Claudio, il Centro Didattico produzione Musica festeggia trentacinque anni di attività. Come e perché hai iniziato questa avventura nel campo della didattica?
Per vari motivi. Innanzitutto occorre ricordare che a cavallo tra gli anni settanta e ottanta in Italia non esistevano percorsi formativi dedicati specificamente alla musica “altra” cioè al jazz, rock, pop nonostante la straordinaria diffusione di queste musiche tra i giovani. Erano anche gli anni in cui l’aggregazione giovanile aveva trovato espressione nell’associazionismo. Ci si associava per esprimere un “io collettivo” fatto di passioni, ideali, voglia di cambiare e anche tanto volontariato. È stato soprattutto l’associazionismo a portare innovazione, cambiamento, sperimentazione nella musica, nella didattica e nel mondo della scuola e dei conservatori. Bisogna poi considerare che oggi è il settore che offre le maggiori opportunità occupazionali per i musicisti. Il CDpM è nato quindi come risposta a un bisogno inderogabile e sentito. Le adesioni sono state numericamente straordinarie fin dall’inizio anche in virtù dell’accessibilità e alla qualità dell’offerta formativa.
Da chi è composto il tuo staff “ristretto” di collaboratori, quali figure?
Abbiamo un consiglio direttivo da me presieduto in cui confluiscono competenze didattiche, amministrative e strategiche. Contiamo poi su un collegio docenti di una trentina di insegnanti di alta professionalità. Ma ciò che fa la differenza è la formazione e l’aggiornamento permanente dei docenti sotto vari aspetti didattici, pedagogici, tecnici su cui ci troviamo in sintonia. La ricerca musicale ed educativa che coniuga didattica e attività artistica è il tratto distintivo della nostra scuola. Non ci basiamo su “un metodo unico” bensì su una attitudine alla “docenza” nel vero senso del termine. Cioè nell’accompagnare gli studenti nei loro percorsi in musica sviluppando autonomia e competenze. Ogni persona è infatti diversa e necessita quindi di un metodo e approccio individualizzato. È questo il nodo della didattica musicale “per competenze” che anima il CDpM. Una didattica in cui l’apprendimento si sviluppa in modo esponenziale, diversamente dalla didattica additiva in cui scale, arpeggi, abilità e conoscenze teoriche si sommano singolarmente fino a un “accumulo” straordinario di conoscenze e repertori che spesso non decolla e si dimentica anche in fretta.
Nasce come scuola di musica con un occhio di riguardo al jazz?
La musica è di fatto solo “una” al di là dei generi. Ciò che cambia sono le cognitività sollecitate dai diversi linguaggi e i “testi” di riferimento che indirizzano i processi di apprendimento. In tal senso la didattica “dal” jazz risulta la più inclusiva in quanto pone sullo stesso piano la cognitività visiva della musica classica e quella sensoriale audiotattile del jazz e delle musiche derivate. La sensorialità è ovviamente comune a tutte le musiche ma l’innovazione introdotta dal jazz è il legame con un nuovo testo rappresentato dalla fissazione fonografica a differenza dello spartito visivo che è sempre presente ma in una fase differente dell’apprendimento. Carlo Delfrati, il padre della pedagogia musicale, asserisce che la “pratica precede la grammatica”. Il jazz aggiunge però un nuovo tassello dato dalla tecnologia in tutte le declinazioni fisiche, liquide e gassose (disco, cd, file) che indirizza l’apprendimento in modo più completo, inclusa la classica.
Quali sono le maggiori difficoltà che hai riscontrato all’inizio e quali quelle che riscontri oggi?
Esistono diversi problemi che purtroppo negli anni si sono acutizzati invece di risolversi. Riguardano la “disattenzione” del legislatore verso l’associazionismo e i lavoratori autonomi dello spettacolo e della didattica. Siamo attanagliati da una burocrazia esasperante e da una pressione fiscale altissima. Anche se le scuole di musica svolgono una funzione culturale, sociale, educativa straordinaria e capillare che lo stato non potrebbe mai permettersi. Un recente studio dell’Associazione italiana delle scuole di musica AISdM condotto dell’Università di Bologna ha delineato i contorni qualitativi e quantitativi del settore delle scuole: sono 7.000 in tutta Italia con 100.000 insegnanti e oltre un milione di studenti. Numeri impressionanti che dimostrano quanto le scuole di musica siano distribuite in tutta Italia, lavorando a stretto contatto con le scuole pubbliche – dall’infanzia all’età secondarie – nei laboratori di educazione musicale e, per quanto riguarda il jazz, di diffusione di questa musica sul territorio innescando diversi processi virtuosi di rinnovamento del pubblico.
Un altro tema riguarda il riconoscimento delle scuole e dei loro percorsi di studio. Siamo davvero arretrati rispetto alla velocità dell’Europa. Fortunatamente la politica amministrativa (Comuni, Regioni) è più attenta e sensibile e alcune regioni, come l’Emilia Romagna, hanno promulgato delle “leggi” che riconoscono le scuole di musica. Altre regioni stanno seguendo questa strada. In altre parole esiste in Italia un “sistema della didattica” tra pubblico e associazionismo molto articolato che deve essere considerato e messo in relazione seriamente. Il Piano delle Arti del MIUR è un primo progetto di rete coraggioso e lungimirante.
Vi è chi afferma che la standardizzazione dei curricula didattici abbia determinato un impoverimento della creatività dei musicisti. I vostri piani di studio come si pongono rispetto a quelli accademici – tradizionali?
Come dicevo la nostra ricerca didattica e pedagogica permanente consente di mettere in atto dei percorsi che pongono al centro il soggetto, cioè chi apprende, quindi valorizzano la ricchezza delle diversità dell’individuo, le qualità, le diversità di approccio, gli stili cognitivi. Si svolge prevalentemente in modo laboratoriale, facendo musica e facendo musica con gli altri e proprio per questo consente di consolidare ed acquisire abilità e conoscenze anche teoriche e astratte con maggiore consapevolezza. Ciò si realizza perché lo studente sperimenta in prima persona le componenti della musica (ritmo, armonia, timbro, melodia) per poi giungere a concetti e abilità complesse (lettura, teoria, composizione, improvvisazione). Crea in altre parole delle competenze così importanti nella musica come nel mondo della scuola. Non esiste quindi un metodo unico ma tanti metodi calati sui bisogni dell’utenza.
Il CDpM, a proposito di didattica, si avvale del sistema EQF, ovvero il sistema europeo di certificazione delle competenze in musica. Quali sono i punti salienti di questo sistema di certificazione e perché è da privilegiarsi rispetto a quello tradizionalmente condiviso dalle strutture conservatoriali?
Il sistema EQF è l’esatta traduzione della didattica che descrivevo prima. Quella delle competenze è una rivoluzione che ha trasformato il mondo della scuola da più di vent’anni in tutte le discipline ma non ha ancora trovato una corretta applicazione nella didattica musicale. In poche parole si basa sulla capacità di un individuo di risolvere in autonomia un problema nuovo attingendo al patrimonio di abilità e conoscenze. Non esiste un prima e un dopo. Cioè prima acquisisco la regola o l’abilità e poi risolvo l’esercizio. Tutto avviene nel “mentre”. È quindi una attività processuale che ha il pregio di essere motivante e strettamente connessa alle peculiarità del jazz come ad esempio l’improvvisazione. Bill Evans diceva del resto che il jazz non è un “what” ma un “how”. L’Europa ha stabilito con L’EQF otto competenze chiave da cui, a cascata, derivano le competenze dei vari livelli di formazione in ogni disciplina inclusa la musica. La competenza che riguarda maggiormente la musica è quella relativa a “imparare ad imparare” che sintetizza il processo autodidattico, inteso ovviamente come valore, del jazz e delle scuole di musica. Per essere più aderenti alle direttive europee abbiamo scelto di seguire i syllabus di due prestigiose università il Trinity College e la University of West London di cui siamo centro accreditato in Italia al fine di rilasciare certificazioni e diplomi che raggiungono un livello EQF 7 che si attesta ad una laurea magistrale.
Quali sono i rapporti tra il CDpM e i Conservatori?
In generale sono costruttivi. In tutti i nostri convegni a livello territoriale e nazionale sono stati invitati e coinvolti. Non bisogna inoltre dimenticare che è stato proprio il convegno del 1992 di Bergamo, di cui sono stati pubblicati gli atti, con tutte le realtà associative italiane da Siena Jazz alla Civica di Milano, al Saint Louis e il Testaccio di Roma, il CPM e molti altri con il contributo di Giorgio Gaslini che ha contribuito all’accelerazione del processo di creazione delle cattedre jazz nei Conservatori. Forse è il mondo Afam che dovrebbe aprirsi di più al dialogo con le associazioni e col territorio ed eliminare certe resistenze e primogeniture oggi davvero anacronistiche.
Quali sono i criteri che utilizzi per scegliere i docenti?
Innanzitutto è un processo molto delicato che viene svolto collegialmente. Di solito si tratta di studenti dei nostri corsi di alto perfezionamento che hanno seguito seminari di formazione didattica e pedagogica e hanno svolto un certo periodo di tirocinio nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondarie. Sottolineo l’importanza dell’insegnamento nello 0-10 perché solo chi ha affiancato i bambini nel processo di “scoperta” dell’universo sonoro può sviluppare un’attitudine alla docenza. Ovviamente in queste fasi di apprendimento si parla di musica e non ancora di jazz. Anche perché esiste una letteratura pedagogica di riferimento di assoluto rilievo (Orff, Kodaly, Dalcroze, Willems, Gordon) che bisogna conoscere e sperimentare sul campo prima di elaborare una propria metodologia didattica. Contestualmente si introducono già nei più piccoli delle attività audiotattili derivate dall’esperienza pedagogica africana e delle successive ibridazioni con le culture europee per sviluppare i fondamenti del jazz (la continuos pulse, l’interplay, l’estemporizzazione melodica) da cui deriva lo swing, il groove, l’improvvisazione e in generale la capacità di autografare la musica. Tutti i docenti devono inoltre svolgere attività concertistica professionale per garantire una convergenza tra didattica e produzione che uno degli obiettivi della nostra associazione.
Quali sono i rapporti che hai instaurato con i concorrenti “storici”, come Siena Jazz, Musica Oggi, Saint Louis College?
Sono ottimi e quasi quotidiani. A cominciare dai padri della didattica jazz italiana cioè Giorgio Gaslini, Enrico Intra e Franco Caroni. Credo che tutto il mondo del jazz gli sia debitore per quello che hanno fatto e continueranno a fare per il jazz italiano. Oltre ai rapporti col Saint Louis di Roma abbiamo collaborazioni con tante realtà forse meno note ma molto radicate da decenni su tutto il territorio nazionale. Non voglio ancora rivelare nulla ma credo che a breve avremo delle belle notizie belle per il mondo del jazz. Questa condivisione è nata abbastanza casualmente durante il lockdown quando insieme ad Angelo Bardini del Milestone di Piacenza abbiamo avuto l’idea di far incontrare più di 120 musicisti nelle classi virtuali della DAD con 8.000 bambini e bambine. Un risultato storico per il jazz che non era mai entrato prima di quel momento in modo così diffuso nella scuola. È la dimostrazione che se si lavora davvero in rete si ottengono risultati straordinari.
Un fattore importante è quello del legame con il mondo del lavoro. Quali sono le vostre attività in tal senso?
Avviene in diversi modi. Innanzitutto promuovendo concerti in collaborazione con le istituzioni del territorio e i live club che coinvolgono i giovani musicisti e li avviano professionalmente. Credo infatti sia compito delle scuole creare una alternanza scuola-lavoro anche nel settore della musica. Abbiamo realizzato centinaia di concerti e alcune rassegne stabili. Ad esempio la manifestazione Emergenti supportata dal quotidiano di Bergamo, da una rete televisiva satellitare e diversi comuni della provincia. È durata più di dieci anni e, per quanto riguarda il jazz, ha messo in luce Alessandro Lanzoni, allora sedicenne, oltre a tantissimi giovani talenti del rock e pop. Notti di luce invece è una rassegna che si è svolta dal 1999 al 2016 con una orchestra stabile diretta da Gabriele Comeglio composta da diversi giovani che si sono esibiti a fianco di Bob Mintzer, Lucio Dalla, Fabio Concato, Enrico Ruggeri, Roby Facchinetti, Gino Paoli.
Invece, quali sono le attività di complemento alla didattica musicale?
Essere dei professionisti non significa solo sapere suonare bene ma anche conoscere la normativa dello spettacolo, del diritto d’autore, la contrattualistica, le possibilità del web, della musica liquida e anche del metaverso musicale. Oltre alla consapevolezza dei meccanismi di promozione della propria immagine e dei propri progetti musicali. Per questo motivo oltre ad uno sportello gratuito di consulenza abbiamo inserito proprio una disciplina sulla normativa dello spettacolo con docenti altamente specializzati. C’è poi un corso di storia delle “musiche” che intreccia diverse esperienze e stili musicali oltre ai rapporti interdisciplinari con altri linguaggi espressivi. Si intitola Musica Totale, in omaggio all’opera visionaria di Giorgio Gaslini, ed è tenuto dal noto giornalista Fabio Santini.
Mi sembra molto pertinente e interessante il Progetto Scuola, realizzato con il Comune di Bergamo. Ce ne parleresti?
Collaboriamo attivamente con l’Amministrazione Comunale di Bergamo da 35 anni e con il festival Bergamo jazz. In particolare durante le giornate del festival incontriamo più di 2.000 studenti a cui proponiamo delle lezioni concerto su varie tematiche legate all’improvvisazione. Ciò non sarebbe possibile se non avessimo già attivato da tempo una serie di laboratori con una rete di 32 istituti comprensivi e scuole superiori del territorio. Teniamo diversi laboratori corali, strumentali, ritmici e di improvvisazione che si svolgono durante tutto l’anno e trovano espressione nelle lezioni concerto finali in cui un coro di 70 bambini e bambine della scuola primaria si unisce a un gruppo di musicisti professionisti nell’esecuzione di brani tratti dai Sacred Concerts di Ellington. Durante il Jazz Day, abbiamo inoltre allestito una formazione orchestrale di una scuola media ad indirizzo musicale con l’aggiunta di alcuni solisti di pregio.
Il CDpM svolge anche attività di ricerca e archivistica in ambito musicale?
Abbiamo ricevuto in donazione il fondo Paolo Arzano, fondatore del festival jazz di Bergamo, di alcune centinaia di dischi e Cd che costituiscono un supporto fondamentale all’attività didattica. A ciò si collega l’emeroteca e biblioteca specialistica che è stata in gran parte digitalizzata.
In trentacinque anni saranno passati un bel numero di studenti. Ce ne è qualcuno che è, oggi, un noto professionista del settore?
Sono più di ventimila e ciò fa del CDpM una istituzione di riferimento per chiunque faccia musica nella nostra città. Per questo motivo siamo stati insigniti di una civica benemerenza di cui vado particolarmente orgoglioso. Tra gli studenti che si sono distinti in questi anni ricordo con piacere e affetto il trombonista Andrea Andreoli, oggi docente al Conservatorio Verdi di Milano, il giovanissimo sassofonista Nicholas Lecchi, 24 anni, che ha bruciato le tappe del professionismo sia in ambito jazz sia della musica pop suonando con Giovanni Falzone, Gianluigi Trovesi e Gianni Morandi. Anche Guido Bombardieri, dopo il diploma in clarinetto ha frequentato i nostri corsi jazz, quindi il chitarrista Michele Gentilini, il batterista Matteo Milesi, il contrabbassista Alfredo Savoldelli. In ambito pop invece due nostri allievi, Simone Pagani ed Elio Biffi, sono membri della nota band Pinguini Tattici Nucleari che ha sbancato i palasport con ripetuti sold out.
Immagino che tu abbia già fatto un bilancio. Quali sono le conclusioni a cui sei giunto?
Sono sempre più convinto che la strada migliore sia quella della ricerca, della sperimentazione e del merito. Certo è più difficile e complessa ma consente di essere sempre in sintonia con sé stessi senza scendere a fastidiosi compromessi. Tutto quello che il CDpM ha realizzato in questi anni è il risultato di un intenso lavoro, sacrificio e passione di tante persone e professionisti della musica. Ringraziamo ovviamente chi ha scelto di condividere con noi questa filosofia ma al tempo stesso siamo orgogliosi di non dover dipendere dalle scelte della politica. Succede spesso che certi risultati siano enfatizzati dalle risorse economiche pubbliche senza avere un reale radicamento sul territorio e nel mondo della scuola.
Tu sei un affermato musicista ed un valente didatta: quanto è importante rivestire questo duplice ruolo professionale per insegnare musica?
L’attività didattica consente di essere sempre “sul pezzo” cogliendo le nuove tendenze a contatto con i giovani talenti. Ciò si realizza completamente se però il luogo fisico in cui avviene è aperto, in costante ascolto, disponibile al cambiamento e alla ricerca. Questo è lo stimolo che alimenta il mio studio individuale quotidiano anche sulla base delle richieste e dei bisogni degli studenti. I docenti sono i primi che devono saper suonare bene per poter spiegare agli altri i diversi repertori della musica che si insegna. I corsi di musica d’insieme sono poi uno dei punti di forza della nostra didattica ad ogni livello di competenza. Abbiamo due formazioni orchestrali di cui una è seguita da me e Gianluigi Trovesi e propone musica originale.
A tal proposito, l’attività didattica, di direzione e coordinamento sottrae molto tempo alla tua attività di musicista e compositore?
È fondamentale poter contare su una squadra di persone competenti nei vari ambiti organizzativi, amministrativi e strategici che ovviamente coordino ma che non devo svolgere in prima persona. Grazie a ciò posso dedicare tutto il mio tempo alla musica. E poi dormo da sempre molto poco.
Quali sono le idee e le strategie che intendi porre in essere?
Stiamo valutando il trasferimento in una nuova sede che ci consenta di svolgere ancora meglio le attività performative, di residenza artistica e di laboratorio in spazi più ampi e attrezzati. Soprattutto vogliamo dare continuità all’attività seminariale che in questi 35 anni ha visto in veste docenti grandi musicisti jazz. Vorrei ricordare tra i tanti Elvin Jones, Jim Hall – che è stato per tre giorni con i nostri studenti – Bob Mintzer – più volte con l’orchestra del CDpM, John Scofield, Mike Stern, Jaky Byard, Paul Bley, Peter Erskine, Franco D’Andrea, Enrico Pieranunzi, Giorgio Gaslini – anche lui diverse volte – Francois Thiollier, John Patitucci, Dave Liebman, Mark Levine – a cui sono legato particolarmente per essermi perfezionato con lui. La grande Sarah Vaughan ci ha onorato della sua presenza a scuola per ben due giorni a Bergamo insieme al Bobadilla di Benvenuto Maffioletti. Nelle nostre aule sono davvero passati tanti grandi maestri del jazz lasciando ricordi emozionanti e indelebili.
Dove poter reperire info sui corsi?
Centro Didattico produzione Musica via De Amicis 6 Bergamo www.cdpm.it info@cdpm.it
Alceste Ayroldi