Bergamo si appresta ad ospitare il nuovo progetto del contrabbassista Michelangelo Scandroglio che ha cooptato alcuni tra i più importanti musicisti della scena musicale londinese.
Ed è proprio Scandroglio a raccontarci lo spirito del sodalizio: «Il progetto La Via del Ferro nasce da un incontro naturale tra musicisti provenienti da realtà diverse, ma con una visione comune di esplorare nuovi orizzonti musicali. Il tema centrale del progetto è proprio il dialogo tra tradizione e innovazione, unendo groove profondi, improvvisazione libera e suoni elettronici. La nostra intenzione è di creare un’esperienza immersiva che travalica i confini tradizionali del jazz, ma senza dimenticare mai le radici della musica che ci ha formato.».
Gli fa eco Maria Chiara Argirò, che precisa: « Questo progetto è nato da una residenza estiva a Follonica, organizzata da Michelangelo, che si è conclusa con un concerto al Teatro Fonderia Leopolda di Follonica. Sono stati giorni intensi, dedicati all’apprendimento dei brani e alla costruzione di un’identità di gruppo. Ognuno di noi ha portato la propria musica, contribuendo alla creazione di un linguaggio comune. Conoscevo già artisticamente Alex Hitchcock, con cui avevo suonato in diverse formazioni, e questa esperienza ci ha permesso di approfondire ulteriormente la nostra collaborazione musicale.».
Certo è che La Via del Ferro è un nome piuttosto insolito per un quartetto jazz.
Risolve il dubbio lo stesso leader: « La Via del Ferro è il nome di un’antica strada che collega Londra e Follonica, ed è il simbolo del legame tra due realtà che hanno influenze e storie molto diverse, ma che si uniscono perfettamente nella musica. È un richiamo all’incontro tra mondi distanti, ma che si uniscono sotto il segno della musica come lingua universale. È anche un omaggio alla connessione che esiste tra noi come musicisti, che proveniamo da background diversi, ma condividiamo la stessa visione.».
Un quartetto spumeggiante, che produce musica e improvvisazioni torride e trascinanti. E la presenza di Maria Chiara Argirò, che ci ha abituato a sonorità ambient jazz e all’utilizzo dell’elettronica non deve stupire, anzi. Perché la pianista e tastierista romana, ma residente a Londra da diversi anni, non è seconda a nessuno nelle folate improvvisative e nell’addomesticare gli ottantotto tasti al linguaggio di questo quartetto. A conferma di ciò ci dice: «Il jazz è una parte fondamentale delle mie radici musicali, quindi non lo considero un abbandono del mio percorso artistico, ma piuttosto una naturale evoluzione. La mia musica è in costante trasformazione, e mi piace esplorare direzioni diverse restando sempre connessa alla mia identità musicale.».
Un combo dove tutti hanno partecipato contribuendo con la loro forte personalità artistica. Anche Alex Hitchcock, tra gli araldi della New Wave Jazz made in UK, ha impresso il suo marchio di fabbrica e qui ci spiega in che modo: « Myele, Maria Chiara e Michelangelo sono così ben definiti e autosufficienti come sezione ritmica che penso al mio ruolo nella band come a un punto d’accento più che altro. Non devo suonare tutto il tempo, ma cercare di interagire con quello che stanno facendo come unità e aggiungere un po’ di caos o di astrazione. Dal punto di vista compositivo, tutti contribuiamo con degli bozzetti, quindi una parte della voce compositiva individuale viene adattata al suono della band, ma quando suoniamo, i brani tendono a essere cambiati un bel po’.». Il sassofonista londinese è abituato a collaborare con diverse formazioni, ma non nasconde il piacere di prendere parte a questo progetto: « Ciò che più mi piace è il fatto che lo spettro delle nostre influenze musicali sia così ampio! Spesso, quando le persone formano un gruppo, si uniscono intorno a un’affinità per un particolare suono, stile o epoca musicale; quello che credo ci unisca di più è la personalità e la prospettiva musicale, piuttosto che la condivisione di un genere tra di noi. So che non siamo il primo gruppo a farlo (penso ai Bad Plus o all’incredibile lavoro decennale di Tyshawn Sorey con il suo trio), ma per me è una novità passare dall’acustica all’elettronica, dal suonare in modo completamente astratto a un backbeat bloccato, nello stesso concerto.».
L’interplay la fa da padrone in questo quartetto. Maria Chiara Argirò ne definisce gli aspetti: «Energia, dinamica, esplorazione.». Mentre il trentasettenne batterista Myele Manzanza, cresciuto in Nuova Zelanda, racchiude in tre significativi aggettivi il valore del combo: «Gioioso, progressivo, dinamico».
Un quartetto che non si è formato per caso. Come ricorda Manzanza « Nel corso degli anni abbiamo suonato tutti insieme in diverse configurazioni nei rispettivi progetti, ma questa è stata la prima volta che tutti e quattro abbiamo suonato insieme in modo specifico. L’amore comune per molta della stessa musica e le nostre influenze individuali sono confluite nel progetto, rendendo la collaborazione facile da fondere e dinamicamente diversa da qualsiasi altra cosa fatta in precedenza.».
Non accade spesso vedere (ascoltare) dei progetti veri, fatti di musica che si forma con risoluta spontaneità. Non è facile incrociare chi abbandona del tutto l’esecuzione degli standard e fa capire come il jazz possa guardare alla tradizione e andare avanti.
E, con ogni probabilità, questa formazione avrà anche un seguito discografico, come ci dice Scandroglio: « Stiamo preparando una produzione discografica che raccoglierà il meglio delle nostre composizioni. È un progetto a cui teniamo molto e che riflette la nostra evoluzione musicale. Non vediamo l’ora di condividerlo con il pubblico!».
La musica di questo quartetto vede, tra i numerosi estimatori, anche il famoso deejay e produttore Gilles Peterson: «Absolutely crazy good» è stata la sua reazione dopo aver visto in azione La Via del Ferro.
Alceste Ayroldi