Tra i batteristi più popolari degli anni Settanta, Carl Palmer è ancora molto attivo sulla scena musicale dopo l’esperienza con Emerson, Lake & Palmer
Prima di unirti a Keith Emerson e Greg Lake, sei stato il batterista degli Atomic Rooster, che avevi formato con Vincent Crane. Cosa ti spinse ad accettare la proposta di Emerson e Lake?
All’inizio dissi che non ero interessato a suonare con Keith e Greg proprio perché avevo il mio gruppo, con cui stava andando tutto benissimo. Poi, dopo un po’ di tempo, circa sei mesi, loro sono tornati alla carica per chiedermi nuovamente di fare qualcosa assieme e ho deciso di accettare, ma ci è voluto del tempo perché gli Atomic Rooster stavano riscuotendo parecchio successo. In quel periodo eravamo impegnati in studio e, quando ho lasciato il gruppo, loro erano al top delle classifiche con il brano registrato con me: anzi, a dirla tutta l’avevano ri-registrato con un altro batterista. Così pensai di aver fatto un errore a lasciare gli Atomic Rooster. Col senno di poi non si rivelò certo un errore ma la cosa giusta da fare. Comunque, prima di passare a suonare con Greg e Keith, ce n’è voluto.
Come avete vissuto la competizione con le altre band di progressive rock attive all’inizio degli anni Settanta?
L’intuizione fondamentale di Emerson, Lake & Palmer è stata quella di applicare brani e forme della musica classica al rock, riadattando brani di varia provenienza e usando le tastiere anziché le chitarre. Certo, all’epoca c’erano band di enorme popolarità come i Pink Floyd, ma il loro stile era molto diverso dal nostro, di sicuro più psichedelico rispetto alla direzione che avevamo preso noi. Quindi non abbiamo mai pensato di avere veri e propri sfidanti perché eravamo l’unico trio a proporre quel tipo di musica e soprattutto a un livello così alto.
Il passaggio negli ELP cambiò in qualche modo il tuo stile strumentale?
Devi sempre suonare nel modo che ti sembra più efficace e, come dicevo, sono sempre molto felice di lavorare in trio. Quello che ho adesso si chiama Carl Palmer’s ELP Legacy e ho già suonato parecchie volte in Italia. Così come gli Atomic Rooster erano un trio, e anche i Crazy World. Quindi, suonare con Greg e Keith non fu una grande sfida bensì la stessa cui ero già abituato.
Qual è l’eredità che ha lasciato Emerson, Lake & Palmer?
Penso che l’eredità sia legata alla musica; cioè, la musica vive ancora anche se ELP non esistono più come band. L’ascolto della loro musica, le vendite, i downloads, lo streaming, sono incredibilmente alti perché la musica era calibrata con estrema precisione, ben prodotta, ben suonata, tanto da fornire un imprinting al movimento prog-rock. Il patrimonio musicale di ELP è ben presente tanto in Europa quanto in America.
Ma oggigiorno ci sono band dalle caratteristiche simili?
Probabilmente sì, anche se forse non esiste un altro gruppo in attività che suoni prog-rock con le tastiere come facevano ELP. L’unica band con le stesse caratteristiche è la mia, la Palmer’s ELP Legacy, che utilizza la chitarra in sostituzione delle tastiere. Non vedo molti gruppi giovani emergenti sulle orme di ELP.
Parliamo di Fanfare For The Common Man di Aaron Copland. Prima della rilettura di ELP non era un brano particolarmente famoso.
Penso che sia un risultato importante far diventare qualcosa il numero uno. Che Fanfare For The Common Man fosse praticamente sconosciuta al grande pubblico non era un buon segno. Quindi, sotto certi aspetti, è stato difficile perché noi già conoscevamo la musica di Aaron Copland e ci piaceva suonarla, a prescindere dal fatto che potesse o no avere successo. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un brano strumentale come quello potesse entrare nelle classifiche? Noi sapevamo solo che era la musica giusta per ciò che avevamo in mente, giusta per le tastiere di Keith. La risposta del pubblico fu fantastica ma non era prevedibile. Penso che l’introduzione del brano di Copland, affidata alla tromba, abbia particolarmente attratto chi la ascoltava per la prima volta, così come era capitato a noi tanto da spingerci a incidere la composizione. Così è andata, ed è stato un successo.
Forse si può dire che il vostro trio ha cambiato certe direzioni del rock, così come è accaduto nel jazz con il trio di Bill Evans. Qual è la tua opinione in proposito?
Se sostieni che ci potrebbe essere un legame tra la musica di ELP e il jazz, allora anch’io posso dirti che c’è un legame tra la nostra musica e il folk, tra la nostra musica e la musica classica, il rock e altri generi musicali. Noi univamo diversi stili di musica perché eravamo attratti da diverse musiche di tutte le epoche. E forse è stato questo a renderci così popolari. Poi è ovvio che la gente ormai associ ELP al progressive rock, ma bisogna fare un passo indietro e pensare che pezzi come You Turn Me On, Lucky Man, I Believe In Father Christmas, C’est la vie erano tutti brani folk molto semplici e non certo riconducibili al prog-rock. In sostanza eravamo eclettici, termine che in inglese identifica chi cerca di fare «qualcosa di diverso». Quindi il prog-rock non era il manifesto di ciò che suonavamo noi, perché la definizione di progressive implica la tecnologia, gli ultimi strumenti immessi sul mercato, le ultime tastiere. Noi, invece, eravamo soltanto delle rock stars: eravamo eclettici, come dicevo, ed è questo che ci ha resi popolari.
Parliamo della superband Asia. Qual era l’obiettivo di questo gruppo?
Lo scopo di questa band, quando abbiamo iniziato (ovvero negli anni Ottanta), era di tornare ad avere passaggi radiofonici. Tra il 1977 e il 1979, negli Stati Uniti, le stazioni radio stavano riducendo la durata dei passaggi dei gruppi, e se eri un’artista prog-rock non venivi trasmesso perché i tuoi brani erano troppo lunghi. Le emittenti vivevano un periodo di crisi economica e avevano bisogno di più inserzionisti pubblicitari. Di conseguenza scartavano i brani superiori ai sette minuti. Così, negli anni Ottanta, la musica di ELP era scomparsa dalle stazioni radio, mentre c’erano ancora i Led Zeppelin e i Pink Floyd, ma solo con i brani meno lunghi. Allora decidemmo di formare gli Asia con lo scopo di comporre brani progressive più compatti e di passare in radio. E ancora una volta riuscimmo a rompere gli schemi e a sopravvivere. Scrivemmo anche diversi pezzi pop, come Only Time Will Tell e Heat Of The Moment, che venivano trasmessi con facilità. Insomma, gli Asia sono stati un gruppo legato al cambiamento dei tempi.
Asia, Yes, ma anche i King Crimson e altri grandi gruppi del passato sono tornati in scena e hanno fatto il tutto esaurito ovunque. Secondo te, i motivi di tali brillanti risultati sono legati al fatto che la musica di oggi non è capace di dare le stesse emozioni?
Non saprei. I King Crimson possono aver successo a Roma, in Germania, in Olanda, ma rischiano come tutti di fare cilecca da qualche altra parte. Non si può mai dire: in ogni parte del mondo la situazione è diversa. Impossibile prevedere come andrà un concerto. A volte, quando un gruppo non suona per parecchio tempo, le persone vogliono vederlo e, allora, le cose vanno bene. Poi, magari, se un gruppo suona troppo spesso, nessuno va più a vederlo perché si convince di poterlo ritrovare dalle sue parti a distanza di qualche mese o di un anno. Quindi non so proprio dirti se le emozioni della musica di oggi siano davvero diverse.
Vuoi parlarci del tuo gruppo attuale?
Ho fondato la band nel 2001. Nel 2019 uscirà un nuovo album, dal vivo negli USA. Suoniamo molti adattamenti classici e ho registrato molti brani di ELP, tutti però rivisitati con chitarra e Chapman stick, uno strumento che produce contemporaneamente i suoni degli strumenti a corda e delle tastiere. Tutto questo materiale l’ho arrangiato io. Abbiamo già tenuto oltre cento concerti. Scelgo brani degli ELP, ma anche The Barbarian, il pezzo scritto da Keith Emerson ispirandosi all’Allegro barbaro di Béla Bartók, la versione completa di Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij, i Carmina Burana di Carl Orff, Fanfare For The Common Man di Copland eccetera. L’adattamento di brani della musica classica «storica» e di quella più contemporanei è concepito per mettere la chitarra a suo agio, tanto da conferire al suono una maggiore durezza. Durante i concerti proiettiamo anche molti spezzoni di film su uno schermo piazzato alle spalle del palco. Mi piace l’idea di inserire anche un aspetto cinematografico.
Sei anche un maestro di arti marziali. Questo aspetto ha influenzato il tuo modo di suonare?
Non pratico arti marziali da circa vent’anni perché ho subito un’operazione a entrambe le mani che mi causa qualche difficoltà. Ma ora i miei problemi sono risolti. Poi sono un po’ troppo vecchio per poterle praticare ogni giorno e ormai non ne ho bisogno. Ho alle spalle diciassette anni di attività sportiva e d’insegnamento: ho conseguito un diploma per poter insegnare arti marziali, però non provo più interesse.
Hai in programma di registrare qualcosa di nuovo con la tua band?
Come dicevo, ho in cantiere il live che uscirà quest’anno sempre per BMG, e ci sarà anche un dvd che ho registrato assieme all’ex Genesis Steve Hackett alle chitarre dedicandolo a Keith Emerson.
Qualcuno ha detto che la tua musica sta andando verso lo heavy metal. Tu che ne pensi?
In effetti il mio gruppo è più metal-prog-rock ed è proprio ciò che avevo in mente di fare. ELP aveva un impatto molto forte, molto rock, adesso invece abbiamo chitarre e un basso a sei corde e suonando questa musica il risultato che viene fuori è più metal, un punto di vista più contemporaneo e completamente diverso. Oggi cerco di portare la mia musica a una nuova generazione. Per esempio, mi piace molto vedere ai miei concerti padri, nonni, mamme, nonne (dai sessant’anni in su) con i loro figli e nipoti adolescenti o anche oltre. In pratica, vedo tre generazioni che sono lì e che amano la stessa musica. E i più giovani, tornando a casa, potranno ascoltare la musica di ELP e capire da dove siamo partiti.
Cosa ne pensi delle nuove pubblicazioni degli album di Emerson, Lake & Palmer?
Mi piace molto il cofanetto. Lo aspettavamo da tempo ed è venuto veramente bene. Secondo me, il vinile live è superbo, così come il booklet. Penso che sia il box set migliore che abbiamo mai avuto. Mi dispiace immensamente che Keith e Greg non possano goderselo.
A questo punto è doveroso un ricordo dei tuoi compagni Keith Emerson e Greg Lake.
Anche se non suonavamo più insieme dal 2010 mi mancano entrambi. Ma ho ancora la loro musica e tengo viva la loro memoria suonandola, anche se in modo diverso e più fresco. E sono certo che siano soddisfatti di ciò che sto facendo, lo avrebbero voluto anche loro. Del resto, la mia passione è sempre stata quella di suonare, e oggi continuo a farlo con la mia band.
Alceste Ayroldi
[da Musica Jazz di ottobre 2019]