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Keith Jarrett «Budapest Concert» (2 CD)

26.50

CD album doppio Jarrett Keith «Budapest Concert»

Questo concerto di Budapest, alla Béla Bartók Concert Hall, precedeva di scarse due settimane quello di Monaco pubblicato esattamente un anno fa («Munich 2016») e che era stato largamente elogiato come opera tra le più compiute dell’ampia serie di recital solistici di Jarrett riportati su disco, di sicuro tra quelli dell’ultimo periodo. Budapest ne segue la falsariga, lasciando intuire un canovaccio in parte precostituito, fatto di una sorta di suite ove si susseguono dodici parti, coronata da due bis del Great American Songbook (uno in meno rispetto alla serata di Monaco, perché accanto a It’s A Lonesome Lone Town e Answer Me, My Love qui manca, verosimilmente per ragioni di tempo concertistico, Somewhere Over The Rainbow) e il modo di procedere è quello tipico dei recital solitari del pianista registrati dopo il rientro sulle scene del 1998 (quindi a partire da «Radiance», del 2002). Essi sono meno giocati sull’insistenza nei momenti di stasi e forse più lucidamente focalizzati, quindi, come qualcuno ha perspicuamente osservato, più risolti nel «trovare» che non nel «cercare». A Budapest dunque, la prima parte del concerto (corrispondente al primo dei due dischi) prosegue un discorso consueto, quasi come se Jarrett non lo avesse mai interrotto, che si dipana per scarsi quaranta minuti attraverso quattro brani di estrema intensità, assorta e scura, a tratti vorticosa, che attingono a un’area musicale più prossima ad ambiti accademici, comunque risolti da par suo, con estrema lucidità e non senza un’apprezzabile compiuta concisione. Il secondo disco, sin dall’apertura, si rivela uno scrigno pieno di tesori, in cui l’ardimentoso coraggio dell’improvvisatore, l’intimità concessa, lo sviluppo melodico e la complessità si fondono in un tutt’uno. L’ideazione del pianista fluisce veloce e sicura, inanellando catene melodiche che potrebbero in apparenza andare all’infinito, raccogliendo ogni «oggetto trovato» esattamente nel posto dove sapeva essere: le mani, la mente musicale, tutto è nella corporeità e nel rapporto con il pianoforte e l’insieme sviluppa il senso più pieno di quell’«enciclopedismo stilistico» e di quella «narrazione biblica» che in Jarrett sono cifra autoriale e stigma culturale americano. E sembra quasi di tornare alle origini, nella carriera solitaria del pianista, nel rutilante mélange polistilistico e policulturale e nel saliscendi emotivo dei vari quadri in successione. Davvero, questo secondo disco è una delle cose più belle e alte che l’arte unica di Jarrett ci abbia mai donato, e sarà davvero difficile fare i conti col silenzio del suo autore.

Cerini

Esaurito

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