-organizzativo?
La cosa più difficile quando scrivi per un gran numero di musicisti del genere (sessantacinque per l’esattezza), è che devi fare i conti con molti parametri senza perdere tempo e fluidità dell’esecuzione. Voglio dire, possono passare giorni e giorni per scrivere un passaggio anche di soli venti secondi! Penso che questo divario temporale tra scrittura ed esecuzione sia la cosa più difficile da affrontare. Ma, sicuramente, è anche eccitante.

In generale, comunque, qual è il tuo rapporto con la musica classica?
Ci sono cresciuto. Ho sostenuto studi classici per imparare il pianoforte, la musica classica si ascoltava a casa. In realtà, preferisco il termine musica europea (che non è sempre classica, ovviamente) perché sono geneticamente fatto con quella cultura. E, quando ero un adolescente, mi sono innamorato anche della musica afroamericana, quindi mi sposto sempre da una cultura all’altra. Amo tutti i tipi di belle musiche, quindi non posso sottrarmi al fascino di tutti i compositori europei che hanno fatto la storia. Nutro uno speciale affetto nei confronti di compositori come Prokofiev, Ravel, Bartok, Dutilleux, in particolare.

Questo progetto è concepito solo per essere eseguito con l’Orchestre Victor Hugo?
Ovviamente no. Certo, è nato per queste tre orchestre, ma poi, vedremo: sono tutti benvenuti!

Pensi che questa esperienza nella musica classica costituisca la tua svolta musicale?
Bene, è un nuovo mattone nella mia carriera. Come artisti e creatori cerchiamo sempre di affrontare nuove sfide. E questa è stata una grande sfida per me!

Quale considereresti l’aspetto più impegnativo della composizione musicale?
La pazienza, senza dubbio! E anche questo alternarsi continuo tra lo studio e la scrittura. Scrivere musica sinfonica è una grande opportunità anche per leggere e studiare spartiti di grandi compositori; l’unico problema è che a volte può essere molto stimolante ovviamente, ma a volte anche molto scoraggiante perché ti senti così piccolo come compositore se apri e leggi spartiti di brani come La sagra della primavera di Stravinskij o Dafni e Cloe di Ravel o Il castello di Barbablù di Bartok. Quindi si impara anche l’umiltà, il che è positivo!

Puoi spiegarci come componi un nuovo lavoro?
Bene, l’inizio di una nuova composizione è sempre super eccitante, perché è principalmente basato sul trinomio: carta/penna/pianoforte.  Provo a lasciarlo andare su idee che provengono da… da qualche parte. Anche la fase finale è fantastica perché finalizzi le cose. Nel mezzo tanto sudore e un sacco di dubbi!

Ti senti più un pianista o un compositore?
Entrambi: sono del segno dei Gemelli!

Foto di Richard Dumas

Tra la tua discografia, quali ritieni che sia l’album che meglio definisce il tuo modo di pensare la musica?
Davvero una bella domanda. Ho registrato quasi venti album come leader o co-leader, quindi non posso scegliere.

Facciamo finta che la tua composizione sia stata accolta male e debba essere rivista. Cosa fai?
Qualsiasi grande composizione, come quella orchestrale, ha bisogno di una revisione. I grandi compositori della storia hanno sempre fatto molte revisioni, indipendentemente da come il pezzo fosse ricevuto. Quindi direi che una revisione è nel processo di composizione stesso.

Tra le tue collaborazioni, qual è quella che più ti ha colpito o influenzato dal punto di vista artistico?
Difficile rispondere, perché sono stato fortunato a suonare con molti grandi artisti. Ma se vuoi un nome, direi che ho un affetto speciale per Tom Harrell.

C’è un artista a cui ti ispiri, che è stato la tua Musa?
Ce ne sono tanti, dovrei nominare almeno venti o trenta artisti. La mia generazione ama mescolare molte fonti di ispirazione. Mi piacciono i compositori europei ma anche afroamericani e anche sudamericani: sono veramente tanti.

Cosa hai imparato dalla situazione determinatasi in conseguenza della diffusione del Covid?
Ebbene direi che ogni crisi è un’opportunità per inventare o almeno cercare nuove possibilità. Certo, i grandi vincitori di questa crisi Covid sono ancora una volta i giganti che hanno i numeri: Google, Apple, Netflix e così via, che fanno paura. Ed è del tutto ingiusto per noi che difendiamo la musica dal vivo e creiamo la fonte delle opportunità dover soffrire in favore di certi colossi. Quindi dobbiamo lottare per far capire alle persone come possiamo rimanere in contatto (artisti/pubblico) senza schermi e smartphone, il processo sarà lungo forse, non lo so.

Foto di Emilie Auje

Chi è il tuo scrittore preferito e quali sono i motivi?
Milan Kundera, per la sua intelligenza ed eleganza nella prosa.

Cosa è scritto nell’agenda di Baptiste Trotignon?
Vivere il presente!
Alceste Ayroldi

Intervista pubblicata sul numero di aprile 2022