KENNY WHEELER “CON E SENZA PAROLE”

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AUTORE

Kenny Wheeler reimagined by Norma Winstone, Jason Keiser and Kenny Wheeler Legacy

TITOLO DEL DISCO

«Wheeler with Words»

«Kind of Wheeler»

«Some Days Are Better»

ETICHETTA

amm Records

OA2 Records

Greenleaf Music

______________________________________________________________

La commemorazione di Kenny Wheeler a dieci anni dalla sua scomparsa ha suscitato – giustamente – tre omaggi tra loro molto diversi, ma di cui forse nessuno inutile.  Due tribute albums concepiti ciascuno da a una specifica posizione autoriale e un pacchetto di ri-esecuzioni da arrangiamenti originali per big band di cui erano andate perdute le registrazioni ma non le carte, ovvero un disco di Wheeler in più, sebbene orfano (per ovvi motivi) del Wheeler strumentista.

Norma Winstone nel suo «Wheeler with Words» (amm Records), titolo che dà già piena trasparenza al contenuto, ripercorre la storia del suo lungo sodalizio con Wheeler in piccola parte come avvenuta, cioè riproponendo pezzi cantati con testo come erano all’origine (nell’esecuzione di Sea Lady rievoca addirittura l’introduzione free di Evan Parker al sax soprano), e in gran parte ritoccandola mediante la conversione di pezzi originariamente cantati con wordless vocal (il suo più originale contributo al sound wheeleriano) o anche strumentali, privi del suo canto, in pezzi vocali con testo; quindi con testi scritti per l’occasione e forse più che in passato concepiti con maggiore attenzione ai suoni delle parole che non al contenuto: quasi discutibile che in funzione di questo abbia voluto sostituire titoli di pezzi notissimi (Child of Tomorrow, She Loves Him e Things We Trust mascherano rispettivamente Nicolette, Canter n. 1, Kind Folk e Old Ballad).

Norma Winstone "Wheeler with Words"
Norma Winstone “Wheeler with Words”

La proposta pertanto c’è: l’utilizzo della musica di Wheeler come fonte omogenea di una raccolta di canzoni pop intelligenti, intriganti, di una qualità musicale quanto meno insolita per il genere. Probabilmente è una proposta che rischia di cadere un po’ nel vuoto, dal momento che il nome della Winstone è noto principalmente ai jazzofili, spesso non molto appassionati di vocal con testo (compreso chi scrive). Intanto a indebolirla è eventualmente la presenza nelle esecuzioni di parti strumentali che, per quanto basate su improvvisazioni almeno idealmente tematiche, sbiadiscono anche la radice wheeleriana – riproducendo ciò che spesso impoverisce di espressione le esecuzioni per piccolo gruppo di Wheeler stesso, non appena la musica passa in mano a un altro solista.

Veniamo ora al cd «Kind of Kenny»  (OA2 Records) di Jason Keiser, giovane chitarrista acustico californiano, che per la musica di Wheeler ha coltivato una passione esente da interferenze autobiografiche e neppure suggerita dallo strumento. In questo omaggio ha incluso anche due pezzi scritti da lui in perfetto «stile Wheeler», mostrando di averlo davvero interiorizzato. Ma il punto di forza, come nel cd della Winstone, consiste in un «cambio d’uso». In questi pezzi come negli originali di Wheeler l’omaggio è a una musica intesa come pura scrittura, depurata del suo humus emozionale. Qui la musica di Wheeler diventa un chamber jazz raccolto che fa da giusto contenitore di raffinate fantasie chitarristiche e in cui tutto si muove con delicatezza all’interno di uno spazio finito: della spazialità wheeleriana, desolata e metafisica, non c’è traccia. 

Jason Keiser "Kind of Kenny"
Jason Keiser “Kind of Kenny”

Nel gruppo possiamo riconoscere il montaggio di due diverse situazioni wheeleriane: la formula del quartetto drummerless impiegata da Wheeler in «Angel Song», con la differenza che alla front line di ottone e ancia è abbinata una coppia di chitarre acustica ed elettrica (anziché chitarra elettrica e contrabbasso), e in tre esecuzioni la voce femminile (come Wheeler ha impiegato soltanto in big band). Di sound wheeleriano però non ne emerge che in qualche armonizzazione dei fiati. Non ricorda Wheeler il trombettista/flicornista Erik Jekabson, né ricorda la Winstone la voce di Danielle Wertz (soprattutto uscendo allo scoperto nel canto con testo di For Jan), e le parti chitarristiche di Keiser acustico e John Stowell elettrico hanno vita autonoma. Ovvero Wheeler è nei temi, grandi temi come Hotel Le Hot, Gentle Piece, Kind Folk… che oggi sono molto studiati dai musicisti di area jazz, mettendoci a disposizione – al di là del mondo poetico che li presiede – situazioni armoniche tra le più stimolanti per l’improvvisazione. 

Infatti le esecuzioni del gruppo di Keiser, con o senza aggiunta di voce, sono essenzialmente questo, ad altissimo livello. Inutile confrontarle con quelle originali degli stessi brani, semmai per rimpiangerle. Lo scopo di Keiser, ben altro da quello di riesumarle, sembra raggiunto al meglio. Ascoltando la versione per duo chitarristico di uno dei suoi due pezzi à la Wheeler (Wheeler’s Waltz), che faccia parte di un omaggio a Wheeler lo si dimentica. Si ascolta invece una meravigliosa esecuzione chitarristica contemporanea. 

La consegna a nuova vita di carte originali wheeleriane è ovviamente un lavoro esente da possibili criticità. Che il direttore artistico della Royal Academy of Music Orchestra, Nick Smart, con la collaborazione di John Daversa, direttore della statunitense Frost Jazz Orchestra, abbia voluto metterci a disposizione musica di Wheeler andata persa, non può essere che un’operazione encomiabile. Anzitutto perché si tratta di carte del periodo 1968-1972 (destinate a registrazioni per la BBC, pertanto responsabile del loro smarrimento), cioè di un Wheeler già in pieno possesso di poetica individuale, ma anche perché la musica di Wheeler in genere e soprattutto quella orchestrale, connotata nelle atmosfere dalla composizione e l’arrangiamento, da un certo tipo di melodie e dal sound che risulta da certi intervalli armonici usati negli ensemble, è una totalità musicale anche a prescindere da quella che saremmo portati a riconoscere nel Wheeler strumentista. Tanto che a incrinare questa totalità, a impiantarvi qualche zona porosa, sono gli interventi dei solisti lasciati a briglie sciolte, appunto, e semmai quanto più sono «bravi», fantasiosi, caratterizzati. La meravigliosa musica di Wheeler sarebbe anzi un dispositivo giusto per educare il jazzofilo medio a sentire la musica oltre lo strumentismo.

Ciò premesso, «Some Days Are Better» (Greenleaf Music), uscito a nome della Kenny Wheeler Legacy per scelta dei direttori delle citate orchestre che lo hanno realizzato, consideriamolo un disco di Wheeler tout court! Ovvero prendiamolo per la musica garantitamente wheeleriana che ci fa ascoltare. Certo, è un peccato che negli assolo di tromba e/o flicorno non si ascolti Wheeler (ma in alternanza i due direttori Smart e Daversa con vaghi toni wheeleriani) e che solo in due brani il vocal unito agli ensemble sia della Winstone (paradossalmente è la situazione in cui il suo timbro più fa la differenza). Intanto, se siamo effettivamente rapiti dalla musica di Wheeler, grazie a questa iniziativa filologica ricostruiamo l’anello mancante tra l’iniziale «Windmill Tilter» del 1968 e il successivo, già molto diverso, «Song for Someone» del 1973. 

Abbiamo a disposizione un album che, se realizzato all’epoca interamente, sarebbe stato doppio e che oggi ci rivela sia l’esistenza di meravigliosi temi che non si capisce perché Wheeler non abbia più rivisitato (Dallab, Who’s Standing in My Corner, Everybody Knows It…) sia l’origine orchestrale di temi noti soltanto da versioni per piccolo gruppo, quindi privi di quel respiro polifonico che qui sembra valorizzarli. Adesso possiamo affermare, per esempio, che un tema come Smatter (qui chiamato Smatta), pensato per arrangiamento orchestrale, sarebbe poi stato adattato un po’ brutalmente alla nota versione in quartetto con Keith Jarrett. Come album orchestrale di Wheeler, del resto, non è affatto meno organico di «Song for Someone». 

Wheeler arrangiatore non scoprirà tutte le sue carte prima del sontuoso large ensemble del 1990, dove anche le parti solistiche di chicchessia, accuratamente inscritte in un tutto, parlano la sua lingua.

Paolo Vitolo

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