ParmaJazz Frontiere: intervista a Roberto Bonati

Venerdì 26 ottobre avrà inizio la XXIII edizione di ParmaJazz Frontiere. Ne parliamo con il direttore artistico Roberto Bonati.

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Come è nata l’idea di ParmaFrontiere?
Era il 1995. Mi chiamarono per fare la direzione artistica di quattro concerti a palazzo San Vitale e io lanciai all’allora assessore alla cultura Allegri l’idea di partire con la creazione di un Festival. Mi rispose, ovviamente, che non c’erano i soldi. Osai e strappai un consenso a patto che io avessi trovato i soldi altrove. Fu così che mi rivolsi alla fondazione Monte di Parma e, grazie alla lungimiranza dell’allora presidente l’avvocato Walter Gaibazzi, ricevemmo un contributo per partire. Erano gli anni in cui veniva chiesto alle fondazioni di non investire più in progetti a pioggia ma solo in realtà che avessero prospettive nel futuro. E così fu: la fondazione di fatto finanziò integralmente il Festival. E direi che era un progetto che ha dimostrato di avere avuto resistenza nel tempo. Questa la cronistoria, per quanto riguarda i contenuti l’idea fondante è sempre stata quella di andare verso le zone di «frontiera» dove ci sono gli incontri, dove le culture si mescolano, dove nascono idee per il futuro. Creare un laboratorio creativo, non una vetrina, non un museo.

Quali sono le novità dell’edizione 2018?
La novità che mi viene in mente è che nell’European Academy Ensemble (l’ensemble formato da studenti provenienti da Stavanger, Oslo, Goteborg e Parma): ci sono, per la prima volta, sette musiciste e quattro musicisti. Un caso davvero speciale e che fa ben sperare per un futuro in cui finalmente anche nel jazz la presenza femminile sarà importante. Per il resto teniamo la barra dritta sulla produzione e sulla formazione e abbiamo alcune ospitalità internazionali importanti. Ci sono anche alcuni ritorni, come una nuova mostra fotografica ma non sono novità nel senso stretto del termine.

C’è qualche concerto in particolare che vorresti segnalare?
Ma no! Sono tutti figli… come potrei privilegiare un progetto rispetto ad un altro!!!

ParmaFrontiere giunge alla XXIII edizione. Vorresti fare un bilancio di quanto fin qui è stato fatto?
In ventitré anni di vita abbiamo visto passare i suoni di tanti musicisti differenti gli uni dagli altri. Una cosa veramente importante credo l’abbiamo fatta, anche nei momenti più difficili, economicamente più brutti: non rinunciare ai tre pilastri che sono la cifra stilistica di questo nostro appuntamento. In primis quello dell’ospitalità, che è anche confronto dialogo ampliamento delle conoscenze, con le nuove proposte del jazz internazionale. Un secondo aspetto, che cerchiamo di non trascurare mai, è quello della produzione: non avrebbe senso scoprire nuove musiche sé questo non diventasse uno strumento per dar vita a nuova musica. Infine, ma è strettamente collegato con gli altri due elementi, ci sembra importante investire sui giovani e quindi sulla formazione: guardare al jazz di casa e internazionale, scrivere nuove pagine di musica, ha senso solo se si pensa che questo possa avere un domani.

Rispetto al passato, quali sono oggi le maggiori difficoltà che incontri nell’allestire il festival?
Senz’altro, ma penso di avere con me un vero e proprio stuolo di colleghi, quelle economiche. La cultura è sempre meno considerata dalle istituzioni un valore, un investimento per le nuove generazioni e per la società corrente. Ma anche le pastoie burocratiche che portano via sempre più tempo distogliendo energie dalla progettazione di musica e di idee.

Roberto Bonati

Tu sei anche uno stimato didatta e un eccellente musicista. L’impegno del festival sottrae tempo alle tue primarie attività?
Fortunatamente ho delle collaboratrici/collaboratori molto in gamba e negli anni sto imparando a delegare. Il mio essere musicista è per me la priorità, una responsabilità nei confronti di me stesso.  Ovviamente la burocrazia e il coordinamento sottraggono tempo. Il resto, incontrare artisti vedere i giovani crescere musicalmente, ovviamente è solo una grande ricchezza. Ma tutta la burocrazia è spesso un fardello devastante. Spero che questo festival trovi anche altri giovani musicisti che abbiano il desiderio e colgano il valore, la bellezza e la responsabilità artistica e civile di lavorare alla realizzazione di una iniziativa culturale di questa portata e vogliano partecipare al lavoro e spendersi per il futuro del festival.

Uno sguardo al futuro di ParmaFrontiere: qual è lo scenario che tu vedi e quale quello che vorresti si realizzasse?
Vorrei che il festival fosse sempre più incentrato sulla produzione, siamo già a buon punto ma voglio che la produzione diventi l’obiettivo principale. Nonostante Lo scenario spesso disarmante e dominato dalla paura e dalla tristezza, da un generale appiattimento e dall’abbandono di una spinta ideale, continuo a nutrire speranza e fiducia nella musica e a rilanciare progetti e energie. Un altro desiderio è in realtà una necessità: abbiamo bisogno di maggiori risorse economiche anche in vista di una sempre più frequente partecipazione a progetti internazionali e all’esigenza di avere più persone a gestire l’organizzazione di ParmaFrontiere.

Una parentesi professionale-personale: a cosa stai lavorando in questo periodo?
Sto lavorando ad uno Stabat Mater: ho avuto importanti occasioni per riflettere e per farmi toccare nel profondo dal pensiero della maternità sofferente. E vorrei dar voce a questo mistero favoloso e sempiterno con il linguaggio che, ovviamente, mi è proprio: quello della musica.
Alceste Ayroldi