“È strano essere qui, Umbria Jazz è un’istituzione, ma ci siamo”. Il Conad Stage ai Giardini Carducci ribolle non solo per il caldo torrido del pomeriggio di luglio, ma anche per l’ultima giornata di esibizioni dei dieci finalisti del Conad Jazz Contest 2023, il concorso riservato ai musicisti di età compresa tra i 18 e i 28 anni selezionati da una giuria tecnica. Nel tardo pomeriggio si annuncia il nome dei vincitori, sono i Kaleidoscope Quartet, formazione cosmopolita con Lorenzo Vitolo, pianoforte, 25 anni, Genius Lee Wesley, batteria, 20 anni, Joshua Schofield alto sax, 28 anni, Josef Zeimetz, contrabbasso, 25 anni. Seduti tra le panchine dei giardini ad ascoltare i concerti, in attesa del risultato, ci sono quasi tutti i ragazzi che hanno partecipato al contest, molti sono qui per la prima volta, protagonisti di un festival che compie cinquant’anni, più del doppio della loro età.
A ben guardare, da qui si ha una visione prospettica di questa musica, e di quello che accade ogni anno a Umbria Jazz: futuro, tradizione, contaminazioni convivono in pochi metri quadri, innestati nella storia antica di questa città che osserva passare, serafica, l’ennesimo crocevia di stili, influenze, suoni, visioni. “Non abbiamo una direzione certa, suoniamo assieme e poi vediamo dove questo ci porta. Abbiamo tutti e tre stili che tendono a destrutturare ed è molto difficile che ci venga fuori qualcosa di hardbop, andiamo in altre direzioni” dice Giulio Cuppari, chitarrista dei milanesi Psoas mentre sul palco sta suonando un eccellente quintetto di loro coetanei di stretta osservanza hard bop. “Le nostre radici vengono da lì, siamo molto legati all’aspetto del suono, del timbro, molto meno al suo linguaggio più didascalico” afferma il sassofonista della band Alessio dal Checco. “Io ho scritto un solo pezzo che si chiama Il Dinosauro e stavo pensando a Mingus” aggiunge, definitivo, il batterista Giosuè Consiglio.
Dinosauri o giganti, in fondo sono solo sfumature. L’ispirazione, per tutti, arriva dalla lezione dei maestri del passato “ieri sera ha suonato Brad Mehldau e ci ha insegnato lui come si fa” dice Riccardo Savioli 27 anni, sassofonista dei Camaleoni, arrivati al Conad Jazz Contest grazie al voto del pubblico, con più di 7000 preferenze. “Per noi è importante coinvolgere le persone. La nostra idea non è quella di fare jazz tradizionale, cerchiamo di fare una ricerca sul groove, noi vogliamo vedere la gente ballare”. E li rivedremo, tutti, la sera all’Arena Santa Giuliana, a ballare sotto il palco durante il concerto degli Snarky Puppy, riferimento condiviso da tutti i jazzisti nati nel nuovo millennio, a imparare dai loro giovani maestri “come si fa”. Ma prima c’è stato dell’altro.
A metà pomeriggio il Teatro Morlacchi ha ospitato “Play Petrucciani”, il progetto dell’eccezionale pianista spagnolo Chano Domínguez, condiviso con Flavio Boltro, trombettista dell’ultimo sestetto di Petrucciani, di cui ha fatto parte per sei anni fino alla scomparsa del geniale artista. In scaletta di composizioni originali di Petrucciani, tra cui la toccante P’tit Louis, eseguita in duo da Dominguez con Stefano di Battista al sax soprano, ospite speciale della serata, accanto ad alcuni standard amati dal pianista scomparso tra cui I Mean You o In a Sentimental Mood, eseguita in duo da Dominguez con Boltro. Cuore pulsante del progetto è il piano trio formato, oltre che da Dominguez, dallo strabiliante contrabbassista spagnolo Martín Leito e dal batterista cubano Michael Olivera, i tre mettono in scena un dialogo serrato e affiatatissimo. Il linguaggio di Dominguez è complesso e articolato quando serve, ma al momento opportuno si sottrae e lascia volentieri il testimone ai suoi compagni. Anche la formazione è modulare, nel corso della serata ci sono episodi in duo, pianoforte e tromba o pianoforte e sax, trio, quartetto con sax o tromba. Solo nel finale il quintetto si presenta al completo (Di Battista alterna sax soprano e sax alto), ma anche qui si lavora per sottrazione con sorprese continue, nel blues finale Martín Leito mette a segno, in completa solitudine, una serie di chorus memorabili. La chiusura con un bis estemporaneo, Besame Mucho, lanciata da Di Battista, si trasforma in un karaoke collettivo con il pubblico.
Le sorprese non sono finite. Se l’attesa all’Arena Santa Giuliana era tutta per gli Snarky Puppy, l’apertura della serata è stata affidata alla coppia folk formata dalla cantante, polistrumentista e attrice statunitense Rhiannon Giddens, fresca di Premio Pulitzer, vinto quest’anno, assieme a Michael Abels, per l’opera teatrale Omar, e Francesco Turrisi, eclettico pianista e percussionista italiano esperto di jazz, musica antica e musica tradizionale del mediterraneo. I loro due album “There Is No Other” del 2019 e “They’re Calling Me Home” del 2021, a cui è stato assegnato, nel 2022, il Grammy Award come miglior disco folk, sono stati ampiamente celebrati dalla critica internazionale e, a Umbria Jazz, sono stati protagonisti di un concerto di rara intensità. Giddens e Turrisi vivono a Dublino, la loro ricerca abbraccia le musiche, le canzoni, le parole dei loro paesi d’origine, America, Italia, ma anche musiche di altri mondi e culture, dall’Irlanda al Brasile. Il denominatore comune dei due è la ricerca delle radici, quelle più autentiche e più profonde della musica, in particolare la missione di Giddens è quella di ridare la giusta voce soprattutto alle origini della musica americana e restituirne la giusta prospettiva storica. E c’è un’attenzione speciale, nella ricerca e nel repertorio proposto, alla voce delle donne, musiciste e compositrici mai celebrate, o protagoniste, loro malgrado, di storie di repressione, schiavitù, o anche di riscatto. La voce e l’intensità interpretativa della Giddens è magistrale, convince e commuove in più registri e stili. Canta il blues e il gospel di Sister Rosetta Tharpe ma anche il bolero Dos Gardenias, scritto dalla compositrice Isolina Carmillo, il folk di Lucilla Galeazzi, e suona, banjo e violino. Turrisi è il suo perfetto partner artistico, alterna pianoforte, fisarmonica, banjo, tamburi, e diversi linguaggi, dal jazz al folk, alla musica brasiliana. In chiusura, un’intensa interpretazione di Vedrai vedrai di Luigi Tenco conquista l’ovazione del pubblico.
Cambio di scena e cambio di pubblico, è il momento degli Snarky Puppy e il popolo di giovani che gravita attorno al festival si affretta a conquistare un posto sotto al palco. Tra le prime file ci sono i Camaleoni con un appello scritto su un pezzo di cartone: “Snarky Puppy, our biggest dream is to open your concerts”. E chissà se ce la faranno. Nel frattempo, Michael League e soci dettano le loro leggi a suon di groove, ma anche di musica complessa e allo stesso temo accessibile, ben suonata, ben composta, capace di coinvolgere mente e corpo. League si rivolge al pubblico in italiano, “So bene come funziona qui… Tutti seduti fino al bis dove poi vi alzate e ballate. E allora, dài, cominciamo subito tutti qui”. La gerarchia è chiara, la sezione ritmica domina la scena, con il poderoso Larnell Lewis alla batteria e Marcelo Woloski alle percussioni, al centro della scena League al basso elettrico e basso synth e Mark Lettieri alla chitarra, e poi, a sinistra e a destra del palcoscenico, la sezione fiati con due sax tenori e due trombe, e la sezione tastiere e synth. Il groove jazz funk è la base su cui si intrecciano articolate linee melodiche in sovrapposizione contrappuntistica e creano architetture complesse, in un continuo gioco di tensione e rilascio. Il collettivo attinge a piene mani dall’ultimo album “Empire Central” del 2022, in Portal invitano sul palcoscenico la pianista Francesca Tandoi, “una conoscenza virtuale che poi è diventata reale” dice League. In chiusura suonano una composizione scritta in omaggio a Bernard Wright, il noto tastierista (nonché figlioccio di Roberta Flack) scomparso lo scorso anno in seguito a un incidente stradale “ascoltate la sua musica, noi veniamo da lì” afferma League, e chiudono il concerto con un acclamato bis.
Rosarita Crisafi