Parla Monica Mancini

Botta e risposta con la figlia, nonché cantante in proprio, del grande compositore. L’intervista completa sarà pubblicata sul numero di giugno di Musica Jazz.

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Sicuramente essere la figlia di un grande compositore come Henry Mancini è stato un privilegio. Ha avuto un’influenza positiva o negativa sulla sua carriera artistica?

Fortunatamente per me, non mi sono dedicata alla composizione di colonne sonore, quindi non si può paragonare il mio talento al suo. Ho avuto il privilegio che certe porte mi si aprissero grazie a lui, ma una volta varcate dovevo essere brava, altrimenti non sarei andata molto lontano nella mia carriera.

Nonostante i suoi mille impegni di musicista, che padre è stato con lei e i suoi fratelli?

Ho una sorella gemella e un fratello. Quando papà non era in giro a dirigere orchestre sinfoniche amava trascorrere il tempo in famiglia, nuotando con noi in piscina o andando a cena fuori. Era un uomo molto legato alla famiglia. Mio padre aveva un meraviglioso senso dell’umorismo e dell’umanità.

E com’è stato crescere essendo la figlia di Henry Mancini? Lui l’ha incoraggiata a fare della musica la sua futura carriera?

Mio padre non ci ha mai fatto pressioni: semplicemente tutti noi amavamo la musica e sapevamo che ne saremmo stati coinvolti in un modo o nell’altro. Mia madre, tra l’altro, era una cantante, quindi ho seguito il suo percorso musicale.

© Rich Fury/Getty Images

Posso solo immaginare quante volte le abbiano chiesto quale canzone, quale composizione le sia più cara tra quelle composte da suo padre. Ha avuto l’opportunità, in qualche modo, di assistere alla fase compositiva di suo padre? Se sì, come è avvenuto?

Quando eravamo piccoli, papà scriveva a casa in un piccolo studio nel garage. Sono sicura che allora stava componendo molti dei suoi primi successi, ma noi eravamo troppo occupati a fare i bambini per prestare attenzione. Passava ore a scrivere e poi tornava a casa per cena, per stare in famiglia. Quando siamo diventati più grandi, lui scriveva ancora a casa e ci faceva ascoltare le canzoni per vedere la nostra reazione.

C’è una canzone scritta da suo padre, in particolare, che l’ha seguita nella sua vita?

Essendo forse la sua canzone più famosa, Moon River è quella che suscita sempre le maggiori reazioni da parte della gente. Da quando la canto nei miei concerti, le persone vengono sempre da me e mi dicono che questa canzone ha significato molto per le loro vite, che si sono sposate con questa canzone, che l’hanno cantata a un neonato o che si sono innamorate con questa canzone. Quindi è sempre vicina al mio cuore.

Per rendere omaggio al centenario della nascita di suo padre c’è qualcosa che bolle in pentola?

Io e mio marito, il produttore Gregg Field,  stiamo lavorando da oltre un anno a un disco con una selezione di canzoni registrate da una lista di famosi artisti. Il singolo Peter Gunn è stato pubblicato il 16 aprile, giorno del compleanno di papà, mentre Pink Panther alla fine di maggio. L’intero disco uscirà il 21 giugno, in concomitanza con il concerto per i 100 anni di Henry Mancini all’Hollywood Bowl in California, la casa dei concerti estivi di papà. La mia famiglia ha promesso a mia madre, poco prima che morisse circa tre anni fa, che avremmo onorato l’eredità di papà nel miglior modo possibile. È la famiglia Mancini che ha messo in moto tutto quanto. Stiamo producendo concerti in tutto il mondo, l’album di prossima uscita, un documentario e uno speciale televisivo. 

Moon River è stata oggetto di numerose interpretazioni e di tanti arrangiamenti. Qual è la versione che l’ha colpita di più?

La versione più semplice è quella cantata da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. È quella che esprime meglio il significato del brano e che utilizza proprio gli accordi scritti da papà, niente di sofisticato.

Vuoi leggere l’intervista completa? La trovi su Musica Jazz di giugno.
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