Lula Pena: una voce, una chitarra e tre album in venti anni

Una chitarra e tre dischi in venti anni per la cantante lusitana Lula Pena, una artista più unica che rara nel panorama della canzone mondiale contemporanea

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lula pena
(Photo : Buddhy)

Sul fatto che Lula Pena sia un’artista parsimoniosa non dovrebbero esserci dubbi. Nata a Lisbona il 15 maggio 1974, si è presentata con un primo album nel 1998, aspettando poi la bellezza di dodici anni per dargli un seguito. Il primo s’intitolava semplicemente «Phados», senza grande (almeno apparente) fantasia, il secondo «Troubadour». Una parola ciascuno, sempre in tema di parsimonia.

Nel 2017 esce il terzo album (in diciannove anni!) dell’artista lusitana, «Archivo pittoresco» (due parole, la bellezza di diciassette lettere!), di cui andiamo a riferirvi. Se sul suo profilo facebook Lula ha voluto accoglierci con l’Autoritratto con i capelli tagliati dipinto da Frida Kahlo nel 1940 e per i suoi dischi, tutti e tre, ha operato la scelta più parsimoniosa possibile, abbinando la sua semplice (quanto magistralmente tocada) chitarra acustica alla sua voce, il tutto in un clima per nulla rilucente o effettistico, anzi spesso quasi (fisiologicamente?) disadorno, essenziale fino alle midolla. Eppure…

Eppure, con questa penuria di mezzi, di dischi e uscite live ( a ottobre 2017 è stata al Premio Tenco, ne abbiamo riferito), Lula Pena è riuscita a crearsi attorno un alone quasi mitico, sacrale, come una sorta di sacerdotessa che officia un rito fatto di pathos e grazia, sensualità sottile, strisciante come una danza che si muova fra le pieghe di ciò che sta al crocevia tra (e quindi unisce) corpo e anima, un movimento quieto ma inesorabile, quelle corde toccate mentre la voce vi ricama sopra testi in più lingue e, di tanto in tanto, il pollice destro batte sulla cassa quasi senza darlo a sentire, e tuttavia rinfocolando un moto ritmico che, nel suo incedere, non molla di una virgola.

lula pena

«Archivo pittoresco» (Crammed Discs/Materiali Sonori) si apre così con Poema Poème, in francese, la cui generosa coda strumentale scivola in Pesadelo da historia, che parte di conseguenza sullo stesso soffice sferragliare di chitarra. La voce si piega qua e là a qualche screpolatura, come dei gorgheggi incerti, verosimilmente cercati, che proseguono in avvio di Ojos, si quereis vivir (francese, portoghese, spagnolo, ma anche inglese, italiano, greco, fra le pieghe di questo cd che sembra surrogare, o forse sublimare, il movimento, il deambulare, per il tramite di un’apparente immobilità), che parte autonoma, si dipana ritmicamente più libera e regala ancora un’ampia sezione solo suonata, da cui si riparte con rinnovato impulso ritmico. E riprende il cantato finale (il brano dura la bellezza di sette minuti e mezzo).

Las penas, ancora in spagnolo, vi si attacca nuovamente senza suture (ma dura solo un terzo), seguita da Rose, in cui più che mai si soppesa il fascino di sentirsi immersi in un clima che è sempre un po’ lo stesso, ma proprio per questo è così seduttivo. In Ausencia, che non ha nulla a che fare con l’omonimo brano cantato da Cesaria Evora in Underground di Kusturica (musica, è ovvio, di Goran Bregovic), il registro più acuto annuncia una maggiore spigliatezza, che si allarga a Pes mou mia lexi, col ritmo che rimane piuttosto spinto in avanti, quasi incalzante, e dopo poco rifluisce in A diosa (No potho reposare), ben noto tema sardo scritto nel 1920 da Giuseppe Rachel (l’hanno cantato anche Maria Carta, Andrea Parodi dei Tazenda e Elena Ledda), altrettanto breve, come pure O ouro e a madeira, che ne raccoglie il testimone anche qui senza cesure di sorta.

In Cantiga de amigos, che segue, torna lo spagnolo, e il travaso in Deus é grande, e da questi in Breviario, è altrettanto fluido, laddove il conclusivo Come Wander with Me, ovviamente in inglese, riconfermata tutta la sostanza, l’humus che informa il lavoro, chiude sfumando, come a dirci di una lontananza che si va affermando (e al tempo stesso negando, nel suo divenire nulla, sonoro e spazio-temporale) senza fretta, come un soffio che esaurisce poco a poco la sua eco. Fino al prossimo capitolo di questa saga della parsimonia e del sogno che si fa mistero senza ansia, sostanza quasi senza corpo, che chissà quando tornerà a materializzarsi.

Alberto Bazzurro