Dal jazz una didattica per tutte le musiche.

di Claudio Angeleri

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Da alcuni anni l’introduzione del paradigma audiotattile e della didattica per competenze nell’insegnamento ha rivoluzionato l’apprendimento musicale che, con il supporto di diverse discipline scientifiche e umanistiche, ha acquistato un carattere inclusivo per tutti i generi musicali e i bisogni degli studenti.  La nuova didattica traduce così nella pratica educativa la nota definizione del jazz di Bill Evans: “Jazz is not a what, it’s a how”.

Si è sviluppata nella letteratura musicologica più recente una tendenza ad utilizzare l’estetica di Luigi Pareyson (1) per interpretare i meccanismi dell’apprendimento musicale e in particolare quelli legati all’improvvisazione.  Il filosofo considera infatti l’opera d’arte, e tutto l’operato umano, come il risultato di un processo: “Quel fare che inventa il modo di fare mentre si sta facendo”.
A ciò si collega, in campo più specificamente musicale, “Il principio audiotattile come formatività” di Vincenzo Caporaletti (2) che, interpretando concetti propri della mediologia e semiotica, delinea i meccanismi sottesi all’apprendimento musicale con interessanti implicazioni didattiche. La sua formulazione, elaborata già negli anni Settanta, ha trovato ulteriore sostegno e conferma nella fenomenologia, nelle successive ricerche delle neuroscienze e negli orientamenti pedagogici della didattica per competenze (3).

La sua teoria prende spunto, in chiave musicale, dalle intuizioni di Marshall McLuhan e della Scuola di Toronto (4), affermando che il medium attraverso cui una persona si accosta alla musica, non è neutrale e forma la sua cognitività.  Una cognitività che sappiamo non risiedere solo nella mente ma anche nel corpo in un insieme di relazioni con il contesto. Identifica quindi nella partitura musicale di tradizione accademica europea, e nella teoria che la sorregge (5). l medium di una sensorialità visiva, mentre attribuisce al corpo, mediato dal mezzo di riproduzione fonografica, quello audiotattile facendo riferimento al jazz, pop, rock e world music e alle pratiche ad esse connesse, tra cui l’improvvisazione. Gli esiti formativi sono diversi tra loro e se le pratiche educative proprie della musica classica sono funzionali all’esecuzione di un repertorio composto da altri, risultano, al contrario, inidonee a quelle in cui il musicista autografa la musica che realizza in tempo reale. Nel primo caso, infatti, il musicista mette in atto abilità e conoscenze, nella seconda opera prevalentemente per competenze (6).

È convinzione comune, soprattutto in ambito scolastico, ritenere che tutte le musiche siano sensoriali allo stesso modo: classica, jazz, pop, musiche native. Talvolta si sostituisce il termine sensoriale con audiotattile intendendolo come sinonimo.  L’errore, purtroppo molto frequente, si manifesta nella mancata associazione del processo audiotattile al corretto testo di riferimento che, nel jazz e nelle musiche audiotattili, è rappresentato dallo strumento di fissazione fonografica, in tutte le declinazioni analogiche e digitali, mentre nella musica classica di tradizione europea si fonda sulla partitura visiva, sia praticamente, sia concettualmente.
Ciò non significa che un jazzista non usi lo spartito. Tutt’altro. Lo usa in modo completo e consapevole perché sorretto da una sensorialità differente in grado di comprendere tutte le componenti musicali in modo autonomo e personale. Opera infatti per competenze e con strumenti metacognitivi (7) differenti.

Facendo riferimento specifico al jazz, il processo formativo audiotattile contribuisce alla creazione di una pulsazione sia implicita, sia esplicita, detta continuous pulse (8), che è sempre attiva risuonando nel jazzista e consentendogli di veleggiare “sul” tempo in modo creativo e dialettico, con caratteristiche ora pulsive ora depulsive. Si tratta di una attitudine specifica del jazz e delle musiche audiotattili che si esplicita sia nella capacità di autografare il tema musicale nelle componenti melodiche armoniche e ritmiche (denominata estemporizzazione (9) sia nell’improvvisazione.
La pulsazione continua è il denominatore comune che consente il dialogo – interplay – di un ensemble jazzistico e contribuisce a generare alcune delle caratteristiche genetiche di queste musiche, quali lo swing, il groove, il drive. Sempre la pulsazione continua consente di attivare una gestione “automatica” del tempo anche in situazioni poliritmiche complesse o nell’utilizzo di metri inusuali, conosciuti come odd times.
Il musicista che, al contrario, si è formato attraverso la partitura visiva fonda i suoi riferimenti relativi al metro e al ritmo, su ciò che vede sullo spartito. Attiva, cioè, una sensorialità prevalentemente visiva che porta a dividere la pulsazione in micro-porzioni (battute, sia regolari sia irregolari) riferendosi ai concetti della teoria musicale, quali il battere, levare, sincope, anticipo, ritardi. Quindi il musicista vede la pulsazione prima ancora di sentirla sensorialmente. La pulsazione intesa quindi in termini visivi è esterna al soggetto, risiede tra le stanghette del pentagramma, e si appoggia sul battito, sempre esterno, del metronomo.
Da ciò derivano alcune delle più frequenti difficoltà incontrate dai musicisti “visivi” quando si avvicinano al jazz e all’improvvisazione.
Tuttavia anche la didattica jazz evidenzia alcuni incidenti di percorso replicando il modello visivo nel jazz, soprattutto nelle prime fasi di apprendimento strumentale.
Ciò avviene, ad esempio, quando uno studente che proviene dal percorso classico si avvicina al repertorio jazzistico per la prima volta attraverso la partitura del Real Book.  Ciò innesca immediatamente i meccanismi descritti in precedenza, indirizzando lo studente verso una dimensione che, nonostante i buoni propositi, tende a sviarlo dal DNA del jazz.  Questo approccio, infatti, lo allontana della pulsazione continua implicita, che stenta a diventare esplicita nell’esecuzione strumentale. Le difficoltà non si limitano solo agli aspetti ritmici e metrici ma anche a quelli melodici e armonici in quanto lo studente opera ancora per conoscenze e abilità e non introduce le competenze necessarie al jazz, alle musiche audiotattili e all’improvvisazione.
Gli esiti sono differenti modificando strategie, metodi e tempi di apprendimento. Il successo tuttavia non è immediato, ma graduale e progressivo e, come in tutte le attività per competenze, concorre a sviluppare l’autonomia necessaria per affrontare ogni situazione inedita con consapevolezza e creatività. Risulta quindi fondamentale il ruolo dell’insegnante che deve essere in grado di variare le strategie proponendo attività motivanti mirate a valorizzare le qualità e diversità di ogni soggetto (10).   Ciò differenzia una lezione dall’altra ed implica un impegno maggiore nelle fasi di programmazione, oltre ad una cura scrupolosa del setting strumentale e tecnologico dell’aula didattica idoneo all’ascolto e al collegamento web.  Anche lo spazio didattico, infatti, oltre a consentire il corretto svolgimento della lezione, rappresenta un medium non neutrale nell’attivazione dei processi audiotattili.  Questa impostazione privilegia soprattutto attività in cui lo studente opera per imitazione audiotattile eseguendo il brano prescelto attraverso la replica della versione testuale originaria, cioè, quella del disco. In questa fase non è ancora consigliato trascrivere immediatamente la melodia sul pentagramma, ma fare affidamento, al contrario, sulla memoria che rappresenta uno dei prerequisiti dell’estemporizzazione in prima istanza e dell’improvvisazione successivamente.  La melodia così si colloca spontaneamente sulla pulsazione continua che, con il supporto del disco, tende a divenire immediatamente esplicita nell’esecuzione strumentale.
È importante non concentrarsi solo sulla linea melodica ma anche su quella del basso per poter individuare le prime funzioni armoniche. Anche l’armonia, infatti, si apprende sensorialmente individuando le diverse tensioni/risoluzioni degli accordi e la loro collocazione nella forma della composizione. In queste attività lo studente acquisisce, sempre per imitazione audiotattile, la pronuncia e l’articolazione della frase contribuendo a formare lo swing e il groove, con il supporto della sezione ritmica con cui il solista del disco interagisce. In altre parole, lo studente si cala immediatamente in un laboratorio “virtuale” che non si sarebbe mai potuto attivare attraverso lo spartito.

Solo al termine di questa attività lo studente confronta ciò che ha appreso in modo imitativo con la partitura proposta dal docente.  Questo passaggio consente allo studente di acquisire o migliorare l’abilità di lettura   in modo induttivo che, insieme alle conoscenze teoriche introdotte dall’insegnante, si trasforma in una competenza. La lettura diventa così una pratica enattiva dell’embodied cognition (11) (di cui il paradigma audiotattile è uno specifico approfondimento) realizzando una costante rete di relazioni mente-corpo-contesto. È importante precisare che nel jazz il “contesto” è rappresentato dal disco nella fase di apprendimento, mentre in quella performativa si colloca nell’interazione (interplay) con il gruppo musicale con cui si sta suonando. Anche il pubblico riveste un ruolo importante nelle relazioni attive della performance.
Una delle finalità che si prefigge questa metodologia è quella di creare le migliori condizioni per sviluppare un bilinguismo visivo/audiotattile che consenta al musicista di scegliere il “linguaggio” più idoneo al contesto in cui opera.  Ciò avviene sia quando affronta un repertorio classico, sia quando deve eseguire le parti scritte di una partitura jazz (componente visiva) oppure improvvisa (componente audiotattile).  Esistono diversi esempi noti di musicisti jazz e classici che possiedono competenze bilinguistiche: Bill Evans, Keith Jarrett, Friedrich Gulda, Gianluigi Trovesi, Enrico Pieranunzi, solo per citarne alcuni.
In conclusione, è evidente la finalità inclusiva del paradigma audiotattile che tende a superare, le contrapposizioni tra generi, il conflitto tra oralità e scrittura e, in chiave pedagogica, gli ostacoli che incontrano gli studenti con disturbi specifici di apprendimento e disabilità nell’apprendimento musicale. Tale paradigma sposta infatti il focus dell’apprendimento dall’oggetto (la musica) al soggetto (come l’individuo apprende) realizzando quell’how evocato da Bill Evans in una sua nota intervista: “Jazz is not a what, it’s a how (12)”.

Note Bibliografiche

  1. Luigi Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Bompiani, Milano 1988 (1954).
  2. Vincenzo Caporaletti, I processi improvvisativi nella musica. Un approccio globale, LIM, Lucca 2005.
  3. Donald A. Schön, Il professionista riflessivo. Per una epistemologia della pratica professionale. Dedalo, Bari 1993.
  4. Donald A. Schön Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni. Franco Angeli, Milano 2006
  5. Michele Pellerey, L’agire educativo. La pratica pedagogica tra modernità e postmodernità. Las, Roma 1998.
  6. Marshall McLuhan, Gutenberg Galaxy: The Making of the Typographic Man, University of Toronto Press, Toronto 1962; Id., Understanding Media: The Extensions of Man, McGraw-Hill, New York 1964; Marshall McLuhan e Eric McLuhan, The Laws of Media: The New Science, University of Toronto Press, Toronto 1988; Derrick De Kerckhove, Technology, Mind and Business, Bosch & Keuning, Utrecht 1991.
  7. Carlo Delfrati, Processo al solfeggio, Antonio Tombolini editore, Loreto 2018
  8. Michele Pellerey, Francesco Orio (2001). QPCC – Il questionario di percezione delle proprie competenze e convinzioni. Edizioni Lavoro. Roma 2001
  9. Ottavia AlbanesePierre-André DoudinCaterina FiorilliSylvie FrechetteLouise LafortuneNoelle Sorin. La comprensione: aspetti cognitivi, metacognitivi ed emotivi. Franco Angeli. Milano 2011
  10. Vincenzo Caporaletti, Swing e Groove. Sui fondamenti estetici delle musiche audiotattili, LIM, Lucca, 2014.
  11. Vincenzo Caporaletti, Teoria delle Musiche Audiotattili. Una introduzione, LIM. Lucca, 2022
  12. Deborah J. Stipek La motivazione nell’apprendimento scolastico. Fondamenti teorici e orientamenti operativi. trad. it., SEI, Torino 1996
  13. Shaun GallagherDan Zahavi, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023
  14. La citazione è tratta dal film del 2015 diretto da Bruce Spiegel, Bill Evans: Time remembered

Claudio Angeleri, pianista e compositore jazz ha all’attivo 23 dischi a proprio nome, si è specializzato da oltre trent’anni nella ricerca pedagogica e didattica del jazz, perfezionandosi in Italia e all’estero in ambito musicale, scientifico e umanistico. Si laurea in Architettura sugli spazi dello spettacolo, si diploma in pianoforte jazz alla University of West London, frequenta diversi corsi di formazione di didattica per competenze, pedagogia e psicologia dell’apprendimento, musicoterapia. È presidente del Centro Didattico produzione Musica e dell’Associazione nazionale delle scuole jazz e musiche audiotattili. Ha pubblicato due libri sulla tecnica pianistica jazz e diversi articoli e saggi per libri e riviste specializzate.

Claudio Angeleri