A colloquio con la cantautrice di San Paolo Tulipa Ruiz, tra gli artisti più interessanti oggi emersi dalla ricca scena musicale brasiliana.
Era da tempo che si attendeva la tournée italiana di Tulipa Ruiz e finalmente, grazie allo sforzo di Ponderosa Music & Art e A Buzz Supreme, lo scorso mese la cantante brasiliana – accompagnata dal fratello e produttore Gustavo Ruiz – si è esibita in quattro importanti date a Milano, Bologna, Firenze e Roma. L’occasione per la mini-tournée italiana è stata la recente pubblicazione del disco «TU», uscito a dicembre in Brasile.
Rispetto ai precedenti lavori, «TU», si presenta minimalista sul piano musicale ma non per questo povero di contenuti. L’idea del disco, nata dopo una serie di concerti voz e violão (come dicono i brasiliani), era quella di riproporre brani già noti sotto una nuova chiave di lettura ma il progetto iniziale si è modificato in corso d’opera includendo numerosi inediti.
Tra i brani già noti vanno citati Pedrinho, già inclusa nella setlist del disco «Efêmera, Desinibida» che l’artista aveva composto con il portoghese Tomás Cunha Ferreira e che era finita nel disco «Tudo Tanto, Dois Café e Algo Maior». Del tutto inedite, invece, sono le tracce Pólen, Game e Tu. Interessante, inoltre, è il brano, cantato in spagnolo, Terrorista del amor, frutto di un lavoro collettivo realizzato con Ava Rocha, Paola Alfamor, Gustavo Ruiz e Saulo Duarte. A chiudere il disco la bellissima Pedra che, questa volta, non porta la firma di Tulipa ma di suo padre, Luiz Chagas.
«TU» è stato registrato a New York con il percussionista Stéphane San Juan (già con Vanessa da Mata, Amadou e Mariam, Jane Birkin) che ha anche prodotto i brani insieme a Gustavo Ruiz. Insieme a loro collaborazioni con artisti come Mauro Refosco (Forrò in The Dark, David Byrne, Red Hot Chili Peppers, Atoms For Peace) e Adan Jodorowsky, musicista, regista e attore, figlio del grande Alejandro. Quello che immediatamente colpisce in questo lavoro, insomma, è la pluralità che interessa non solo la sfera affettiva ma anche quella compositiva. «“TU”», come dice Tulipa, «sono io e sei tu. “TU” siamo noi. “TU” è anche due, come la pronuncia in inglese di «two», io e Gustavo, mio fratello e partner musicale. “TU” è un’offerta, un dono». Per capirlo, basta premere il tasto play per essere proiettati in un universo intimista e familiare in cui l’ascoltatore si sente partecipe, accolto, privilegiato.
Hai definito «Efêmera», il tuo primo lavoro, un disco di polaroid, mentre «Tudo Tanto» un disco di radiografie. Come definiresti il nuovo «TU»?
Un disco di nudi in cui le musiche si mostrano per intero.
Quando è nata l’idea di registrare questo progetto?
L’idea di registrare in questo format, chitarra e voce, este da sempre. Dopotutto abbiamo sempre lavorato cosi. Nei primi concerti in Europa eravamo soltanto io e Gustavo. A ogni modo la registrazione del disco è stata incentivata da Stéphane San Juan, un musicista franco-carioca che non solo ha co-prodotto il disco ma vi ha anche partecipato come musicista.
Il disco è molto minimalista dal punto di vista musicale pur essendo denso di contenuti. È stata una scelta intenzionale?
I brani sono molto ben ricamati. Come ti dicevo, sono dei nudi e questo significa che sono apprezzabili nella loro totalità. La densità di contenuti non è stata una scelta consapevole, bensì la rivelazione di qualcosa che già esisteva e che non era stato ancora esplorato.
Credi che il minimalismo di «TU» rappresenti un ritorno all’inizio della tua carriera, un ritorno alle origini?
Credo che si tratti di un falso minimalismo. Non è un ritorno alle origini ma un ritorno a un certo format, a un certo modo di comporre. La musica minimalista che suonavamo all’inizio della nostra carriera ci ha spinto a registrare «Dancê», mentre la complessità di «Dancê» ci ha proiettati verso «TU». È un flusso continuo.
Un disco di musica brasiliana registrato a New York. A cosa si deve questa scelta?
Avremmo potuto registrarlo a Istanbul! Ma cercavamo le sonorità di New York, oltre al fatto che Stéphane vive lì.
Ritieni che New York abbia in qualche modo arricchito il disco?
Sicuramente hai notato che non c’era alcuna intenzione di creare un «progetto New York». Quello che volevamo era una qualità sonora eccellente. Il formato chitarra e voce lo impone. Poi cercavamo nuove sonorità, e per ottenerle bisogna cercarle altrove. E allora perché non a New York?
Stéphane San Juan, Mauro Refosco e Adan Jodorowsky. Qual è stato il contributo di questi musicisti?
Stéphane è stato il primo a suggerirei di registrare negli Stati Uniti in un nuovo studio di registrazione, O Duro of Brooklyn del canadese Scott Hard, che ha lavorato con artisti come Cypress Hill, Medeski Martin & Wood e con i brasiliani di Nação Zumbi. Hard é amico di Stephane e di Refosco, brasiliano di nascita ma newyorkese di formazione che, nel corso della carriera, ha suonato con i Forro in The Dark, i Red Hot Chili Peppers, la nuova band di David Byrne e gli Atoms for Peace, il nuovo progetto di Thom Yorke. Per quel che riguarda Adan, l’ho conosciuto in Messico durante un evento di cinema e letteratura organizzato per rendere omaggio al padre, il leggendario Alejandro Jodorowsky. Il modo in cui Refosco e Adan si sono dedicati al progetto è stato commovente. Il primo era passato dallo studio soltanto per salutare Stephane e, alla fine, si è ritrovato a registrare con noi. Il secondo era impegnato in altri progetti ma ha interrotto ogni cosa per dedicarsi al mio lavoro.
Attualmente sei accompagnata da tuo fratello Gustavo e in passato hai lavorato molto con tuo padre Luiz Chagas. Com’è lavorare in famiglia?
È curioso che in casa non abbiamo mai suonato assieme. Le cose sono cambiate col tempo. Nostro padre era l’orizzonte cui guardavamo. Non viveva con noi perché era sempre in tournée, eppure riusciva a inondarci di musica. Questo ha permesso a me e a Gustavo di trovare una dimensione comune. Abbiamo bevuto alla stessa fonte nonostante, più tardi, abbiamo seguito cammini diversi. Il primo a dedicarsi alla musica è stato mio fratello. Io, invece, ho iniziato a trent’anni e sono stata molto felice quando Gustavo e mio padre si sono uniti a me. Il primo come musicista e produttore, il secondo come chitarrista. In «TU» mio padre suona la seconda chitarra in un brano.
Dopo Víbora, il brano Terrorista del Amor è la tua seconda esperienza in fatto di composizione collettiva. Com’è andata?
Ogni volta che si compone con altri è un’esperienza di composizione collettiva. Víbora è stata scritta in due diversi momenti. Il primo con la mia band e il secondo con Criolo. In Terrorista del Amor, le cose sono iniziate da una collaborazione con mio fratello e Ava Rocha. In un secondo momento si sono aggiunti Saulo Duarte e Paola Alfamor. Il risultato è un brano con cinque autori.
L’idea iniziale era quella di divulgare «Tu» solo attraverso i canali digitali. Ma in un secondo momento avete deciso di utilizzare il supporto fisico. Perchè?
È stato necessario. Non sono poche le persone che chiedono ancora il disco fisico. Non c’e stato altro verso che produrlo.
Pedra è una canzone che tuo padre ha scritto l’anno in cui sei nata. Come hai scoperto il brano e perché l’hai scelto per chiudere il disco?
È un brano che mio padre ha sempre suonato ma che si è perso nel marasma musicale in cui vivevamo. Ho sempre creduto che anche il testo fosse suo, ma in realtà lui aveva musicato una poesia dell’amico Dirceu Rodrigues. L’anno scorso mio padre ha inserito il brano nella scaletta di un suo concerto e io e Gustavo abbiamo pensato di inserirlo in «TU». Credo che stia bene lì, a chiudere tutto.
Recentemente hai registrato Cura di Te, la versione italiana del brano Prumo. Possiamo attenderci un disco interamente in italiano?
Sarebbe fantastico. Ma io sono sempre molto attenta al fatto di cantare in una lingua che non è la tua. Credo che sarebbe meglio un duetto, non credi?
Mentre il Brasile affronta un momento storico oscuro, la musica brasiliana sembra vivere un periodo estremamente florido. Cosa ne pensi?
Il periodo oscuro è stato preceduto da una fase florida. E ora stanno arrivando i frutti. È nelle avversità che nasce la forza, la resilienza.
Se ieri eri considerata un’artista emergente, oggi sei un’artista affermata. Qual è il consiglio che daresti adesso ai giovani emergenti?
Lavorare su ciò che si considera importante, valido. Non esiste la fortuna, esiste l’aver sempre lavorato per qualcosa in cui crediamo. Dobbiamo essere noi a creare le condizioni per farci notare.
Pietro Scaramuzzo