La frenetica scena musicale brasiliana pullula di giovani musicisti di grande interesse. Luedji Luna ne è la prova.
Lo stato di Bahia, nel nordest brasiliano, da sempre rappresenta il principale centro gravitazionale per la cultura del Brasile. Qui hanno mosso i primi passi artisti come Dorival Caymmi, il gruppo baiano dei tropicalisti, ovvero Caetano Veloso, Gilberto Gil, Capinam, Tom Zé e Gal Costa e, ancora, Maria Bethânia e Jorge Amado. Ancora oggi questa misteriosa forma di ereditare uno spiccato senso artistico si rinnova nella fiorente schiera di giovani musicisti che si affaccia prepotente nell’attuale panorama musicale brasiliano. Tra questi si fa notare Luedji Luna che, questo mese, ha pubblicato il suo primo disco dal titolo «Um Corpo no Mundo». Il lavoro, prodotto da YB Music, è un raffinato percorso in una dimensione dicotomica rappresentata da tradizione e modernità. Se da un lato, infatti, i brani di Luedji Luna esplorano i classici elementi delle religioni sincretiche afro-brasiliane che si riconoscono nei ritmi, nei riti e nelle divinità citate, dall’altro l’ascoltatore si immerso nel caos urbano di San Paolo, città adottiva dell’artista baiana. In questo contesto prolifico e impietoso Luedji Luna ha saputo condensare in appena undici brani il frastuono emotivo provocato dallo scontro con la metropoli. Il risultato è un manifesto trasversale in cui temi come il senso di appartenenza, il femminismo, il riconoscimento e la rivalorizzazione della cultura nera sono punti fondamentali. Tanto più se si si considera la disastrosa situazione politica e sociale in cui versa il Brasile. Ecco, in questo senso, il disco di Luedji Luna è un pugno chiuso sopra le nostre teste, un grido di giustizia: un atto politico, un gesto di coraggio.
Quando hai mosso i primi passi nel mondo della musica?
Ho deciso che avrei fatto della musica il mio lavoro a venticinque anni. All’epoca, con i soldi che guadagnavo grazie ad uno stage di lavoro, mi sono pagata l’iscrizione alla scuola di canto popolare della professoressa Ana Paula Albuquerque, lì in Bahia.
La tua vita si divide tra Salvador e San Paolo. In che maniera queste due città così diverse stimolano la tua creatività e influenzano la tua musica?
Effettivamente all’inizio della mia carriera mi muovevo spesso tra San Paolo e Salvador ma oggi risiedo in pianta stabile a San Paolo. A ogni modo, credo che questi due universi mi influenzino in modo diverso. Bahia ha dato un senso ai miei sogni e al mio posto in questo mondo. San Paolo, invece, rappresenta la principale ispirazione per «Um Corpo no Mundo».
Quali sono le tue principali influenze musicali?
Sono stata molto influenzata da quello che ascoltavano i miei genitori. In casa i dischi erano quelli di Milton Nascimento, Djavan, Luiz Melodia e del reggae degli anni Settanta e Ottanta, come Gregory Isaac, Bob Marley e Peter Tosh.
Il tuo disco d’esordio si chiama «Um Corpo no Mundo». Cosa ha ispirato questo titolo?
Il disco parla del mio incontro con San Paolo che, nella mia personale esperienza, è percepita come un «non luogo» cui si associa un forte senso di inadeguatezza, di non appartenenza. La più grande metropoli brasiliana è totalmente diversa dalla mia Salvador, la cui popolazione è quasi interamente nera. L’incontro con San Paolo, la cui popolazione è in gran parte bianca, mi ha costretto a riflettere sul mio ruolo in Brasile in quanto donna nera e su quanto la mia gente non sia rappresentata dai media nazionali. La domanda che mi sono fatta è stata: qual è il posto per questo corpo nero nel mondo? La risposta è il mondo intero. Ed ecco spiegato il titolo del disco.
Qual è stato il processo creativo che ha portato agli undici brani?
Quasi tutti i brani sono stati composti a San Paolo. Degli arrangiamenti ci siamo preoccupati soltanto in fase di registrazione. È stata una vera e propria full immersion insieme ai cinque musicisti che mi accompagnano, ai quali ho lasciato il giusto spazio per esprimersi in totale libertà.
Il disco allude a sonorità ancestrali e a una radice religiosa specifica. In che modo la cultura africana permea questo lavoro?
Quella africana è una realtà ben presente nella mia vita grazie a una serie di ricordi e di elementi diasporici. A questo si aggiunge il fatto che gran parte dei musicisti che mi accompagna ha un forte legame con questo universo. François Muleka, chitarrista figlio di immigranti congolesi, rappresenta con la sua musicalità l’Africa centrale. Mentre Sebastian Notini, sassofonista e percussionista, pur essendo svedese vive da anni a Bahia studiando i ritmi afro-brasiliani. Rudson Daniel, invece, è di Salvador, la città più africana del Brasile. Kato Change è l’unico nativo africano della band e attinge molto alla fonte del jazz, del blues, del r&b nord-americano. Credo che l’identità culturale di ognuno di loro si manifesti pienamente nel disco rendendo questo lavoro speciale.
Qual è il tema del brano Um Corpo no Mundo?
Come dicevo, il disco nasce da una riflessione sull’identità, incentivata dall’incontro con l’immigrazione africana a San Paolo. Questo è un progetto basato sul concetto di non appartenenza, sull’idea di un corpo che pur occupando un certo spazio non vi si identifica. Eppure le mie canzoni non parlano solo di questo ma si interrogano su temi quali affetto, dignità, rispetto e amore. Per questo in una canzone canto: E a palavra amor cadê?
Nel brano c’è un verso che recita «Je suis ici, ainda que não queira» (Io sono qui, anche se non vuoi). Quali sono stati i maggiori ostacoli che hai dovuto superare nella tua carriera per il fatto di essere una donna nera?
Il più grande ostacolo è stato sicuramente quello di dover lavorare in assenza di risorse. Ogni nostro sforzo è reso vano dalla mancanza di denaro, soprattutto se si tratta di un giovane artista che si accinge a intraprendere una carriera indipendente.
Viviamo un clima di intolleranza. In che modo la musica può aiutare a sensibilizzare le coscienze?
La musica è una grande arma capace di risvegliare le coscienze e di cambiare le idee della gente rispetto a determinati temi. Possiamo trasformare i paradigmi, spezzare l’intolleranza, la violenza, l’oppressione. Il modo, però, in cui questa arma viene utilizzata cambia da un artista all’altro.
Dal tuo punto di vista di compositrice, come vedi la scena musicale brasiliana in relazione all’universo femminile?
Credo che si stiano facendo grandi passi in avanti, che si stia costruendo una nuova narrativa per la música popular brasileira. Ci sono meravigliose cantanti e compositrici nere come Larissa Luz e Xênia França, ma anche transgender come Liniker. Guardo a questo universo con molta speranza e credo che sia arrivato il momento in cui il Brasile debba riflettere meglio a proposito di quello che può e deve ascoltare.
Pietro Scaramuzzo
[da Musica Jazz, ottobre 2018]