Tower Jazz Composers Orchestra: seconda parte

La seconda parte dell'intervista a Francesco Bettini, Alfonso Santimone, Filippo Orefice, Giulia Barba e Stefano Dallaporta che ci parlano della genesi e dell'attività di quella che si è imposta come una delle esperienze orchestrali degli ultimi anni.

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La sezione trombe della Tower Jazz Composers Orchestra foto di Eleonora Sole Travagli

Avete mai pensato a un ospite per la vostra orchestra?
Francesco Bettini: Non sarebbe semplicissimo che si integrasse, visto che l’intenzione è quella di proporre una pluralità di composizioni originali, tuttavia le collaborazioni non sono mancate. La più “prestigiosa”, al momento, è stata con David Murray.

Se doveste fare un bilancio dalla nascita dell’orchestra a oggi, quali risultati avete raggiunto?
Francesco Bettini: Che si sia creata una comunità di persone, che sono soprattutto amici, oltre che colleghi. Molti musicisti che frequentano orchestra e Torrione si sono trasferiti a vivere a Ferrara e tutto ciò, a suo modo, rende più vivace non solo il Club, ma anche la città.
Alfonso Santimone: Un vasto repertorio originale (in costante crescita) e un’apprezzabile evoluzione del linguaggio compositivo dei più “inesperti”. Anche la qualità della pratica esecutiva è decisamente in crescita, nonostante le prove si limitino a una sorta di one-shot nel pomeriggio precedente alla sera del concerto. Proviamo a volte anche cinque o sei partiture nuove, alcune delle quali di notevole complessità.

TJCO

Quali altri vorreste raggiungere?
Francesco Bettini: Il riconoscimento da parte delle istituzioni, Ministero in primis, di questa esperienza ed di altre analoghe che andrebbero sostenute quanto lo sono le orchestre sinfoniche stabili o le bande. Un capitolato sulle orchestre di jazz non esiste ed è ora che ci si metta mano per l’importanza formativa e produttiva che queste esperienze hanno in molti territori della Penisola.
Alfonso Santimone: Proseguire su questa strada, osare anche di più sul piano compositivo, sulla ricerca timbrica, sull’equilibrio tra scrittura e improvvisazione.

Qual è il pubblico della Tower Jazz Composers Orchestra?
Francesco Bettini: In genere più giovane della media del pubblico che frequenta i concerti del Torrione. Quando l’orchestra suona al Club c’è sempre molta attesa. Negli anni si è fidelizzato un pubblico che prima non lo frequentava e che in prevalenza è nella fascia 20 – 40 anni. Non è un caso, visto che le performance sono sempre molto coinvolgenti e che le composizioni della TJCO guardano anche a linguaggi di un’attualità musicale frequentata dai più giovani.

Avete ottenuto anche un risultato più che lusinghiero nel Top Jazz 2019. È un risultato che vi aspettavate?
Francesco Bettini: Avrei immaginato che il disco avesse un riscontro superiore e che entrasse nei primi dieci, anche in ragione del terzo posto nella categoria formazioni. Purtroppo non credo che questo lusinghiero risultato si tradurrà in chissà quale altrettanto lusinghiera prospettiva d’ingaggi, ma di sicuro male non fa e ci fa molto piacere.
Alfonso Santimone: No, non ce lo aspettavamo. Fa certamente molto piacere che la stampa di settore apprezzi il nostro percorso artistico. È uno stimolo a spingersi ancora oltre nella ricerca e a non sedersi sugli allori. D’altra parte penso che la rilevanza di questo tipo di classifiche sia di gran lunga sopravvalutata e che abbia un effetto tendenzialmente distorsivo rispetto alla ricezione del pubblico, soprattutto quello più “indifeso”, meno abituato al jazz e quindi più tendente ad attribuire ai vari referendum di settore un qualche valore assoluto. Mi piacerebbe che nel gennaio 2021 su Musica Jazz le pagine del Top Jazz 2020 fossero sostituite da pagine che si occupano di musica. Come ho detto poco fa, della “carne” della musica.

Cover disco

Facciamo un gioco: dovete dedicare un vostro disco a un libro, quale sarebbe e perché?
Stefano Dallaporta: All’interno del disco della TJCO c’è un brano di mia composizione, Lucid Dream, ispirato dall’esperienza, prima casuale e poi premeditata, del sogno lucido. Il sogno lucido consiste nel prendere consapevolezza di sognare durante il sogno, il che permette di agire non più come spettatore del sogno, ma come reale protagonista che si muove all’interno dello spazio/tempo onirico (non a caso si parla di onironautica). Parallelamente alle prime esperienze di sogno lucido, completamente casuali, mi stavo addentrando nella bibliografia di Alejandro Jodorowsky. Dopo aver letto La Danza della realtà, sono passato a Psicomagia. In questo libro vengono descritti i sogni lucidi – esperienza a cui non sapevo dare un nome prima – e in particolare vengono approfondite delle tecniche per indurli. Nel libro, l’esperienza del sogno lucido è vista come terapeutica nell’affrontare le proprie paure e inibizioni, nello sviluppare la creatività e liberare la propria coscienza. Inoltre la psicomagia è una forma di terapia in cui l’azione, il corpo e il gesto artistico (dunque magico) diventano fondamentali nel cammino di sviluppo e consapevolezza della persona. Dunque, un libro fra i tanti a cui vorremmo dedicare il disco della TJCO è sicuramente Psicomagia. D’altronde radunare ogni mese ventitré o più musicisti per farli provare musica – spesso originale e complessa – da suonare il giorno seguente è, in qualche modo, un atto psicomagico.

Stefano Dallaporta ©SoleTravagli

A vostro avviso c’è qualcosa che non va nel jazz in Italia?
Francesco Bettini: Forse è questo il libro a cui dedicherei il disco: C’è qualcosa che non va nel jazz in Italia?
Alfonso Santimone: I problemi sono tanti e complessi. Mi ricollego a quanto ho proposto in precedenza relativamente agli aspetti linguistico-musicali: sarebbe bello e molto utile avere uno spazio periodico sulla stampa specializzata cartacea e on-line dedicato a una discussione aperta, libera, polifonica e coraggiosa sulle tante problematiche del nostro ambiente. Esistono molte questioni che hanno tante facce diverse: il marketing culturale e il suo riflesso sulle pratiche artistiche e la ricezione dei fruitori, il vizietto di ricorrere all’hype come strategia di comunicazione, il ruolo e la qualità della stampa specializzata e della critica, le direzioni artistiche e le curatele, gli uffici stampa, i promoters e il loro livello di professionalità, il supporto per le esperienze più sperimentali, il pubblico indifeso, il pubblico storico, il pubblico futuro, la visibilità della scena nel suo complesso, le condizioni in cui i musicisti fanno il loro lavoro, i rapporti con le istituzioni, gli organi di rappresentanza, etc… Parliamone, presto, costruttivamente e in tanti.

Cosa è scritto nell’agenda della Tower Jazz Composers Orchestra? Quali sono i prossimi passi?
Francesco Bettini: I due concerti più vicini sono il 30 aprile, per la Giornata internazionale del jazz Unesco, contestualmente alla stagione concertistica del Teatro Ristori di Verona e la successiva residenza al Jazz Club del primo maggio, poi alcune date europee previste nel corso dell’estate.
Alceste Ayroldi

La prima parte dell’intervista:https://www.musicajazz.it/intervista-tower-jazz-composers-orchestra-prima-parte/

L’intervista completa è stata pubblicata sul numero di agosto 2020 della rivista Musica Jazz.