Una Striscia di Terra Feconda a Palazzo Farnese

Il Festival franco-italiano di jazz e musiche improvvisate, diretto da Paolo Damiani e Armand Meignan, ritorna a Caprarola, a Palazzo Farnese

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Caprarola, 30 e 31 luglio
Il 30 e il 31 luglio il Festival franco-italiano, in fase itinerante per il tour regionale nei vari siti archeologici del Lazio, è stato ospitato dalla bella cornice dei Monti Cimini e soprattutto da quella incantevole del cortile circolare di Palazzo Farnese. Una gradita presenza di ritorno, visto che la rassegna aveva già visitato la Villa nell’edizione dello scorso anno. In scena due dei classici «doppi concerti» che ne caratterizzano la formula, quello del 30, comprendente una nuova messa in scena de Le rovine di Adriano (la pièce di denuncia di Nello Trocchia, dedicata al «progetto» che prevedeva l’insediamento di una discarica nei pressi della Villa Adriana, a Tivoli), nell’appassionata lettura di Urbano Barberini e con l’accompagnamento di Paolo Damiani (era già stata rappresentata lo scorso anno, a Subiaco, con Danilo Rea al pianoforte) e la prima nazionale del trio La Litanie des Cimes (formato da Clement Janinet ai violini, Elodie Pasquier ai clarinetti e Bruno Ducret al violoncello e voce). Il 31, invece, è stata la volta del duo di Diana Torto con Enrico Degani e del quartetto Jus de Bocse di Médéric Collignon (ospite, in più, Rosario Giuliani).

De Le rovine di Adriano non sarà mai abbastanza lodato il coraggio, per la vibrante denuncia dell’autore, Trocchia (e la sua vita professionale, tutta intera, ne rende testimonianza) e di Barberini, che continua a dargli corpo e voce assieme a vari partner, in un Paese dove l’assuefazione al peggio rischia di tramutare la coscienza civile in un ingombrante orpello.

Il trio La Litanie des Cimes è stato davvero una bella scoperta, offrendo al pubblico una efficace miscela di folk borgognone e di minimalismo à la Steve Reich. Del resto Janinet era già stato autore di un ottimo disco di esordio come «Danse?» (2019, Gigantonium) e il trio ha appena dato alle stampe un interessante album per la stessa etichetta. La Pasquier era già stata apprezzata, tra l’altro, nell’Orchestra di Jean-Maria Machado, mentre Bruno Ducret (figlio di Marc) si segnala come un musicista degno del più vivo interesse. Convincente l’organizzazione interna che il gruppo sa trovare, con Janinet e Ducret ad alternarsi costantemente nel sostegno ritmico e soprattutto il primo (ma non soltanto) a condividere con la Pasquier il ruolo di prima voce: il risultato una musica sempre dinamica e fittamente stratificata.

Il 31, Diana Torto ed Enrico Degani, nella prima parte della serata, hanno dato vita ad un dialogo serrato tra voce e chitarra, fatto di raffinatezze avventurose, contrappunti e inseguimenti, alla ricerca di un equilibrio mai scontato tra le belle e fascinose trasparenze della cantante (capace di evocare a piacimento dimensioni astratte per poi volgerle in musica viva) e il nitore della chitarra la cui «classicità» non è mai abusata o rassicurante, ma anzi sempre spostata in avanti, verso possibili esiti inattesi.

Di seguito, Jus de Bocse e Collignon (nel gruppo Yvan Robilliard al piano elettrico, Emmanuel Harang al contrabbasso e Nicolas Fox alla batteria, con in più Rosario Giuliani al sax contralto) hanno acceso le micce di una mistura altamente incendiaria, come quella della musica di Miles Davis dei primi anni Sessanta. Il gruppo, davvero pirotecnico (né potrebbe essere diversamente, al solo pensare alle attitudini e al carisma del leader) ha abituato il pubblico a riletture acrobatiche (un paio di album dedicati a Davis, sia nella dimensione modale che in quella elettrica, uno ai King Crimson) e nella serata non si è sottratto a questo destino, divertendo il pubblico anche grazie allo sfruttamento di un ulteriore effetto-leva, reso possibile dalla presenza di un Giuliani in grande spolvero, fluido ed incisivo. Collignon sopra gli scudi, ovviamente, soprattutto per le inimitabili vocalizzazioni, capaci di fondere scat, beatbox, tecniche di emissione non convenzionali e manipolazioni elettroniche. Davvero spettacolare e molto apprezzato dai presenti. Un argomento che le due serate hanno consentito di mettere a tema ci sembra possa essere individuato nel coraggio: quello del pezzo-denuncia di Trocchia, certamente, ma anche quello di investire su gruppi di giovani musicisti, su formazioni create per l’occasione o frutto di incroci dell’ultimo momento, oppure su proposte già di per sé non convenzionali. Inoltre l’idea, parimenti ardimentosa, che la Musica si possa valorizzare meglio nell’offerta congiunta con il territorio e le sue ricchezze artistiche, stabilmente dentro i luoghi dell’Arte (anche se non tutti hanno la stessa libertà di visione dell’Arch. Marina Cogotti, direttrice di Palazzo Farnese e del Santuario della Fortuna primigenia a Palestrina). Ne abbiamo parlato più volte: il successo di questo Festival è radicato nella capacità di osare, offrendo una programmazione di straordinaria ampiezza e profondità, coraggiosa come quella di nessun altro evento italiano. Ciò è frutto di capacità e rigore, di coordinate progettuali tenute ferme da anni, da ultimo anche di aver compreso che il legame stabile con un sistema di sostegno alla Musica e alla Cultura ben funzionante come quello francese avrebbe prodotto in ogni caso un effetto vivificante, creando opportunità e facendo circolare idee positive. Questa è la strada da imitare, riflettendo sul perché il sistema italiano sia diverso e quali correttivi si impongano (o almeno siano possibili). Altrimenti non resta che rassegnarsi al peggio.
Sandro Cerini

Qui il programma completo del Festival, che prevede date sino all’11 settembre 2021