INTERVISTA DOPPIA: GIANNI BARDARO E PIERLUIGI VILLANI II PARTE

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Intervista a due voci con il sassofonista Gianni Bardaro e il batterista Pierluigi Villani in occasione del loro disco «Unfolding Routes» (Emarcy). Di seguito, l’intervista con Pierluigi Villani.

Tu e Bardaro non abitate proprio vicini: come vi siete conosciuti?

Era il 1998, presso il conservatorio di Napoli, siamo stati entrambi allievi di Bruno Tommaso, con il quale abbiamo condiviso le più disparate esperienze, due dischi con brani originali di Bruno e con la partecipazione di Maria Pia De Vito.

 A chi è venuto in mente di creare il trio?

In realtà credo sia stata un’esigenza comune. Io venivo da progetti con  formazioni molto estese, pertanto sentivo l’esigenza di mettermi in gioco in un altro modo rispetto ai dischi precedenti, volevo una situazione più intima, ma allo stesso tempo più forte e dura connotata da una  visibilità responsabile: ci siamo parlati  e c’è stata subito sintonia.

 A sentire il disco, di «percorsi» se ne sono aperti tanti. Chi è stato a condurre l’altro su questi meno battuti?

Ho ascoltato per primo delle cose che Gianni voleva suonare, quindi ho, per così dire, adattato le mie composizioni a quel tipo di dimensione, confesso che all’inizio è stato strano non sentire uno strumento polifonico ma poi si sono aperti nuovi orizzonti.

 L’impressione che si avverte all’ascolto è di un disco bello duro. E’ questo l’obiettivo che vi eravate prefissato?

Non avevo alcuna idea di cosa sarebbe venuto fuori,  ho pensato si potesse realizzare un disco più acido, questo sì, il che non mi dispiaceva; forse inconsciamente era quello che volevo in questa fase del mio cammino.

 Avete messo nell’angolo il pianoforte: per quale motivo? Personalmente avevo fatto troppi dischi con il piano e sentivo la necessità di «ripulirmi» le orecchie da quello strumento. In un primissimo momento avevo optato per la chitarra, poi confrontandomi con Gianni ho capito che la nostra direzione ci portava ad un trio con contrabbasso, sassofono e batteria.

 L’innesto, in due brani a firma di Bardaro, delle percussioni cubane di Yohan Ramon è una decisione presa in partenza o nata strada facendo?

Da subito Gianni mi ha comunicato che in due brani ci sarebbe stato Yohan. La prima sera, dopo una lunga prova, io e  Yohan ci siamo chiusi nel suo studio ed abbiamo suonato per  due ore: praticamente un drum-percussion contest. Lui ha dato un sapore latino al nostro disco.

 In qualche episodio non avete fatto a meno della vena melodica tipicamente italiana.

Forse sono genetiche come le nostre esperienze classiche, mi riferisco al conservatorio: evidentemente non è stato possibile congelarle.

 Poi, in  Boppel fa capolino un po’ di rock.

Per quanto mi riguarda ho affrontato brani come Nothing Unforseen Happens ed il mio Signs Of Light pensando a Jojo Mayer, fantastico batterista e al suo gruppo Nerve, con tanti groove jungle: mi sono ispirato a lui.

 Quale storia racconta il vostro disco?

Mi piacerebbe pensare ad una storia che ti faccia viaggiare con la mente, tenere aperta qualunque possibilità, poter  affrontare qualunque sfida. Potrebbe essere una bella colonna sonora delle proprie esperienze.

 Tutti brani originali, due dei quali firmati a quattro mani: come avete agito in questa fase?

L’impulso è stato di entrambi, ma i primi brani li ha mandati Gianni ed io ho seguito il suo filone con grande piacere e fluidità. I due brani co-composti sono stati fatti alla prima: siamo entrati in sala e li abbiamo suonati.

 Se «Unfolding Routes» fosse una colonna sonora, quale tipo di film musicherebbe?

Mi piacerebbe una storia tipo Ultimo tango a Parigi, un film cult che mi ha molto impressionato, pieno di contrasti, contraddizioni, cinismo e amore.

 Come valuti «Unfolding Routes» rispetto alla tua precedente produzione?

Il mio  precedente gruppo The4, mi ha dato tante soddisfazioni dal punto di vista della critica: era un quartetto molto newyorkese come target e ha ricevuto grandi consensi, ma poi ci dev’essere la condivisione e questa è venuta a mancare. Questo è un lavoro  per me più moderno e  più condiviso.

 Pierluigi, in genere chi è il tuo batterista di riferimento?             

Passo dall’amare Brian Blade, Bill Stewart, Jeff Ballard,  Jojo Mayer, Peter Erskine ma soprattutto Vinnie Colaiuta, batterista fantastico per ogni situazione

 C’è qualcuno in particolare a cui vorreste dedicare questo disco?

A mio figlio Virgilio, al quale dedico tutte le mie produzioni.

 Ora cosa prevede la tua agenda?

Mi voglio lasciar sorprendere, almeno per quanto concerne le prossime produzioni, non so cosa mi riserva il futuro, spero sia interessante.

A Ayroldi