Michel Portal e Théo Ceccaldi a Fabbrica Europa

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Michel Portal, foto di Monia Pavoni

Firenze, Saloncino del Teatro della Pergola, 9 maggio

Michel Portal (1935) e Théo Ceccaldi (1986) rappresentano due generazioni – anagraficamente distanti, ma culturalmente vicine – della florida scena francese, la prima corrente del jazz europeo ad essersi affrancata già negli anni Trenta dalla riproduzione pedissequa di stilemi afroamericani grazie al fondamentale contributo del Quintette du Hot Club de France animato da Django Reinhardt e Stéphane Grappelli. Svoltosi nell’ambito della sezione musicale di Fabbrica Europa e ospitato nel ridotto del più antico teatro fiorentino, il concerto di Portal e Ceccaldi ha confermato che il jazz europeo è ormai depositario di un linguaggio autonomo, soprattutto in virtù dell’eclettismo stilistico dell’anziano polistrumentista, nell’occasione impegnato ai clarinetti basso e in Si bemolle, nonché all’amato bandoneón (un modello appartenuto nientemeno che ad Astor Piazzolla).

Michel Portal, foto di Monia Pavoni

Forte anche delle sue memorabili esperienze in ambito classico-contemporaneo con Pierre Boulez, Luciano Berio e Karlheinz Stockhausen, Portal ha intessuto con il collega – violinista dalla tecnica sopraffina – un fitto dialogo arricchito da un ampio ventaglio di sfumature timbriche e da una meticolosa quanto vasta gamma di dinamiche, ma al tempo stesso contraddistinto da un sano senso ludico. D’altronde, anche in francese – come del resto in inglese e in tedesco – si usa lo stesso verbo (jouer) per esprimere i concetti di «giocare» e «suonare». Nella poetica performativa e nell’approccio compositivo di Portal confluiscono quindi il vocabolario e la sintassi del jazz ampiamente metabolizzati, l’amore per Piazzolla e il nuevo tango, l’interesse per la chanson française maturato anche nella passata collaborazione con Barbara, sentori di musica celtica e di altre tradizioni etniche.

Michel Portal al bandoneon, foto di Monia Pavoni

Al clarinetto basso Portal costruisce incisive figure ritmiche, densi ed efficaci bordoni, sinuose ed aspre curve melodiche, mentre su quello in Si bemolle dà libero sfogo a un’inventiva che – seppur lontana dagli ardori sperimentali di un tempo – lascia spazio a un’immaginazione sbrigliata, ma sempre e comunque con lucidità e rigore di pensiero, con un fraseggio fluido ed articolato secondo una logica impeccabile, sostenuto da un suono di cristallina purezza. Quando poi imbraccia il bandoneón Portal sa esprimere, mettendoli sullo stesso piano, sia il debito verso Piazzolla che la consapevolezza di un’intera tradizione francese che abbraccia sia il valse musette che l’opera dei grandi specialisti di accordéon (un nome per tutti: Marcel Azzola).

Théo Ceccaldi, foto di Monia Pavoni

Ceccaldi è provvisto di una solidissima tecnica di estrazione classica, grazie alla quale ha sviluppato un attacco potente e un suono nitido, pulito anche nei passaggi più vertiginosi. Sul versante jazzistico stilisticamente si colloca sulla scia dei connazionali Jean-Luc Ponty e Didier Lockwood, dai quali ha senz’altro ereditato il fuoco espressivo. Tuttavia, sembra aver desunto alcuni elementi anche da specialisti completamente diversi tra loro quali il polacco Zbigniew Seifert (che sapeva fondere il linguaggio di Coltrane con il patrimonio esteuropeo) e l’americano Mark Feldman, capace di spaziare dall’improvvisazione aleatoria al klezmer. Con Portal Ceccaldi interagisce con fitti arpeggi in pizzicato e serrate progressioni con l’arco, scatenando solo a tratti l’estro di virtuoso, che il collega e maestro riesce sempre a disciplinare con sguardi di intesa e cenni discreti. Ma soprattutto con quel sorriso che comunica ad un tempo saggezza e autentico piacere di fare musica.

Enzo Boddi