Il giovane fisarmonicista brasiliano João Pedro Teixeira ha portato una ventata d’energia a uno strumento assai popolare ma spesso relegato in secondo piano dalla critica.
Uno degli strumenti più rappresentativi della musica brasiliana è senza dubbio la fisarmonica che, specie nella regione del Nordest, è la voce principale, al pari del canto, di gran parte delle composizioni. Potete essere certi che non v’è immagine di Luiz Gonzaga che lo ritragga senza la sua amata sanfona, come la chiamano i brasiliani. Ad ogni modo, Gonzagão è solo il primo di una lunga schiera di fisarmonicisti che comprende, tra gli altri, artisti come Dominguinhos, Oswaldinho do Acordeon, Sivuca, Hermeto Pascoal e, tra i più giovani, João Pedro Teixeira. Quest’ultimo, autentico virtuoso, sotto la guida di Pascoal si è distinto per uno straordinario lavoro di rinnovamento della fisarmonica, realizzatosi grazie a una vera rivoluzione del ruolo dello strumento nell’universo brasiliano. Se fino a ora, infatti, l’uso dell’acordeon si limitava a generi come il forró e lo choro, grazie a Teixeira lo strumento si proietta in contesti ben più articolati come quello della musica classica e del jazz, in un’immagine del tutto rinnovata. D’altra parte, il recente disco composto a quattro mani con Hermeto Pascoal la dice lunga su quelle che sono le intenzioni di Teixeira. «Universalizando o Acordeon», questo il titolo dell’album, ridefinisce i confini della fisarmonica spostando l’asticella molto più in alto. Cosa gradita certamente agli anticonformisti ma che, ne siamo sicuri, non lascerà di certo delusi i più ortodossi.
João Pedro, quando ti sei interessato per la prima volta alla fisarmonica?
Nel 1987, quando avevo cinque anni, i miei genitori portarono a casa, dopo un viaggio a Rio de Janeiro, un organetto a otto bassi. Per me, però, fu solo un gioco. Il vero amore per lo strumento nacque due anni più tardi, quando mio padre ricevette da un suo cliente una fisarmonica a ottanta bassi. Ricordo che l’idea di mio padre era quella di rivendere lo strumento ma io iniziai a giocarci e col tempo imparai, in modo del tutto inspiegabile, a riprodurre le canzoni che ascoltavo alla radio. Fu una sorta di miracolo che convinse mio padre a lasciarmi studiare lo strumento.
Quali sono le tue influenze musicali?
Sicuramente la musica popolare brasiliana nelle sue molteplici declinazioni, dal forró al baião, dallo choro al frevo. Quando invece ho iniziato a studiare la musica in modo più serio, mi sono innamorato del jazz e della classica. Oggi, però, credo di sentirmi a mio agio in quella che Hermeto Pascoal, l’uomo che considero il mio grande maestro, definisce come musica universale.
Da Oswaldinho do Acordeon a Sivuca e Dominguinhos, la fisarmonica ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella musica brasiliana. Credi che nel corso del tempo la sua importanza sia cambiata?
No. La fisarmonica è ancora molto importante per la musica brasiliana di qualità. Il problema è che troppo spesso lo strumento viene associato a una musica scadente ma assai pubblicizzata dai media. Esiste, però, una generazione incredibile di nuovi fisarmonicisti in grado di dare continuità all’importante lavoro iniziato da maestri come Sivuca, Dominguinhos, Oswaldinho do Acordeon e tanti altri.
Nel 2010 è stato pubblicato il tuo primo disco, dal titolo «Eclético». Com’è nato questo lavoro?
In modo del tutto naturale. Il disco è il resoconto della mia esperienza musicale dagli otto ai venticinque anni, fatta di jam session, rodas de choro e tanto altro. Le composizioni, un potpourri di samba, forró, jazz, milonga, frevo mescolate a citazioni di Bach, Mozart e Paganini, sono nate spontaneamente in sala d’incisione. Il titolo, «Eclético», riassume quanto ti ho appena detto.
Hermeto Pascoal mi ha confessato di essere un tuo grande fan. Come vi siete conosciuti?
Stavo facendo un concerto in un centro culturale nordestino a Curitiba e Hermeto era tra il pubblico. Quella era la prima volta che suonavo insieme a Dominguinhos. Dopo il concerto Hermeto mi ha raggiunto in camerino per dirmi che la mia esibizione l’aveva emozionato. Oggi sono molto felice di avere Hermeto come amico e maestro.
Tra le tante cose che Hermeto mi ha raccontato di te c’è anche il fatto che tu sia in grado di fare «musica universale». Qual è la tua idea a tal proposito?
La «musica universale» è il genere che mi ha permesso di trovare un equilibrio artistico. Ritengo sia dovuto al fatto che si tratta di un genere privo di pregiudizi, di regole, di costrizioni. Uno stile musicale in cui a prevalere sono il buon gusto e le emozioni che il musicista riesce a trasmettere. Ovviamente questo non significa che manchino armonie, melodie e ritmi molto elaborati, ma è il sentimento a trovarsi in primo piano.
Hai collaborato con molti artisti. C’è qualche episodio che ti piace ricordare?
Ce ne sono moltissimi, tra cui il concerto con Dominguinhos di cui ti parlavo prima e un altro insieme a Oswaldinho. Uno dei ricordi più belli, però, è il concerto con l’Orquestra Sinfônica do Paraná per festeggiare gli ottant’anni di Hermeto. Ricordo con particolare affetto il momento in cui abbiamo suonato il brano Sinfonia em Quadrinhos, che era stato suonato una sola volta nel 1986. In quell’occasione i due solisti eravamo io alla fisarmonica e Hermeto Pascoal al piano. Durante il terzo movimento Hermeto si è emozionato così tanto che ha iniziato a piangere. È stata un’esperienza indescrivibile.
Già il tuo disco «Novas Cores» era entrato nella lista annuale «Melhores do Jazz» compilata dal critico Arnaldo DeSouteiro…
Il disco che citi segna una fase importantissima della mia vita che, tra l’altro, coincide con l’inizio dell’amicizia con Hermeto Pascoal. È stato un periodo di grande crescita sia sotto il profilo artistico che umano. Il titolo è tratto da un brano che Hermeto ha scritto per me: Trilhando Novas Cores. Vedere il proprio lavoro riconosciuto in quella edizione dei «Melhores do Jazz» è stato davvero importante.
Di recente, invece, è stato pubblicato il tuo nuovo album, dal titolo «Universalizando o Acordeon». Puoi parlarci di questo lavoro?
Il disco è il risultato di otto anni di convivenza e amicizia con Hermeto Pascoal. L’idea è nata a casa di Hermeto durante una chiacchierata sulla ricchezza della fisarmonica in termini di suoni e possibilità. Così siamo entrati in studio e abbiamo cercato di sfruttare al massimo le potenzialità dello strumento. All’inizio pensavo che sarebbe stata utile la partecipazione di altri artisti ma, alla fine, con Hermeto abbiamo pensato che avrei suonato da solo la fisarmonica e l’organetto a otto bassi. Abbiamo registrato quattordici brani in quattordici giorni sotto la sua direzione musicale. La grande novità di questo lavoro, secondo me, è che le parti ritmiche (che ho battezzato «percusanfona»), melodiche e armoniche sono state suonate da un unico musicista assieme alla sua fisarmonica.
Qual è lo spazio che il mercato discografico brasiliano concede alla musica strumentale? Come vedi il futuro di questo genere?
Tempo fa il mercato dava più spazio alla musica strumentale ma, nonostante questo, credo che il futuro riservi ottime novità. Tra le nuove generazioni ci sono ottimi musicisti e, dall’altro lato, c’è un pubblico molto sensibile e ricettivo che non vede l’ora di ascoltare ottima musica.
Stai già lavorando a nuovi progetti?
Lo scorso anno ho fatto una tournée in Italia durante la quale abbiamo registrato sia in audio che in video. Il progetto uscirà in DVD con il titolo Ao Vivo na Itália. Le registrazioni sono avvenute in teatri, chiese, monasteri e castelli nelle città di Bergamo, Reggio Emilia, Bibiano, Canossa, Bologna. Abbiamo raccolto anche momenti informali come la visita a un conservatorio di Arezzo e l’incontro con un grande fisarmonicista italiano, Paolo Gandolfi. Durante il prossimo agosto, invece, conto di registrare un disco in Francia con l’importante sassofonista brasiliano Cacau de Queiroz, che vive a Parigi da ben trent’anni. Sarà un album con musiche inedite scritte da me e Cacau e altri due brani che Hermeto ha scritto per noi. E ritengo che sarà un altro momento di incontro e di musica meravigliosa e «universale»!
Pietro Scaramuzzo