
Nel 1967, nel corso di un rito religioso, uno spirito apparso a un allora giovanissimo Milton Nascimento pare gli abbia detto: «Non essere triste, molta gente ha bisogno di te. Tra qualche giorno accadrà qualcosa di straordinario a cui non riuscirai a credere neanche tu».
È Milton a raccontare l’episodio in più occasioni, assicurando puntualmente che nulla di quanto raccontato è frutto della sua immaginazione. Che ci crediate oppure no, resta il fatto che alcuni giorni dopo l’accaduto, sul palco del Maracanãzinho, il compositore carioca vinceva il premio come miglior interprete del Festival Internacional da Canção. Il brano che eseguiva, invece, si sarebbe classificato secondo, dietro a Margarida di Guttemberg Guarabyracon: era Travessia, ancora oggi un caposaldo della musica brasiliana. La profezia si era avverata.
Milton Nascimento, sono passati cinquant’anni dalla pubblicazione del disco «Travessia». Quanto è stato importante per la tua carriera?
È stato l’inizio di tutto. La pubblicazione di «Travessia », nel 1967, si è rivelata uno dei momenti più importanti della mia vita. Oltre ad essere il mio primo disco come solista, «Travessia » è stato anche il lavoro che mi ha permesso di fare i miei primi concerti con canzoni da me composte. Questo già dimostra quanto il disco sia stato importante per me. Dico sempre che «Travessia» ha avuto un significato molto speciale per molta gente. Grazie a questo lavoro, io e Fernando Brant abbiamo iniziato un percorso che ha definito le nostre vite. Wayne Shorter, per esempio, è solito dire che la nostra musica costruisce ponti, ponti di amicizia, pace e unione.
Da dove hai preso il titolo Travessia?
Dal libro Grande Sertão Veredas, di Guimarães Rosa.
Travessia si è classificato al secondo posto nel Festival Internacional da Canção. Hai raccontato spesso che, all’epoca, non volevi partecipare al festival. Come andarono le cose?
Avevo già partecipato, nel 1966, al Festival Berimbau de Ouro, della tv Excelsior, presentando un brano scritto da Baden Powell e Lula Freire: Cidade Vazia. Nonostante avessi vinto il premio come miglior interprete, non mi era piaciuto il clima di competizione che si respirava nel backstage. Oltre a questo, prima del Festival Internacional da Canção partecipai ad altri due festival e notai la stessa situazione. Così mi ero promesso di non partecipare mai più ad un festival fino a quando non apparve Agostinho do Santos.
In che modo Agostinho dos Santos è stato fondamentale in questo momento?
È stata una cosa impressionante che non sarebbe potuta accadere nemmeno in un film. Se non ci fosse stato lo zampino di Agostinho non ci sarebbe stato nessun festival. Lui mi aveva chiesto di iscrivermi al festival del 1967 ma non avevo dato neanche l’occasione di finire il discorso. Dopo quel 1966, come ti ho già detto, mi ero ripromesso di non partecipare a nessun altro festival: quel clima di competizione non mi piaceva per niente. Un mese dopo, Agostinho venne a dirmi che aveva trovato la persona che gli avrebbe prodotto il disco. Mi disse anche che alcuni miei brani sarebbero stati inseriti nel repertorio ma che, per farlo, avrei dovuto registrare i brani – che sarebbero serviti come guida – nello studio di un suo amico. Ci andai pensando: accidenti, dovrò registrare tre canzoni ma alla fine ne sceglieranno solo una. Una settimana dopo incontrai Elis Regina sulla porta della Recordo: «Lo sapevo», disse, «ti sei classificato con tre canzoni al Festival». Quando ascoltai queste parole fui quasi per svenire, soprattutto pensando all’ipotesi che potesse esistere un altro Milton Nascimento. Ma all’improvviso la risata fragorosa di Agostinho alle mie spalle mi risvegliò: avevo capito tutto.
Nel 1974 hai registrato il disco «Native Dancer» con Wayne Shorter. Come è avvenuto questo incontro e in che modo questo lavoro ha cambiato la tua carriera?
Nel 1972 ero impegnato in uno spettacolo in cartellone al teatro da Cruzada Eucarística São Sebastião, che si trova nella Fonte da Saudade, a Rio de Janeiro. E i Weather Report, di cui Wayne Shorter era il co-leader, si trovavano a Rio per dei concerti. Tramite sua moglie, Ana Maria, Wayne Shorter venne qui e cominciò a chiedere dove abitasse Milton Nascimento. I ragazzi della produzione, credo per dispetto, dissero che non lo sapevano. Solo che la moglie di Wayne, Ana Maria, era portoghese e lesse sul giornale che i ragazzi del Clube da Esquina avrebbero fatto un concerto lo stesso giorno di Wayne. Ricordo che stavo per salire sul palco quando una persona mi disse: “Wayne Shorter è tra il pubblico”. E io risposi: “Cosa?” All’epoca ero già innamorato di lui fin da quando suonava con Miles Davis. Tremavo, naturalmente, alla sola idea di esibirmi al suo cospetto. I musicisti dei Weather Report vennero ai concerti del Clube da Esquina per sette giorni di seguito. L’ultimo giorno Wayne mi chiamò in disparte e mi chiese se avessi voglia di registrare un disco con lui. Gli risposi che sicuramente avrei voluto, ma non sapevo se ne sarei stato in grado. Qualche tempo dopo, Wayne mi chiamò per invitarmi a Los Angeles e io ci andai accompagnato da Wagner Tiso e Robertinho Silva. Wayne ci ospitò tranquillamente a casa sua e lì avemmo la possibilità di conoscere molti musicisti di diversi generi e di diversi luoghi. Fu così che registrammo il disco «Native Dancer».
Attualmente sei impegnato nella tournée Semente da Terra. Parlaci di questo progetto.
«Ava Nhey Pure Yvy Renhoi», che significa «Semente da Terra», è il nome che ho ricevuto dai trentasette leader religiosi della nazione Guaraní-Kaiowá durante una cerimonia officiata nel 2010 a Campo Grande. Il nome di battesimo Guaraní è un privilegio concesso a pochissime persone nate al di fuori della tribù. Il mio, in particolare, nacque dall’impressione che gli indios ebbero guardando una mia foto. Nessuno dei leader aveva mai sentito parlare di me prima dell’evento, che riunì vari indios di varie etnie a Campo Grande, dove mi esibii in un concerto con la mia band per gli abitanti del Mato Grosso do Sul e per le comunità indigene. Dopo una lunga discussione di quasi due ore (in cui la mia foto passò di mano in mano), gli indios – che stavano in uno dei camerini – salirono sul palco durante il concerto e tennero il mio battesimo lì sul palco. Semente da Terra, il nome che gli indios mi diedero quella notte, è stato scelto per battezzare anche questa tournée. Ma Semente da Terra è, prima di qualsiasi altra cosa, un messaggio di speranza. Il mondo ne ha bisogno. Il nostro desiderio è che questa tournée possa generare, in un certo senso, un momento di riflessione.
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In che modo avete scelto il repertorio?
È avvenuto tutto in modo molto tranquillo e sereno. Non abbiamo pensato a nient’altro che non fosse ispirato alla vita degli indios del Brasile. In special modo ai Guaraní-Kaiowá del Mato Grosso do Sul. E abbiamo scelto il materiale il più diretto possibile. Nel concerto sono rappresentate tutte le fasi della mia vita, a partire da Travessia e passando dagli anni Settata e Ottanta, Diretas Já, Coração de Estudante, Nos Bailes da Vida, Maria Maria, Caxangá e tanto altro.
C’è qualcuno tra i nuovi giovani artisti che consideri un erede di Milton Nascimento?
Non trovo giusto parlare di eredi, perché credo che ogni artista abbia un proprio stile.
Come vedi il futuro della musica brasiliana?
Com’è sempre stato: rivela qualcosa di nuovo a ogni istante.
(Estratto dell’intervista a Milton Nascimento di Pietro Scaramuzzo – foto: Marcos Hermes. La versione integrale su Musica Jazz di giugno 2018)