L’onda lunga del Bologna Jazz Festival

Si è tenuto dal 3 al 27 novembre il festival emiliano. Di seguito il nostro resoconto.

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Hiromi - Arena del Sole - Bologna Jazz Festival 2023 Francesca Sara Cauli

Bologna Jazz Festival 2023
3 – 27 novembre, Bologna e altre sedi

I concerti del Bologna Jazz Festival? Una marea! Multicolore, transgenerazionale, libera e senza confini, per un’edizione, quella di quest’anno, mai così partecipata. La kermesse felsinea, ben più salda della Garisenda, si riconferma quindi un must dell’autunno in Regione. Dai grandi teatri ai club di tendenza, da suggestive biblioteche e musei a sale da concerto in provincia, la carica rivoluzionaria del BJF ha abbracciato un territorio sempre più vasto non solo attraverso le note – di jazz classico, elettronico, underground… – ma con appuntamenti didattici, incontri con gli artisti, l’immancabile autobus del jazz e soprattutto una grafica affidata alla creatività di quattro artiste iraniane, Athieh Sohrabi, Hanieh Ghashghaei, Nazli Tahvili e Roshi Rouzbehani, riunite sotto il progetto “Donna, vita, libertà”, in collaborazione con l’associazione Hamelin. Musica Jazz ha seguito alcuni degli appuntamenti di un evento che ha reso Bologna più luminosa lungo tutto il mese di novembre e fino al 5 dicembre, con un prestigioso extra, il solo del chitarrista Marc Ribot: per gli appassionati, un azzeccato regalo di Natale.
Un po’ manga e un po’ fusion, un po’ cosplayer, un po’ latin e un po’ rock, ma parecchio jazz!
Hiromi Uehara è approdata così, martedì 7 novembre, sul palco di una gremita Arena del Sole per presentare il suo nuovo Sonicwonder. L’anima luminosa ed eternamente sbarazzina della pianista di Hamamatsu ha travolto un pubblico entusiasta con la sua inesauribile creatività, estro e bravura, amplificati da tre capaci compagni di viaggio quali Adam O’Farrill alla tromba, Hadrien Feraud al basso elettrico e Gene Coye alla batteria, che a loro volta hanno goduto di ampio spazio espressivo nel dialogo ora più dinamico, ora più intimista con la bandleader. Le tastiere suggerivano colonne sonore di videogames, ma le note mutavano repentine per condurci tra le strutture di un Haiku di metà Ottocento. “Polaris”, una ballad di ampio respiro in cui la tromba di O’Farril l’ha fatta da padrona introducendone il tema con un uso sapiente della sordina ed effetti, ci ha aperto sconfinati panorami sonori, catapultandoci nella Sonicwonderland di Hiromi. Due gli encore concessi, l’ultimo tradotto in un tripudio di note elettriche sorprendentemente amalgamate agli stilemi della New Orleans che fu…ed è subito supersonica meraviglia!

The Sliders_San Giorgio in Poggiale_BJF2023_Foto di Daniele Franchi©

Sabato 11 novembre, nella splendida ex chiesa di San Giorgio in Poggiale, oggi biblioteca d’arte e di storia facente parte del circuito Genus Bononiae, si è tenuto, in collaborazione con Fondazione MAST, il doppio concerto per tre tromboni di Lorenzo Manfredini, Filippo Vignato e Federico Pierantoni, aka The Sliders.  “Lo slide” spiega Vignato al folto pubblico “è questa parte del trombone, il cursore, che permette di modulare il suono. Noi stessi siamo Sliders, surfiamo sulle note fino a voi”. Accattivanti gli originali Tammorra e A Locomotive Requirement firmati da Manfredini; quest’ultima vede gli strumenti dialogare su piani diversi e produrre un ritmo incalzante che riconduce al jazz delle origini. Suggestivo, inoltre, Untitled 1 che si potrebbe definire la Pastorale in miniatura di Filippo Vignato, perché quella che ci appare davanti agli occhi è davvero una piccola, scintillante orchestra. Ma quello che forse ci ha colpito maggiormente è stata la trattazione di arrangiamenti quali After The Rain di John Coltrane, I Got It Bad di Duke Ellington, Palhaço di Egberto Gismonti e ancora Ida Lupino di Carla Bley. Brani cari ai tre artisti che, sfrondati e ricondotti all’essenza, ad un’architettura paradossalmente scarna e proprio per questo più impattante, hanno intessuto inconsciamente un dialogo coerente ed intimo con le opere dell’artista Claudio Parmiggiani –  la sua ultima Delocazione e Campo dei Fiori, istallazioni permanenti pensate per San Giorgio in Poggiale – a conferma del fare arte di una personalità dotata di un’immensa profondità di pensiero che ha assurto il silenzio ad atto critico e rivoluzionario e la “distruzione” ad atto creativo, così come afferma lui stesso:  “Costruire, distruggere, di nuovo costruire, di nuovo distruggere”. Tornando agli Sliders, quindi, e al loro modus sonandi, pensiamo che il tempo per l’esordio discografico sia più che maturo.

Samara Joy Unipol Auditorium BJF23 – Francesca Sara Cauli 2023

Abbiamo ascoltato dal vivo per la prima volta la giovanissima Samara Joy al Torrione di Ferrara in duo con il pianista Emmet Cohen. Già allora ci aveva colpiti positivamente non solo per le capacità vocali ed espressive, ma anche per l’approccio spontaneo nel rapportarsi senza timore a grandi classici del jazz. Oggi, dopo essersi aggiudicata due Grammy Awards, uno dei quali soffiato ai Måneskin, e aver strizzato l’occhio ad una major che ha pubblicato il suo ultimo album Linger Awhile, abbiamo deciso di fare il punto non solo godendo della sua vibrante performance serale (venerdì 17 novembre) che ha visto un Unipol Auditorium sold out e letteralmente in visibilio, ma partecipando altresì alla bellissima opportunità che il Bologna Jazz Festival ha dato a tutti gli studenti del Conservatorio “G.B. Martini”, oltreché agli allievi del Liceo Musicale “Lucio Dalla”, ovvero la realizzazione di un blindfold test a cui la Joy si è sottoposta nel pomeriggio che ha preceduto il concerto, il cui esito sarà pubblicato sul magazine di settore DownBeat. Lo scrittore, giornalista e produttore discografico Ashley Kahn, a cui è stata affidata la curatela del test, ha messo “sotto torchio” la giovane cantante del Bronx con una decina di ascolti alla cieca, da Carmen McRae a Andy And The Bey Sisters, da Alice Coltrane a Cecile McLorin Salvant tra gli altri. Joy non solo se l’è cavata egregiamente, ma ha saputo arricchire di spunti personali quasi ogni singolo ascolto, riallacciandosi al proprio bagaglio musicale, disquisendo della modalità di scrivere e studiare musica, donando preziose pillole di vita, come l’aver saputo di essere stata nuovamente nominata ai Grammy pochissimi giorni prima, proprio nel giorno del suo ventiquattresimo compleanno, o il dividersi con scioltezza tra jazz e il gospel con cui è cresciuta: non appena rientrata negli States, infatti, partirà con la sua famiglia, The McLendon Family, per un tour di tre settimane che toccherà New York, Atlanta, New Orleans e Dallas tra altre città.
Nonostante il turbinio di questo successo, Joy non ha minimamente perso in genuinità e gentilezza, sia con gli studenti (si è preoccupata che gli stessi sentissero bene e non si stessero annoiando), sia sul palco dell’Unipol Auditorium da cui ha saputo trasmettere una gioia spontanea e contagiosa, unita ad una voce travolgente ed una presenza scenica più strutturata rispetto al passato. Nel corso della serata Joy, coadiuvata da tre giovani e straordinari musicisti quali Luther Allison al pianoforte, Michael Migliore al contrabbasso e Evan Sherman alla batteria, ha reso omaggio a giganti quali Mingus, Jobim e Monk tra gli altri, per alcuni brani dei quali ha scritto lei stessa i testi. Struggente anche l’inaspettato omaggio a Mina con l’interpretazione del brano “Un anno di amore”.

UI + Bill Frisell © Rudy Royston

Un altro colpo messo a segno è stato il concerto del trio di Bill Frisell, con Thomas Morgan al contrabbasso e Rudy Royston alla batteria (martedì 21 novembre, al Teatro Duse). Una formazione ultra-collaudata a cui Frisell si affida per tradurre in note l’universo sonoro che gli appartiene. In tal caso parlare di magia e poesia non è lapalissiano, almeno fino a quando potremmo godere di quelle trame musicali, di quelle destrutturazioni, in cui brani originali del leader si fondono alla sterminata enciclopedia di note che lo abita, dando vita a contaminazioni geniali, straordinariamente congegnate, emesse in dosi che potremmo definire elegantemente “omeopatiche”. Il concerto del trio è stato anticipato dalla performance degli Unscientific Italians, che Musica Jazz ha intervistato in occasione dell’uscita del loro primo album dedicato proprio al repertorio friselliano, a cui ne è seguito un secondo. Quella sul palcoscenico del Duse è stata la coronazione di un sogno: dopo quindici anni dalla nascita, l’ensemble fondato da Zeno De Rossi, Alfonso Santimone, Francesco Bigoni e Filippo Vignato e completato da altri protagonisti del panorama jazzistico nazionale, ha avuto la possibilità di chiudere il set suonando Egg Radio con il proprio idolo incontrastato. A tal proposito abbiamo scambiato due chiacchiere, a caldo, con il batterista Zeno De Rossi che ci ha raccontato non solo dell’emozione provata dagli Unscientific, ma anche dallo stesso Frisell, quasi straniato dalla bellezza degli arrangiamenti messi in campo, tra l’altro di brani che lui stesso non suonava più da anni, e che ha apprezzato moltissimo ricambiando forte gratitudine nei giorni successivi al concerto. Restando nel merito delle preziose opportunità che l’attenta direzione artistica del BJF ha saputo riservare in occasione di questa edizione, segnaliamo le molteplici occasioni d’ascolto del pianista Bill Carrothers in solo, che risulta sempre più difficile incontrare in Europa.
Eleonora Sole Travagli