Gioie e dolori dell’autogestione: «Groups In Front Of People»

Da Guus Janssen a Evan Parker, passando per Maarten Altena, Günter Christmann, Paul Lovens, Terry Day, Peter Cusack, Paul Termos e Paul Lytton

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A metà anni Settanta una seconda generazione di improvvisatori britannici scese in campo affiancando i pionieri già in azione da una decina d’anni. Si presentò forte di un ricco e singolare armamentario strumentale, che includeva oggetti non certo concepiti per fare musica e manipolati alla bisogna. Inoltre si mostrò subito meglio organizzata grazie ad alcune pubblicazioni periodiche, tra cui spiccava per autorevolezza e solidità la rivista Musics, ma soprattutto dando vita a una serie di etichette indipendenti, strumenti preziosi per garantire un minimo di diffusione alla musica che nel frattempo sorgeva in un contesto quanto mai effervescente. Le grandi case discografiche, in primis EMI, CBS e Decca, che avevano fiutato un possibile business anche nella nicchia delle nuove musiche in qualche modo riconducibili a un genuino jazz inglese e più in generale europeo, avevano smesso di crederci. Al tempo stesso per i musicisti le condizioni (im)poste non erano certo tra le più convenienti. A passare il Rubicone ci avevano pensato per primi Derek Bailey, Evan Parker e Tony Oxley con la loro Incus all’alba del nuovo decennio, alla quale presto fecero seguito nuove imprese discografiche, quasi sempre ideate dagli stessi musicisti, con la lodevole e macroscopica eccezione della Emanen creata dal compianto Martin Davidson (si veda MJ, febbraio 2024) e dell’altrettanto benemerita nato di Jean Rochard (si veda MJ, luglio 2020), che però vide la luce più tardi (nel 1980).

In quegli anni prese vita la Matchless allestita da Eddie Prevost per mettere nero su bianco in special modo le improvvisazioni degli AMM, nacque la Ogun grazie a Harry Miller e sua moglie Hazel per dare una casa agli esuli sudafricani e anche altre realtà minori come la A Records e la Zyzzle Records. In questo mucchio selvaggio, tra le prime a farsi valere fu la Bead approntata dal violinista Phil Wachsmann nel 1974 e tuttora in attività. Nulla dello storico catalogo è però oggi disponibile, seppure alcuni titoli siano stati ristampati negli anni Duemila da altre etichette: «After Being in Holland for Two Years» di Peter Cusack ha rivisto la luce nel 2016 grazie alla nostrana Blume, ma anche questa edizione oggi è fuori catalogo, «Cholagogues» intestato a Nestor Figueras, David Toop e Paul Burwell è stato ristampato sempre in Italia nel 2009 dalla Schoolmap, ma l’etichetta non esiste più e la ristampa ne ha condiviso la sorte, mentre «Fire Without Bricks» dell’Ashbury Stabbins Duo è ricomparso nel catalogo della Corbett vs. Dempsey nel 2020 ed è tuttora reperibile.
In ogni caso, molto delle primizie di quella prima stagione è esaurito da tempo. Tra gli assenti spicca l’esordio di quello che fu di certo il supergruppo di quella seconda generazione: gli Alterations di Steve Beresford, Terry Day e i citati Toop e Cusack.

Formazione formidabile che rigenerò la scena dell’improvvisazione elettroacustica, tra deragliamenti del flusso sonoro verso direzioni impreviste, un gioco arguto anche quando appare serioso, e fa male leggere (sulla pagina gofundme.com/f/musician-needs-a-hand) queste righe vergate lo scorso marzo da Beresford, che oggi davvero se la passa malissimo per essere giunto a tanto: «Salve. Sono Steve Beresford. Suono il pianoforte da quando avevo sette anni, e adesso ne ho 74. Ho fatto anche il docente universitario. Suono per lo più musica improvvisata e fino al Covid me la sono cavata bene. Ma durante la pandemia ho speso tutti i miei risparmi, ho una pensione esigua e nel post-Covid gli ingaggi si sono fatti rari. Ho bisogno di un aiuto economico, soprattutto perché dovrò sottopormi a un intervento chirurgico per un problema che mi porto dietro dalla nascita. Mi farebbe piacere il vostro aiuto». Dopo i casi di Paul Rutherford e Keith Tippett, la solidarietà è d’obbligo.

Chiusa la parentesi umanitaria e tornando alle vicende della Bead nei suoi primi anni di vita, tra i pezzi di valore finiti fuori catalogo fanno storia a sé i due volumi intitolati «Groups in Front of People» pubblicati nel 1979, raccolta che documentava una serie di incontri tra alcuni improvvisatori di spicco delle tre scene più rilevanti all’epoca su quel fronte: l’inglese, l’olandese e la tedesca. Uno strappo alla regola tenuto conto della mission adottata dall’etichetta, votata a promuovere l’attività svolta dai britannici in primo luogo. Sulla carta parevano supergruppi, in realtà ciascuna improvvisazione non vedeva impegnati sempre tutti i musicisti, proponendo diverse soluzioni. Complessivamente, «Groups in Front of People 1» schierava Günter Christmann (trombone), Maarten Altena (contrabbasso e violoncello), Peter Cusack (chitarra), Guus Janssen (pianoforte) e Paul Lovens (percussioni, sega e zither). A sua volta «Groups in Front of People 2» lasciava fuori dai giochi Christmann e Lovens, mandando in campo Evan Parker (tenore e soprano), Terry Day (batteria e percussioni), Paul Termos (clarinetto) e Paul Lytton (percussioni). Diversamente dal primo volume, qui le combinazioni sono presenti in maggior numero. Le forze britanniche in campo si componevano di metà Alterations: Cusack che arrivava dal London Musicians Collective, un’organizzazione dedita a far conoscere e sostenere la sperimentazione in ambito musicale e Day che aveva già militato in storiche formazioni della prima stagione degli improvvisatori inglesi, per via della sua maggiore d’età, essendo nato nel 1940. Il collettivo di cui fu tra le anime principali si chiamava Continuous Music Ensemble, poi ribattezzato People Band (con questo nome pubblicarono un album nel 1970) per evitare confusioni con lo SME di John Stevens e Trevor Watts. Presenziava assieme a loro il duo Parker/Lytton, sodalizio ai tempi attivissimo, con ben tre album all’attivo e un mucchio di registrazioni che in seguito sarebbero uscite anch’esse grazie alla Emanen, e Oxley che come gli altri era un po’ ovunque all’epoca. In rappresentanza del fronte tedesco, Christmann ai tempi si era messo in bella evidenza in special modo nel lavoro di coppia con il connazionale Detlef Schönenberg, batterista ricco d’inventiva.

Maarten Altena

Quanto ai tre olandesi, Altena, socio sin dalle origini dell’Instant Composers Pool, assieme ai soliti noti, i connazionali Han Bennink, Misha Mengelberg e Willem Breuker, si era da poco sganciato dalla storica combriccola e agiva in proprio avendo anch’egli fondato una propria etichetta, la Claxon. Il primo passo era stata però la creazione di un gruppo a sua immagine e somiglianza, il Maarten Altena Quartet di cui faceva parte proprio Termos, il secondo membro olandese dei Groups. In seguito Termos avrebbe lavorato in altre formazioni di Altena, oltre che produrre propri lavori e suonare assieme al terzo convitato, Janssen, pianista coltissimo e di ampi orizzonti, in seguito partner a più riprese di Altena e dell’ICP Orchestra dove finirà per sostituire Mengelberg quando la demenza senile ne avrebbe fermato l’attività, oltre a intraprendere una carriera parallela come compositore, scrivendo per il Kronos Quartet e lo Schönberg Ensemble tra gli altri.

Detto in breve dei partecipanti alla festa, va anche premesso che nei due album ciascun brano adottò come titolo quello della località sede della performance, quasi tutte in Olanda eccezion fatta per una registrazione effettuata a Leuven (Lovanio) in Belgio. Infine, come tratto comune e generale, i due volumi risultano a tratti datati, segnati da uno spirito radicale che per essere apprezzato appieno necessita di essere calato nella temperie dell’epoca. Altri passaggi al contrario mantengono freschezza e smalto, mantenendosi in equilibrio tra valore storico e bontà della musica.

«Groups in Front of People 1» si apre con Alkmaar II, registrazione del 7 febbraio 1979, la data più recente dell’intero mazzo. Riprende il quintetto alle prese con una sorta di improvvisazione in due parti, la prima affidata al pianismo sbilenco di Janssen che ben esprime lo spirito olandese più incline al gioco con materiali popolari e d’antan, assecondato dallo spirito iconoclastico di Cusack con il suo strumento di corde di nylon, mentre la seconda assai più astratta vede prevalere i borborigmi di Christmann, la fitta e minimale trama percussiva di Lovens e l’ispido lavoro d’archetto di Altena costruendo una serie di sketch metasonori. In Bimhuis, registrato nel famoso locale di Amsterdam il 22 novembre 1978, il trombonista tedesco è assente ma il quartetto si aggira nei medesimi paesaggi sonori astratti, ancora più rarefatti, rianimati con fare nervoso da brevi interventi solistici. Alkmaar III (stessa data, sempre in quintetto) è in buona sostanza un assolo patafisico di Cusack sostenuto ritmicamente da un magistrale Lovens; ridotto all’osso l’intervento di Janssen, impercettibile Christmann mentre Altena sulle prime sfrega le corde a più non posso e poi tace. In Leuven I (concerto dell’8 marzo 1978) si riascolta il quartetto, nell’occasione oscillante tra eruzioni contenute e pause, dapprima con Cusack a capitanare astruse peregrinazioni sonore e a seguire Janssen che dipana una trama sottilissima e sognante. Atmosfera rarefatta e oscura nel frammento intitolato Alkmaar I (sempre dal medesimo concerto) con l’intero quintetto all’opera, mentre, assente Christmann, è nuovamente Janssen a smuovere le acque in Leuven III, abile gioco di intrecci nell’introduzione solitaria in seguito disturbata da una gragnuola di percussioni e corde avvelenate che prendono a lungo il sopravvento ingiungendo al pianista olandese di adeguarsi al regime frammentario e aleatorio che anima e guida i suoi tre partner. Il trio pianoless si ascolta (dallo stesso concerto) in Leuven II, con la coppia di strumenti a corda a cullarsi reciprocamente, avvolti da un suono percussivo soffuso.

Gioie e dolori dell'autogestione
Evan Parker

Più eterogenee le soluzioni proposte in «Groups Iin Front of People 2» dal duo a quartetti differenti e quintetto. Si apre con un’improvvisazione tratta da un concerto tenuto al cineteatro ‘t Hoogt di Utrecht il 29 gennaio del 1978. Sul palco Parker, Cusack, Janssen, Altena e Day. Il soprano sibilante di Parker indica la via da seguire, squittendo e sibilando, dirompendo presto in un’eruzione sonora inarrestabile. Fanno del loro meglio i suoi partner, specie un pirotecnico Day, per stare al passo fino a fargli riprendere fiato. Janssen prende a sua volta in mano il pallino del gioco per prodursi in una mirabile transizione verso il tutti assieme della conclusione che via via si riduce a un’esile trama. In realtà l’improvvisazione chiaramente proseguiva, ma viene tranciata di netto per evidenti motivi di spazio. Il successivo Delft I, registrato al De Waag di Delft il 30 giugno 1978, riprende un infuocato dialogo tra Termos e Lytton. Lancinante il clarinetto dell’olandese, quasi in affanno nel pareggiare i conti con l’incandescente prova percussiva del suo compagno, che tralaltro, curiosamente, in queste registrazioni non suona mai con Parker, suo sodale ai tempi come si è accennato.

Il sassofonista britannico ritorna in scena nel seguente De Kroeg (nome di un locale di Amsterdam), registrato il 31 gennaio del 1978. Parker lo si ascolta al tenore, ruggente e nerboruto nella prima parte dell’improvvisazione dello stesso quintetto in azione a Delft, lasciando a seguire spazio a uno stralunato duetto tra il pianoforte sbilenco di Janssen e le peripezie di Cusack con la sua chitarra al nylon, approdando infine a un’ispida conclusione corale. È di scena invece un quartetto (Janssen/Altena/Cusack/Day) nel successivo Rotterdam, registrato al Sunship Jazz Bunker il 4 marzo del 1978, che si apre con una squisita divagazione pianistica e un senso più spiccatamente musicale degli altri, specie di Cusack, concedendosi un interludio astratto per poi riprendere sempre grazie a Janssen il filo più musicale del discorso. Il gioco si ripete una volta ancora ma a guidare le operazioni nel secondo giro c’è Cusack e la bussola volge verso l’assurdo. È facile intuire dalle battute e le reazioni del pubblico che la performance fosse accompagnata da una messa in scena sul palco che si può solo immaginare. L’album si chiude tornando a Delft. La data di registrazione è la stessa ma sul palco ora sono in quattro, sommando Janssen e Cusack al duo Termos/Lytton ascoltato prima. Il titolo è ovviamente Delft II e si apre con avvisaglie, approcci e messe a punto fra i quattro, che a turno sono in primo piano. Si procede verso un fragoroso dibattito che non lascia prevalere nessuno, un temporale sonoro dal quale Janssen emerge più nervoso che altrove e parimenti si riaffaccia sulla scena Termos furente e aspro. Le acque si chetano, tutto sembra ripiegare su sé stesso, nonostante che le fiamme del clarinetto siano ancora vive. Magnifico il tappeto percussivo costruito da Lytton e affascinante il delirio sulle corde di Cusack, qualcosa che potremmo chiamare assolo se non appartenesse a un altro ordine di senso. Questa è la registrazione più lunga dei due volumi, occupando con i suoi ventitré minuti tutta la seconda facciata dell’album. Nella parte conclusiva si torna nuovamente a disegnare quelle tele astratte già ascoltate in precedenza, schegge di suoni anche frammiste a suoni d’ambiente, e diventa difficile identificare le superfici percosse da Lytton ed eventuali messe in scena nel corso della performance da parte degli altri. Siamo in Olanda, due su quattro sono musicisti olandesi e la tradizione cabarettistica fioriva tra quegli improvvisatori. Fatto sta che tutto termina con un avvio di applausi troncati nuovamente di netto.

Vizi, virtù e naïveté delle autoproduzioni.

Nel complesso, a distanza di tempo, si può attribuire il meglio del primo volume al gran lavoro svolto da Janssen, mentre il secondo appare più equilibrato nel ripartire i meriti. Ugualmente protagonista sui due album è però l’obliquo Cusack, non a caso anche estensore di accurate note di copertina. Due istantanee di una stagione che qui è messa bene a fuoco. Le salvi chi può.

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