AHMAD JAMAL «The Complete OKeh, Parrot & Epic Sessions, 1951-1955»

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AUTORE

Ahmad Jamal

TITOLO DEL DISCO

«The Complete OKeh, Parrot & Epic Sessions, 1951-1955»

ETICHETTA

Fresh Sound

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Una delle caratteristiche più evidenti di Jamal è come, in oltre settant’anni di carriera e altrettanti dischi, la sua concezione musicale e lo stile strumentale non siano praticamente mutati di una virgola. Quando il pianista di Pittsburgh è entrato per la prima volta in sala d’incisione, lo ha fatto come leader di un suo gruppo e tale è sempre rimasto, tanto da non essere mai stato sideman per chicchessia (escluse le tarde partecipazioni a un cd di Ray Brown e a uno di Shirley Horn, pochi brani nati per suggellare storiche amicizie e che ovviamente non fanno testo), mostrando fin dall’inizio una poetica «nata pronta», con le influenze del caso già tutte al loro posto e destinata a restare largamente impermeabile agli agenti esterni, se non per l’eventuale aggiornamento di parte del repertorio.

Operando in questa sorta di universo parallelo, un tratto che lo accomuna, curiosamente ma non troppo, a un suo concittadino della Chicago anni Cinquanta come Sun Ra (che nel 1958, dopo il successo planetario del But Not For Me – brano e album – inciso per la Argo lo aveva addirittura accusato di rubargli le idee), Jamal ha quindi attraversato indenne periodi storici e scosse telluriche del jazz senza farsene turbare più di tanto, ma non per snobismo o presunzione bensì per una saldissima consapevolezza dei propri mezzi, e ora che per il mero dato anagrafico il quadro è pressoché completo si può ben dire che avesse perfettamente ragione.

Il punto è che questa intransigenza spesso sfociata nella testardaggine («disciplina», la definisce lui, termine usato con dovizia anche dallo stesso Sun Ra) si è, nel corso degli anni, rivelata un’arma a doppio taglio, finendo per mettere in ombra non solo la colossale influenza esercitata da Jamal sul pianismo moderno ma anche le sue innovazioni strutturali e armoniche. Prendete, in questa ristampa, la celeberrima New Rhumba: quanta gente, nel mondo del jazz, armonizzava per quarte e trafficava col modo lidio già nel 1955? George Russell, certo, il cui fondamentale volume teorico era uscito giusto due anni prima (Jamal, per la cronaca, ha sempre negato di averlo letto ma chissà).

Eppure, prima di arrivare al 1958 e al già citato trionfo di «But Not For Me» con la memorabile versione di Poinciana, il pianista dovette la sua notorietà in larga parte all’ammirazione e al sostegno di Miles Davis, che per qualche anno ne saccheggiò a mani basse repertorio, arrangiamenti e organizzazione di gruppo.

È davvero benvenuto, quindi, questo piccolo cofanetto della Fresh Sound, che per la prima volta raduna sotto lo stesso tetto l’integrale dei brani incisi da Jamal per la OKeh e la Epic, sotto-etichette della Columbia, e per la piccolissima Parrot, indipendente chicagoana fondata dal dj Al Benson e poi acquisita dalla Chess, per la quale il pianista – oltre ai due quarantacinque giri e al long-playing che si ascoltano qui – fu titolare di altre due sedute, dieci esecuzioni rimaste inedite e mai venute alla luce.

Fin dall’inizio il trio senza batteria, chiaramente modellato da Jamal su quello di Nat King Cole, poté vantare come membro stabile il chitarrista Ray Crawford, misconosciuto innovatore che in seguito lascerà una traccia decisiva su «Out Of The Cool» di Gil Evans, e vide transitare un paio di notevoli contrabbassisti come Eddie Calhoun, che poi lavorerà con l’altro grande ispiratore di Jamal, ovvero Erroll Garner, e come Richard Davis, qui probabilmente al debutto discografico, per poi stabilizzarsi con l’arrivo di Israel Crosby, figura fondamentale nella storia jazzistica del suo strumento ma oggi assurdamente dimenticata.

Ecco, se questa ristampa può servire a qualcosa è soprattutto a riportare l’attenzione sull’eccezionale statura artistica di Crosby, che aveva non solo una decina d’anni più di Jamal e Crawford ma anche una già lunga esperienza maturata durante la Swing Era con Fletcher Henderson, Coleman Hawkins, Charlie Christian, Benny Goodman e Gene Krupa, per citarne soltanto alcuni. Crosby – poi scomparso ancora giovane nel 1962, a 43 anni – era un musicista preparatissimo e con una straordinaria propensione all’interplay, dote che Jamal seppe sfruttare nel migliore dei modi, tanto che in non pochi frangenti il dialogo tra i due prefigura in maniera sconcertante il rapporto telepatico tra Scott La Faro e Bill Evans di diversi anni dopo.

Tutto questo si deve, ovviamente, alla diabolica perfezione degli arrangiamenti del pianista, autentici meccanismi di alta orologeria in cui spesso e volentieri viene invertito il rapporto tra gli assolo – spesso praticamente inesistenti – e gli elementi per così dire «di transizione» (riffs, vamps, ostinato della più disparata natura, specials di chiara origine orchestrale), che si vedono assegnare il posto di rilievo e la funzione caratterizzante di gran parte delle esecuzioni. Gli assolo di Jamal raramente seguono per intero il numero di battute dei temi, limitandosi il più delle volte a estrapolare frammenti melodici variamente abbelliti o modificati, e usati in prevalenza come collegamento tra un riff e l’altro, tra un ostinato e l’altro: il tutto guidato da una serie di segni convenzionali dei quali, a suo tempo, si ricorderà benissimo Miles Davis.

Questo ribaltamento di prospettiva, che indica in maniera lampante il desiderio di liberarsi dalla schiavitù del tema-assolo-tema, oltre a essere pressoché inaudito a quei tempi presenta, e forse per la prima volta in quell’epoca, prospettive incalcolabili per il mondo del jazz: aperture che proprio Davis si affretterà a imboccare, per molti versi alla sua maniera ma per moltissimi altri sulla scorta delle indicazioni lasciate cadere da Jamal dopo averle mimetizzate sotto una veste di ingannevole piacevolezza. Una sorta di sala degli specchi, in pratica, proprio come quella che Henry Louis Gates Jr. evocava a proposito del signifiyn(g) e dove ciò che appare non è mai ciò che veramente è.

Insomma, questo doppio album mette tale e tanta carne al fuoco – e ci sarebbero ancora moltissime altre cose da dire – che il suo ascolto non è solo raccomandato bensì obbligatorio per chiunque si interessi di jazz e di ciò che può agitarsi sotto una superficie apparentemente tranquilla. È musica dai molteplici e sorprendenti risvolti, nella quale anche a distanza di anni si possono scoprire, con stupore e soddisfazione, sempre nuovi piani di lettura.

Luca Conti

pubblicata sul numero di settembre 2022 di Musica Jazz

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DISTRIBUTORE

IRD

FORMAZIONE

Ahmad Jamal (p.), Ray Crawford (chit.), Eddie Calhoun, Richard Davis, Israel Crosby (cb.).

DATA REGISTRAZIONE

Chicago, 25-10-51, 5-5-52, gennaio 1954 e 3-5-55; New York, 25-10-55.