Kurt Elling & Yellowjackets: celebrate Weather Report

Il grande cantante si unisce a una delle più popolari band del jazz contemporaneo per affrontare dal vivo, presto anche in Italia, un repertorio straordinario come quello del leggendario gruppo di Wayne Shorter e Joe Zawinul riletto in un’insolita dimensione vocale

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Ci sono repertori che non si possono semplicemente eseguire: vanno attraversati. Quello dei Weather Report, per esempio. Un universo musicale che ha mescolato rigore e visionarietà, tecnica e spiritualità, trasformando la fusion in qualcosa di più: un linguaggio, un orizzonte. A distanza di decenni, «Celebrate Weather Report» non si limita a un omaggio, ma tenta l’azzardo più grande: restituire quei brani alla voce umana, alla parola, alla carne. Kurt Elling – crooner intellettuale, funambolo del jazz vocale – si prende il rischio. E lo fa da protagonista.

Considerato una delle voci più originali del jazz contemporaneo, Elling è noto per il suo stile raffinato e per l’uso del vocalese, l’arte di scrivere testi su celebri assolo strumentali, come quelli di Wayne Shorter o Pat Metheny (suo è il testo di Minuano). Le sue interpretazioni mescolano tecnica vocale, sensibilità letteraria e improvvisazione, con richiami a poeti come Rilke e Neruda. Ha vinto due Grammy Awards (2010 e 2021) e collaborato con Herbie Hancock, Jon Hendricks, Charlie Hunter e gli Yellowjackets. I suoi ultimi progetti, «SuperBlue» e «Wildflowers Vol. 1» (con Sullivan Fortner), fondono jazz e funk in chiave contemporanea.

Nati nel 1981 come band di studio per un disco di Robben Ford, gli Yellowjackets sono diventati uno dei gruppi simbolo della fusion contemporanea. Con una discografia prolifica e una formazione in continua evoluzione, hanno saputo attraversare più di quattro decenni restando riconoscibili nel suono: sofisticato, elettrico, aperto al dialogo tra jazz, r&b e scrittura orchestrale. Oggi la band è composta da: Russell Ferrante (tastiere), unico membro fondatore ancora attivo; Bob Mintzer (sassofoni), nella formazione dal 1990; Dane Alderson (basso elettrico); Will Kennedy (batteria), già nel gruppo negli anni Novanta. Saranno sul palco insieme a Kurt Elling il 10 luglio a Bergamo, per la prima italiana di «Celebrate Weather Report».

Negli Stati Uniti, il progetto ha preso forma con una formazione più acustica e intimista, quasi cameristica: musicisti come Joey Calderazzo, Mike Moreno, Essiet Okon Essiet e Peter Erskine (ex batterista dei WR) hanno contribuito a una lettura più lirica e narrativa del repertorio. In Europa, e in particolare nella data italiana del 10 luglio a Bergamo, il progetto assumerà un profilo più spiccatamente fusion grazie alla collaborazione con gli storici Yellowjackets, band che condivide lo stesso DNA elettrico dei Weather Report. Due approcci diversi, ma animati dalla stessa passione per la reinvenzione.

Yellowjackets

Kurt, è un piacere e un onore averti su Musica Jazz. Qualche anno fa io ho pubblicato un volume sul gruppo di Zawinul e Shorter (Weather Report, editore L’Epos), quindi questa conversazione ha per me un significato particolarmente profondo, soprattutto ora che stai riportando in vita la loro eredità musicale con «Celebrate Weather Report».  Siamo impazienti di conoscere la tua prospettiva su questo progetto. Quanto è importante per te oggi rendere visibile il legame tra la tua voce e la loro eredità?

Non ho mai considerato questo progetto come un modo per creare un legame con «me», personalmente. Sono semplicemente stato attratto dalle composizioni, dalle storie, dalle personalità e dalle vibrazioni di quella musica, come naturale prosecuzione della mia ricerca artistica. Nel jazz, le composizioni che i grandi strumentisti scrivono per sé stessi — almeno inizialmente — sembrano spesso andare oltre l’immaginazione, la capacità o la portata della maggior parte dei cantanti dell’epoca. Le innovazioni proposte dai Weather Report negli anni Settanta erano semplicemente troppo nuove per poter essere assimilate, anche da molti strumentisti. E lo stesso si può dire di Parker, Coltrane e Monk. Sento di essere, forse, semplicemente il cantante con le capacità e l’attenzione necessarie, e che si trova ad agire in un momento in cui il materiale dei WR può finalmente essere compreso e adattato da una voce. È stato un privilegio enorme vedere i miei testi ricevere il permesso e il beneplacito di Wayne, Zawinul e degli eredi di Pastorius. Certo naturalmente mi fa piacere che sia successo, anche se credo che i Weather Report non abbiano bisogno di me per amplificare la loro opera o celebrare la loro eredità.

Nel corso degli anni hai già eseguito brani dei WR con l’aggiunta di testi. Qual è oggi il tuo rapporto con quella parte del tuo lavoro passato, e in che modo ha influenzato Celebrate Weather Report?

I testi che avevo già scritto in passato mi hanno dato un vantaggio, evitandomi di dover costruire da zero l’intero spettacolo. Avendo poco tempo a disposizione per la creatività, ho potuto concentrarmi su composizioni che mettessero maggiormente in risalto la band: elementi elettrici, improvvisazione, tempi più veloci, melodie meno ovvie. Spero in futuro di avere più tempo per esplorare e scrivere sull’intero repertorio dei WR. Ci sono tante storie da raccontare, sia attraverso i testi sia vedendole dalla prospettiva del cantante. Ma questo tipo di impegno richiede tempo e concentrazione, e al momento il mio ritmo di lavoro non me lo consente.

Che tipo di approccio richiede l’inserimento della voce in un contesto musicale dove il canto, all’origine, era assente?

Come autore di testi, parto sempre da una fase di ricerca: cerco di entrare in sintonia con la dimensione emotiva del compositore. Mi chiedo: qual era l’intento dietro quella melodia? Che storia voleva raccontare? A volte ho solo il titolo e qualche informazione biografica. Altre volte, un’intervista offre indizi preziosi. Quando le fonti sono scarse, mi affido all’intuizione, cercando comunque di restare fedele allo spirito originario del pezzo.

Quanto conta la presenza di Peter Erskine, testimone diretto della storia dei Weather Report?

Sono entusiasta che Peter abbia accettato di far parte di questo progetto, portando con sé una prospettiva unica e profondamente radicata nella storia della band. La sua musicalità è straordinaria in qualsiasi contesto. Ho avuto il privilegio di lavorare con lui già nel 2001, per l’album «Flirting with Twilight». Anche fuori dal palco, Peter è una presenza generosa: condivide aneddoti, riflessioni, consigli. Avere al mio fianco un musicista e un essere umano come lui è un onore.

In A Remark You Made, il pathos del sax di Shorter si sente tutto, ma è l’inconfondibile lirismo di Pastorius a trasformarsi nel cantabile finale, Time to Say Goodbye. Ti senti più vicino alle composizioni di Shorter o a quelle di Zawinul?

Preferisco pensare che ogni compositore abbia la propria prospettiva unica, una consapevolezza ritmica personale e una visione melodica distintiva.

In Three Views of a Secret, oltre alla profondità del testo, emerge una forte sfida vocale. Come l’affronti? Che tipo di preparazione richiede?

Direi che la preparazione vocale e tecnica ha richiesto tutti i miei 57 anni. Molto di ciò che faccio è fisicamente impegnativo, ma tutta quella forza deve essere al servizio del messaggio del brano. Spesso riesco a prevedere i passaggi più atletici già in fase di scrittura, così da costruire l’intensità nel testo stesso. Ma è sempre la musica a guidare — la sua intensità offre la prima direzione su dove devono andare le parole.

In Continuum, l’aggiunta del testo non solo esalta l’essenza originale del pezzo, ma introduce qualcosa di profondamente nuovo. Cosa ti ha ispirato?

L’ispirazione è nata dal modo in cui Jaco suonava e scriveva. E anche da un testo alternativo che ho sentito una volta per All the Things You Are, scritto dal contrabbassista Red» Mitchell. Diceva:

 

You are your greatest composition

The one folks hear

When they hear your name

You are your spirit’s own physician

The one who heals yourself

As a daily game

You can’t create yourself

That job’s been done

You can compose yourself

It’s kind of fun…

You are the people you have turned to

And you are the one who does what you do

Your major work of art is you.

 

Mi è rimasto dentro. È un messaggio potente.

A Bergamo suonerai con gli Yellowjackets, ma negli Stati Uniti hai lavorato con gruppi più acustici. Come cambia il tuo approccio?

Il gruppo con Peter Erskine ha una strumentazione simile a quella degli Yellowjackets. La vera differenza, questa estate, sarà Bob Mintzer al sax invece che Mike Moreno alla chitarra. Non credo che il mio approccio cambierà radicalmente. Sarò lì per cantare con intensità e intenzione. E non sono gli strumenti elettrici a cambiare l’intensità dell’esecuzione. È l’intensità delle personalità coinvolte. E credimi: che Joey Calderazzo abbia una tastiera o un pianoforte acustico, porterà comunque il fuoco.

Come reagisce il pubblico a brani come Continuum o Palladium in versione elettrica anziché acustica?

Come ho già detto, non credo che la strumentazione sia poi così diversa.

Hai dato voce ad altri brani strumentali, come Minuano (Six Eight) di Pat Metheny, trasformando il suono in racconto. Come avviene questa trasfigurazione? E hai altri brani che sogni di mettere in parole?

Sono sempre alla ricerca di composizioni che potrei adattare e cantare. Trovarle è relativamente facile. Il difficile è percepire un messaggio autentico e modellare le parole affinché si fondano con la melodia, senza sembrare un’aggiunta artificiale. Trascrivere un brano può essere molto complesso, e una volta fatto, devo imparare a cantarlo – con sfumature, tecnica e sostegno – in modo che musica e parole diventino trasparenti, immediate. A volte ci vogliono anni per riuscirci davvero.

«Celebrate Weather Report» è più di un omaggio: è un rito di riscrittura. Elling non canta il passato, lo interroga. Non si accontenta della nostalgia, ma costruisce nuove possibilità narrative, nuove «canzoni» nate da strutture pensate per restare strumentali.

In questo spazio tra memoria e invenzione, tra groove e poesia, si muove una delle operazioni artistiche più stimolanti degli ultimi anni. Un modo elegante – e necessario – per dire che l’eredità dei Weather Report non è una reliquia. È ancora materia viva. E canta.

di Alessandro Traverso

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