Intervista a Dee Dee Bridgewater

In occasione del suo prossimo tour in Italia, che partirà il 10 luglio, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la regina indiscussa del jazz.

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Dal 10 al 18 luglio Dee Dee Bridgewater sarà in Italia per una serie di concerti. Gli appuntamenti sono il 10 alla Casa del Jazz di Roma; l’11 al Lo Quater di Alghero; il 13 al Parco della Musica di Padova; il 14 a Campli nella chiesa di San Pietro in Campovalano; il 15 al Magnolia di Milano e il 18 al Parco delle Rose di Grado.

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Signora Bridgewater, in luglio sarà in Italia per un nuovo tour. Sembra proprio che ci sia uno speciale legame tra lei e il nostro paese.
Ma naturalmente! Conosco e lavoro in Italia fin dagli anni Ottanta. Ho molti fan, molti amici e, quando sono in tour in Europa, è il paese che aspetto di più. Per molti anni ho vissuto in Francia e sono stata in Italia con maggiore frequenza. Sono stata anche con Ray Charles, a Sanremo con Marco Masini; poi, tante volte in Tv. Mi trovo sempre benissimo in Italia: è la mia seconda casa.

Ci vorrebbe parlare dei musicisti che l’accompagneranno?
In realtà non li conosco personalmente, ma ho ascoltato i loro lavori e ci siamo sentiti per altre vie. Mi sono stati consigliati dal mio agente italiano Enrico Iubatti. Posso dire che sono felicissima di suonare con loro, perché sono molto bravi e ci siamo già intesi a meraviglia. E’ un gran bel gruppo con Claudio Filippini al pianoforte, Mirco Rubegni alla tromba, Michele Polga ai sassofoni, Rosa Brunello al contrabbasso ed Evita Polidoro alla batteria. Sono felice del fatto che sia un quintetto democratico e anche egualitario, visto che ci sono anche due musiciste all’interno del quintetto, oltre me. Sono molto emozionata di poter suonare con questo gruppo e non vedo l’ora di farlo.

Ha già pensato al repertorio che eseguirà?
Certamente. Ne ho parlato con Claudio Filippini e abbiamo discusso sulle mie idee e convenuto, quindi, di eseguire una selezione dei lavori di Chick Corea, Stanley Clarke, Wayne Shorter, Thelonious Monk ed Herbie Hancock. Con Claudio, poi, abbiamo anche parlato di eseguire ‘Round Midnight, che io non ho mai cantato in vita mia! A parte questo brano, abbiamo pensato di non eseguire standard jazz, ma di fare qualcosa di differente, magari attingendo dal mio progetto discografico «Memphis», più rhythm and blues, soul.

Tra le tante città che ha già visitato, ce ne è una che la intriga più delle altre?
Penso di conoscere bene l’Italia ma, purtroppo, sempre di sfuggita. Ho visto tantissime belle città, dei posti incantevoli. Forse, ma non ricordo bene, è la mia prima volta a Campli e a Grado. Alcune volte mi capita di dire: Che bello, non sono mai stata in questo posto! Poi, però, vengo smentita…

Invece, quale vorrebbe visitare?
Se dovessi trascorrere un periodo di vacanza, quasi certamente sceglierei la costiera Amalfitana: lì ci sono tantissime piccole cittadine che vorrei visitare e conoscere meglio. Ma sono certa che, se riflettessi meglio, ce ne sarebbero anche delle altre città.

Finalmente, nonostante le restrizioni dovute ai protocolli anti COVID 19, si riparte con i concerti. Qual è stata la sua esperienza con il periodo della pandemia?
E’ stato strano stare a casa, perché era la prima volta che non dovevo lavorare: non prendere aerei, auto, stare in alberghi diversi. Non avevo considerato, prima di questo momento, che il mio corpo fosse molto stanco e, quindi, all’inizio ho dormito molto. Ho prestato attenzione alla mia casa, cosa che prima non avevo tempo di fare, fin da quando mi ero trasferita a New Orleans. E’ stata la prima volta che non dovevo spostarmi. Durante la pandemia sono diventata una buona osservatrice e la mia attenzione si è focalizzata sul movimento Black Lives Matter. Ho visto come l’organizzazione si muoveva, quali erano i punti focali che il movimento sostiene e li ho potuti analizzare e apprezzare. Ho acquisito la consapevolezza delle nuove rivendicazioni dei diritti del popolo afroamericano. Avevo già combattuto per tali diritti durante gli anni Sessanta, prendendo parte al movimento Black Panther Party e lavorando per l’integrazione dei bambini afroamericani nelle scuole. Pertanto, mi sono resa conto in modo approfondito di quali siano gli obiettivi del movimento Black Lives Matter, consultando Internet, vedendo video, leggendo articoli di giornali. Alla fine, però, mi sono resa conta di aver molti meno soldi, perché non lavorando ho solo speso…Certo, ho sempre lavorato in passato e spero di farlo in futuro, così come nel presente. Ma di soldi ne ho spesi tanti: non tutti sanno che fino al 2017 ho dovuto aiutare mia madre che era affetta dalla demenza e le cure sono state molto costose. Ecco, per dieci anni i proventi del mio lavoro è stato devoluto a questa causa. Sono contenta di avere la proprietà della casa qui a New Orleans, anche per tutelare al meglio i miei figli. La pandemia mi ha dato modo di riflettere, di avere una diversa percezione del mondo. Sai, mi sembra strano ora tornare alla regolarità della vita quotidiana.

Certo, anche se tutto è ancora complicato.
Infatti, per esempio non avrei potuto fare questo tour con musicisti americani, perché non posso assumermi la responsabilità della loro salute, né del fatto che se uno di loro fosse stata infetto o sospetto, sarebbe stato sottoposto alla quarantena con il rischio di far saltare il tour. C’è da dire che la situazione generata dalla pandemia, mi ha lasciato un senso di ansia.

C’è il timore che il pubblico sia spaventato da tutte queste complicazioni?
Non credo, ma potrebbe essere che sia stanco o si sia impigrito durante questa lunga astensione dalla partecipazione agli spettacoli dal vivo. Ma speriamo che non sia così, anzi! L’importante è essere consapevoli del fatto che non bisogna abbassare la guardia. Purtroppo negli Stati Uniti, meglio: negli stati legati a Donald Trump regnava il negazionismo, quindi nessuna mascherina, nessun distanziamento sociale, nessun tipo di precauzione. La comunità dei musicisti era spaventata da tale comportamento irresponsabile, perché il rischio di contagio era elevatissimo. Ora, riprendere i concerti per me è una situazione strana. Ho cantato ad Aspen in Colorado e i miei musicisti avevano rifiutato di vaccinarsi, perché sono afroamericani ed erano impauriti dalle conseguenze e volevano verificare prima cosa succedesse. Il mio punto di vista è che se non sei vaccinato non puoi lavorare. La situazione, ancora oggi negli Stati Uniti, non è molto chiara. Per poter venire in Italia, nonostante la vaccinazione, dovrò fare una serie di test- tamponi rapidi. E’ tutto molto più complicato. Molta gente preferisce non viaggiare. Personalmente, confido molto nella mia compagnia aerea, la Delta airlines.

Lei è un’incona del jazz. Ha vinto diversi Grammy Award, oltre a numerosi riconoscimenti anche in ambito teatrale, compreso un Tony Award. C’è qualcosa che vorrebbe ancora fare?
Forse di fare più televisione e un film. Tuttavia, non l’ho cercato molto, perché ogni volta che mi è stato offerto un ruolo non ero disponibile perché ero in tour. Se si presentasse l’opportunità, mi piacerebbe.

A suo avviso, quando è cambiato il jazz dalle origini a oggi? E, soprattutto, è cambiato in meglio o peggio?
Nessun cambiamento. Il jazz è una musica nata per essere in continua evoluzione. E’ il contrario della musica classica che, nonostante arrangiamenti, direzioni orchestrali differenti, non può essere mutata più di tanto. Il termine jazz è quello che è stato dato a questa musica dagli oppressori e non dai veri artefici. Il movimento della Black American Music non è nato di recente: bisogna andare indietro con la storia per trovare la sua vera essenza. Nicholas Payton è attento a questa situazione. Tutto ciò che viene fatto dal popolo afroamericano ha un’etichetta. Tu sei italiano qualsiasi cosa fai. Noi siamo stati colored, negro, black, ora siamo africano-americani. Cosa interessa cosa siamo? Non possiamo essere etichettati come il colore di un vestito! Il mio obiettivo è quello di fare musica, di portare emozioni al pubblico e che questo possa essere ispirato dalla mia musica. Il mio obiettivo è essere me stessa come artista, come persona e di fare le cose nel miglior modo possibile. Il jazz è una musica globale, non ha una sola identità geografica di appartenenza.

Qual è il brano che le piace di più eseguire dal vivo?
Non ne ho uno in particolare. Scelgo tutto il materiale che mi piace e che voglio eseguire. In generale i miei compositori preferiti sono Chick Corea, con il quale ho iniziato la mia carriera artistica, Stanley Clarke, Airto Moreira, Flora Purim. Con loro sono cresciuta da quando avevo vent’anni ed eravamo a New York. Con Stanley ho realizzato il mio primo disco. Chick è stato molto importante per me, così come Wayne Shorter.

Cosa è scritto nell’agenda di Dee Dee Bridgewater?
Il mio principale obiettivo è rimanere ancora in vita! Sto lavorando a un progetto discografico live inerente i miei concerti al Blue Note di New York. Poi, alcuni altri entusiasmanti progetti che partiranno a settembre, dopo che avrò terminato le residenze in alcuni jazz festival, come al Detroit jazz festival dove sarò accompagnata da una big band. Poi, dal 2019 sono la mentore di un progetto di assistenza alla donne del jazz per offrire consulenza nel mondo del business della musica e potersi costruire una carriera personale, perché nelle scuole di musica sono aspetti che non si curano.
Alceste Ayroldi