ParmaJazz Frontiere ha inaugurato la ventinovesima edizione del suo festival con un programma di notevole valore artistico, scaturito anche dai contatti internazionali che il direttore Roberto Bonati ha coltivato in decenni di attento lavoro, compenetrando i concerti con l’attività didattica.
La scelta di Bobo Stenson per aprire la stagione è quasi programmatica. Il pianista norvegese è uno degli artisti di punta di ECM, e la sua apertura intellettuale verso un repertorio davvero insolito resta anomala e spiazzante.
Ancor di più la scelta si innesta sul tema del Festival di quest’anno, ultima tappa del percorso triennale dedicato ai «Movimenti», in questo caso quelli del mondo interiore dell’artista: quelle scosse ed oscillazioni che sono il nucleo della creazione, quelle dove ha origine la vera freschezza della musica e dell’invenzione.
Stenson ha portato con se i fedeli Anders Jormin al contrabbasso e Jon Fält alla batteria. Il concerto è partito con un brano nordico di Sven-Erik Bäck, Primavera. Piccole percussioni e contrabbasso suonato con archetto hanno immerso gli spettatori in una atmosfera rarefatta, quasi di sottolineatura del lento risvegliarsi della natura. L’ingresso del pianoforte dà corpo all’estasi e accompagna l’ascoltatore in un lento crescendo, senza forzature, in una naturalezza di suono ed espressione assolute.
Il ghiaccio è rotto, e già si avverte l’intensa attenzione del pubblico per questa esibizione. Il pianista quindi attacca Red Flower un brano del nord-coreano Jung-Hee Woo a tempo medio-veloce, dall’andamento complesso ed articolato. Basso e batteria contrappuntano il percorso del leader rimanendo nei ranghi, e anche gli assoli restano estremamente misurati.
Il concerto entra lentamente nel vivo con un sempre maggiore coinvolgimento emotivo del pubblico: un brano luminoso e pieno di gioia, ricco di dissonanze e meravigliosamente segnato dall’andamento della linea di basso fa sciogliere la tensione in un andamento danzante e felice, che coinvolge gli spettatori e li spinge ad applaudire a scena aperta.
Tocca poi a Unquestioned Answer di Anders Jormin, stupefacente vetrina per il percussionista Jon Fält che si porta nel campo della totale rarefazione di suono per dialogare con il pianoforte di Stenson e l’archetto del bassista grazie a un’innumerevole serie di piccole percussioni punteggiate da momenti elettronici. Improvvise accelerazioni rompono l’andamento del brano alternandosi a frasi rarefatte, il tutto nella più totale ed eccitante imprevedibilità.
Arrivano poi i brani più ricchi di energia ed estremamente veloci, antitetici all’immagine di sobria eleganza di ECM, e quindi ancora più inattesi e graditi. Il concerto si libra ancora più nell’aria in un crescendo rossiniano, per terminare nella standing ovation del pubblico.
La meditata programmazione del festival ha messo in primo piano un trio stratosferico, troppo poco in vista rispetto ai suoi straordinari meriti.
Giancarlo Spezia
Foto Elisa Magnoni