«This Is Not A Harp». Intervista a Marcella Carboni

Nuovo lavoro discografico per l’arpista e compositrice cagliaritana, in partenza anche per un tour che, tra luglio e agosto, toccherà diverse località italiane.

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Marcella Carboni

Marcella, inizierei parlando del tuo ultimo lavoro «This Is Not A Harp». Il titolo mi ha fatto venire in mente This Is Not A Love Song dei P.I.L. C’è una vena polemica-ironica in questo tuo titolo? Si fa fatica, ancora oggi, a ritenere l’arpa uno strumento che possa far parte del mondo del jazz?
«This is not a Harp» nasce dalla necessità di andare oltre agli stereotipi dello strumento, è una ironica (e forse un po’ polemica) richiesta di ascolto, senza farsi troppi crucci sull’appartenenza o meno dell’arpa nel jazz. Il riferimento è al quadro di René Magritte dove la didascalia della famosa pipa recitava: «Questa non è una pipa». Come la pipa di Magritte non poteva essere fumata ed era solo una rappresentazione grafica, questo disco vuole giocare con i suoni, questa non è l’arpa angelica o morbida che troviamo nell’immaginario collettivo, vorrei che fosse ascoltata come la mia voce, il mio suono senza pregiudizi.

Qual è il filo rosso di questo tuo disco?
È un omaggio a Magritte e al suo poetico surrealismo. Penso che fare jazz con l’arpa sia visto un po’ come surreale, allora ho voluto enfatizzare il concetto e svilupparlo. Alcuni brani sono concepiti come i quadri di Magritte, con colori e timbri sonori che vanno oltre i suoni tipici degli strumenti, ci sono spesso scambi di ruolo tra arpa e contrabbasso, come anche forme non definite che convivono con strutture ben precise.

Già con The Treachery Of Sounds metti in chiaro come anche l’arpa possa sviluppare groove e sonorità non solo ariose. Mentre, The Wheel gioca con lo swing. Un ascolto distratto, farebbe quasi dimenticare che lo strumento principale sia un’arpa. E’ una scelta da te voluta, oppure è venuta fuori con naturalezza?
Questo straniamento dei suoni è fortemente voluto ed è il frutto naturale degli ultimi anni del mio percorso. Io parto sempre dall’idea di un suono, il focus è su quello che il mio strumento può fare al meglio nella musica che più mi appassiona. Come arrivarci poi è questione di studio, di ricerca, di impegno quotidiano. Con questo disco sono arrivata ad un buon punto, sono molto soddisfatta del risultato e il suono di questo trio è proprio quello che cercavo da tempo.

Senza parlare di Mindful, piena di riferimenti alla musica contemporanea, con un passo latino. Ci vorresti parlare di questo brano?
Ho scritto Mindful prendendo idee da un brano di Jim Hall (Careful), si basa su un’unica scala e gioca ritmicamente con una melodia articolata su tre accordi. Ho voluto smorzare le corde con un nastro in velluto (ne uso di diversi spessori e materiali a seconda del suono che mi serve) per avere un suono più corto e meno morbido. Il resto è una collaborazione ritmica e melodica con Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli fatta di scambi e frasi spezzate. Nel solo di batteria la mia arpa e il contrabbasso suonano un ostinato che marca il tempo su cui la batteria può galleggiare liberamente.

Troviamo, disseminati del disco, alcuni brani di brevissima durata. Perché?
Sono brevi improvvisazioni ispirate ai quadri di Magritte; pillole surreali e giocose che raccontano la mia anima di improvvisatrice radicale sviluppata con Giancarlo Schiaffini, Anthony Braxton, Butch Morris o Enrico Intra. Con due musicisti così eclettici credo che sia doveroso ogni tanto lasciar andare le strutture e dialogare liberamente. Come uniche partiture avevamo nella testa i quadri di Magritte: una batteria suonata in reverse per Decalcomania o una esplorazione dei diversi timbri dei nostri strumenti per Personal Values, solo per fare due esempi.

Marcella Carboni

Un’altra tua composizione, firmata solo da te, è Reasonance. Qui, a mio parere, fai ascoltare l’arpa con maggiore pienezza, ben sostenuta da una ritmica swing e da un prezioso assolo di Paolino Dalla Porta. E’ un brano che ha trovato nuova forma, rispetto alla tua iniziale composizione, con l’esecuzione in trio?
Reasonance, come la maggior parte dei brani del disco è stato scritto per questo trio, proprio con l’idea del suono corposo e melodico di Paolino Dalla Porta e lo swing delicato e intenso di Stefano Bagnoli. L’estrema risonanza dell’arpa non è facile da gestire nel jazz, ci combatto spesso, ma in questo brano ho voluto evidenziare un «difetto» per farlo diventare una caratteristica; ho lasciato quindi delle misure a vuoto solo per far risuonare le code di suono degli strumenti, l’arpa in primis. Così è nato il gioco di parole tra ragione (reason) e risonanza (resonance).

A proposito del trio, ci vorresti parlare dei tuoi compagni di viaggio? Perché hai inteso scegliere Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli?
Per me è stato un sogno che si è avverato. Conosco e stimo Paolino Dalla Porta dai tempi in cui frequentavo i seminari estivi di Siena Jazz (2004/2005), ma da sette anni a questa parte siamo diventati colleghi ai seminari di Nuoro Jazz, insieme anche a Stefano Bagnoli. Adoro il loro suono e i loro progetti, il duo di Paolino con Bebo Ferra o le prime sonorità del Devil Quartet di Paolo Fresu. E mi immaginavo il suono della mia arpa sostenuto dalla loro sensibilità musicale sempre presente ma mai prevaricatrice. E così ho provato a proporlo e il loro entusiasmo mi ha dato una spinta non indifferente anche per scrivere nuova musica.

Da sx a dx: Stefano Bagnoli, Marcella Carboni, Paolino Dalla Porta

Marcella, perché hai deciso di abbracciare il jazz, anziché proseguire con la musica classica?
Sin da ragazzina ho sempre ascoltato il jazz, principalmente dal vivo. Ma studiavo classica e amavo l’arpa. Nel 1998 ai seminari di Umbria Jazz ho conosciuto Park Stickney, arpista jazz americano, e ha aperto una porta verso un mondo che non sapevo esistesse. Ci sono entrata e ho scoperto che l’arpa ha un ruolo nel mondo del jazz (sebbene piccolo e non ben definito) dal 1934 e anche che c’è un largo margine di sviluppo. Da allora ho esplorato, e continuo a farlo, un mondo musicale che mi appartiene e dove mi sento molto libera di sperimentare e consolidare la mia idea di musica. Certo vorrei che ci fossero meno barriere mentali tra musicisti classici e jazz, e vorrei che l’improvvisazione venisse riconosciuta (o anche solo conosciuta) negli ambienti classici. Io nel mio piccolo faccio tante masterclass in questa direzione, principalmente nelle classi di arpa ma anche aperte ad altri strumenti classici. Il passaggio non è semplice e io ci sono passata non senza difficoltà, ma sarebbe doveroso dare una più completa formazione musicale già dai primi anni di conservatorio, senza inutili e dannose barriere di stile.

Qual è, a tuo parere, il valore aggiunto dell’arpa?
La versatilità sonora, ci sono tantissimi modi di suonare le corde, il tocco fa la differenza e costruisce mondi sonori differenti. Se a questo aggiungiamo il fatto che la mia arpa è elettroacustica (con un pickup in ogni corda e alti, medi e bassi totalmente separabili) le possibilità diventano infinite tra suono pulito e aggiunta di elettronica.

Chi sono i tuoi riferimenti artistici, sia per quanto riguarda lo strumento, che per quanto concerne la composizione?
L’arpa nel jazz non ha moltissimi nomi di riferimento, ma sicuramente Casper Reardon e Dorothy Ashby sono per me tra i più importanti. Poi ci sono i contemporanei, tra tutti Edmar Castaneda che negli anni è diventato anche un caro amico e nonostante suoni uno strumento diverso dal mio (la sua è un’arpa colombiana senza pedali, quindi con meno possibilità armoniche) rimane un meraviglioso alieno dal punto di vista del ritmo, del timbro e della potenza emotiva. Altri arpisti interessanti sono Carol Robbins, Stina Hellberg Agback, Motoshi Kosako e Park Stikney con cui ho studiato. Ma quando penso alla mia musica i riferimenti non sono arpistici, sono più rivolti verso mondi musicali diversi: da Bill Evans a Monk, da Gil Goldstein a Anthony Braxton, da Enrico Pieranunzi a Giancarlo Schiaffini, da Duke Ellington a Bruno Tommaso, da Mahler a Britten.

Qual è il tuo rapporto con le tecnologie applicate alla musica? Ne fai uso?
Uso regolarmente qualche effetto e una loop station, ma non molto di più. Diciamo che in un concerto li uso in uno o due brani al massimo. Ho avuto una fase in cui sperimentavo molto di più, ma poi il fascino del suono pulito dell’arpa mi ha riportato sui binari dello studio della tecnica e delle molteplici sfumature della corda.

Marcella, oggi nel mondo del jazz ci sono discriminazioni di genere?
Oggi nel mondo ci sono discriminazioni di genere. Il jazz non è esente. Se guardiamo i programmi dei festival e le recensioni dei dischi vediamo chiaramente le percentuali di genere sbilanciate. Non si cancellano anni di patriarcato con una bacchetta magica. Ancora la strada è lunga e molti e molte negano che ci sia un problema, apprezzo che se ne parli e che si accendano riflettori per illuminare le parti buie, lo vedo come un buon segno. Dare segnali di accoglienza per le giovani ragazze che si affacciano in questo mondo lo vedo come un passo positivo e necessario, che non esclude la qualità come requisito primario. Per quanto mi riguarda, ironicamente dico sempre che non ho problemi di discriminazione in quanto donna, perché ho già la precedente difficoltà di inclusione perché suono l’arpa. Ma questa è un’altra storia.

Marcella Carboni Trio

Cosa cambieresti dell’attuale sistema organizzativo, economico, politico della musica in Italia?
Sicuramente più trasparenza nelle organizzazioni e meno burocrazia e tasse per i concerti. Ma devo dire che l’associazione Midj in questo sta cercando di portare avanti un discorso che spero possa raccogliere i frutti al più presto. Io li sostengo molto. Inoltre se devo guardare al nostro quotidiano direi che in Italia ci sono grossi problemi di comunicazione. È per me inconcepibile che non ci siano risposte chiare tra musicisti e organizzatori. Io sono musicista e ti chiedo di suonare. Tu sei organizzatore e mi devi rispondere, e non con un “vediamo” all’ennesima email o chiamata di sollecito. Prendersi le responsabilità rispondere anche solo per dire “no, non mi interessa”. Tanto tempo perso per comunicazioni nebulose può essere usato in maniera più proficua e meno avvilente per noi musicisti.

Qual è il brano che vorresti interpretare?
Io amo suonare la musica degli altri, lo faccio regolarmente ed è il mio modo preferito di nutrire la mia vena compositiva. Uno dei brani che ultimamente mi piace suonare è O espelho di André Mehmari, per l’arpa è a dir poco acrobatico armonicamente, una pedalata continua, ma è bellissimo e ipnotico.

Quale libro stai leggendo?
Io leggo sempre su tre binari: libro, ebook e audiolibro (viaggio molto in macchina). Sto leggendo L’incredibile viaggio delle piante di Stefano Mancuso, sull’ebook Cercami di André Aciman. Sto ascoltando Venite venite B-52 di Sandro Veronesi, avevo recentemente ascoltato Colibrì e mi è piaciuto molto il suo modo di scrivere.

Invece, qual è il libro che ti ha cambiato la vita?
Non un libro ma un’autrice, Toni Morrison. Il suo modo di scrivere, il suo modo di non rispettare le classiche strutture letterarie mi ha travolta. L’intensità della sua poesia nella narrazione mi rende chiaro che la linearità di pensiero non è un fine perseguibile. Siamo umani, incoerenti e abbiamo bisogno di sbandare e ritrovarci. Mi piace molto e ho letto quasi tutto quello che ha scritto. E oltre ai contenuti intensi e talvolta atroci è come nel jazz, non è importante quello che scrive ma come lo scrive.

Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
Non saprei, forse la V sinfonia di Mahler diretta da Solti, nel IV movimento c’è a parer mio la pagina più bella mai scritta dove il suono dell’arpa si fonde con gli archi e crea dinamiche intense. Ma a cambiarmi proprio la vita sono stati i concerti live sentiti al Jazz in Sardegna da adolescente: Miles Davis, le grandi Big Band, Dizzy Gillespie, John Zorn solo per citarne alcuni.

Marcella, pensi che la situazione generata dal Covid-19 abbia cambiato la percezione da parte del pubblico dell’arte e, quindi, anche della musica?
È una tragedia in tutti i campi. Prima di tutto è disarmante non poter fare nulla per le vittime e per chi sta soffrendo così tanto. E come conseguenza, ha fatto venire ancora di più a galla il fatto che la cultura nel nostro paese è vista come qualcosa di improduttivo e accessorio. Forse è un bene anche solo che se ne parli, anche se dalle istituzioni i segnali sono totalmente assenti. È terribile e molto preoccupante per il benessere psichico del nostro paese, sento come una pentola a pressione di incultura e ignoranza pronta ad esplodere da un momento all’altro, ma che sta già sfiatando parecchio.

Cosa è scritto nell’agenda di Marcella Carboni?
La mia agenda, come immagino quella di molti musicisti oggi, è un continuo scrivi e cancella. Concerti e masterclass che saltano e vengono rinviate. Ma teniamo duro e continuiamo a crederci. Mi hanno inoltre rinnovato un laboratorio di improvvisazione per strumentisti classici al conservatorio di Milano. Sono ovviamente in piena promozione del disco nuovo con il trio e nel mentre continuano le collaborazioni stabili come il duo con Max De Aloe o Nuance con Elisabetta Antonini. Non ultimo, insieme a Simone Alessandrini al sax, stiamo lavorando ad un nuovo intenso progetto di cui spero potervi parlare al più presto.

N.d.R. I prossimi appuntamenti live di Marcella Carboni:
4 Luglio Alghero JazzAlguer – Marcella Carboni trio This is not a Harp
11 luglio Svizzera Münchenbuchsee FESTIVAL HARP MASTER TRAME Arpa Sola
12 luglio Svizzera Münchenbuchsee FESTIVAL HARP MASTER Masterclass arpa jazz
19-24 luglio Padernello (BS) Festival Le arpe in Villa – Masterclass arpa jazz
18 luglio Padernello (BS) Festival Le arpe in Villa Arpa Classica Anna Loro -Arpa Jazz Marcella Carboni
20 luglio Padernello (BS) Festival Le arpe in Villa Marcella Carboni trio This is not a Harp
29 luglio Trevi – Festival Federico Cesi – TRAME Arpa Sola
29/30/31 luglio Trevi – Festival Federico Cesi – Masterclass arpa jazz
17-20 agosto Nuoro Jazz – Masterclass arpa jazz
18 agosto Nuoro Jazz Festival – TRAME Arpa Sola
Alceste Ayroldi